35 - L'Ottavo

La macchina sembrava volasse. Quel tragitto che le parve interminabile. Nonostante il panorama fuori dal finestrino cambiasse in continuazione, la sua mente le riproponeva la stessa figura, occhi gelidi dalle pupille dilatate, la mascella serrata e le spalle tese erano un'immagine di lui completamente sconosciuta e scioccante. Fu come vedere un estraneo. Eppure le sue mani l'avevano toccata, i suoi baci infuocati l'avevano accesa. Ora si sentiva strana, discordante, distante.  "Quelli come lui", le aveva detto e se avesse avuto ragione? Infondo anche lei sapeva che Umberto era misterioso e pieno di segreti e se lui fosse appartenuto alla categoria dei cattivi?

D'un tratto distolse lo sguardo dal finestrino e prese il telefono. Non aveva il numero diretto di Umberto, ma avrebbe potuto chiedere a Stefano di suo zio, pensò. La macchina continuava il suo percorso e più si avvicinavano alla città più sentiva il bisogno impellente di comunicare con lui.

Erano fermi a un semaforo quando vide la rastrelliera delle biciclette condivise. Con un impulso sconosciuto disse all'autista:

-          Mi fermo qui, grazie per il passaggio. – non diede il tempo al giovane uomo di rispondere e fu già fuori dalla macchina.

Aspettò che la vettura scomparisse nel traffico del sabato pomeriggio per prendere una bici a nolo. Le sembrò sciocco quel comportamento, in fondo era un autista come tanti, ma forse, dopo la discussione con Temistocle sarebbe stato meglio essere cauti. Sentiva un fremito alla bocca dello stomaco, come se tutto ciò che lo riguardava fosse improvvisamente diventato sporco. Aveva bisogno di pensare. Dove trovare Umberto e avvisarlo. Pensò velocemente e decise di andare al negozio.

Il vestito svolazzante che aveva messo per il suo giorno speciale poco si adattava a una corsa in bicicletta, fortunatamente aveva le sue Converse e non dei sandali carini che l'avrebbero fatta scivolare sui pedali. Si rese conto di aver lasciato la busta di tela con il riso e tutti gli ingredienti al centro del piccolo cortile della tenuta, ma poca cosa confrontata al vuoto nel suo cuore, all'immensa voragine angosciata che si era sostituita ai fremiti di poche ore prima.

I pensieri si accumulavano come le pedalate che incidevano la sua corsa. Si chiese come potesse essere successo questo cambio repentino, come un ragazzo dolce e perfetto come fu qualche settimana prima, potesse essere diventato come le era parso in quei pochi minuti. Perché poche parole possono cancellare montagne di sentimenti? Come soffiare sulle sfere piumose del tarassaco e lasciando i propri sentimenti attaccati a quei piccoli semi che dispersi nel vento si adagiano sul suolo sterile e muoiono. In quel momento si sentiva così, in balìa del vento adagiata su un suolo arido.

Mentre pedalava e sentiva il caldo sole imperlarle la fronte pensò che forse una parte di lei era morta, che quel proiettile aveva distrutto tutto, non solo minato la sua sicurezza, ma gettato al vento ogni sua speranza. Le lacrime si confondevano con il sudore, mancava poco al negozio di Umberto.

Quando arrivò le serrande erano abbassate e un cartello sulla porta principale recava la scritta "Vendesi". Ancora il vuoto calò la sua impietosa mannaia sulla bocca dello stomaco, facendola contorcere. Non aveva tempo da perdere.

Artemide non ebbe dubbi sul da farsi, aveva solo un altro posto dove avrebbe potuto trovarlo, girò la bicicletta e ricominciò a pedalare.

Altri pensieri le salirono alla mente ma l'urgenza di capire cosa stesse succedendo o cosa sarebbe potuto succedere la spingeva a pedalare ancora più velocemente.

Il cellulare, incastrato nel manubrio del suo mezzo iniziò a lampeggiare e una notifica in arancione apparve sulla home dell'applicazione necessaria al nolo. "Credito quasi esaurito – ricaricare o parcheggiare alla rastrelliera più vicina."

Artemide imprecò. Si ritrovava a metà strada su Lungadige Attiraglio, una delle arterie che preferiva percorrere che costeggiava l'ampia ansa del fiume Adige e in quel punto avrebbe dovuto lasciare la bicicletta. Cercò una rastrelliera, ma quelle presenti erano tutte piene, ma non aveva tempo da perdere così la abbandonò appoggiata ad un'altra bici e riprese il suo percorso a piedi.

Camminare le aveva sempre portato pensieri, qualche volta risolvevano problemi altre volte aggrovigliavano le situazioni. Il sole di maggio certo non l'aiutava a riflettere, riusciva solo a pensare che aveva bisogno di bere un po' d'acqua o di rinfrescarsi la testa. Per quanto amasse i suoi capelli, in quel frangente le parve fossero un ostacolo alla frescura e avrebbe voluto rasarli seduta stante. Le sue gambe iniziavano a sentire la fatica, anche le sue amate Converse iniziavo a rivoltarsi contro la sua improvvisa necessità di camminare. Fortunatamente i platani secolari di Viale Colombo erano ancora lì a gettare ombra e frescura sul selciato rovente.

Artemide si fece strada tra i piccoli vicoli pedonali del quartiere navigatori, dove da qualche anno a quella parte le macchine non potevano più transitare, dando ai residenti la possibilità di lasciare le loro vetture poco fuori il centro residenziale e raggiungere la loro casa con mezzi condivisi o navette predisposte. Queste scelte avevano permesso di liberare le strette strade dal parcheggio selvaggio e lasciare il passaggio libero al gioco dei ragazzi per la strada. Le buone intenzioni di quelle decisioni lasciarono però il posto a spacciatori e persone mal intenzionate perché bambini e giovani vivano la loro vita nelle mura protette della scuola o di casa. Chi non studiava o non lavorava difficilmente si faceva notare, al contrario si nascondeva dagli occhi dei delatori.

Così Artemide accelerò il passo tenendo stretta la tracolla della sua borsetta e stringendo ancora più saldamente il cellulare. Quando riconobbe il palazzo che aveva visitato con Umberto, tirò un sospiro di sollievo. Iniziò persino a correre.

Aprì la porta di lamiera da cui era entrata insieme a lui e percorse le scale di gran fretta.

Spalancò l'accesso al garage e quello che vide la lasciò senza fiato. Sentì un forte odore di vernice invaderle le narici e quando si riprese dallo stordimento si rese conto che il garage era vuoto. Le basculanti abbassate, le pareti ridipinte e un gran silenzio. Percorse il passaggio principale fino allo slargo dove era la zona comune ma non c'era più nulla e nessuno. Guardò la porticina che doveva comunicare con la cucina ma era sparita completamente, non c'era più nulla, né le pareti né la porta. Solo i segni di qualcosa appoggiata sul pavimento e poi rimossa.

-          C'è nessuno? – chiese in preda alla disperazione. – Anna? – urlò di nuovo – Umberto?! – chiamò a gran voce. Sentì solo il rimbombo della sua voce che riverberava tra le pareti spoglie.

-          Non serve che strilli in questo modo. – finalmente una voce familiare la risollevò dalle sue fatiche. – cosa vuoi? –

-          Ciao Anna, hai visto Umberto? Dovrei parlargli – chiese ansiosa.

-          Per dirgli cosa? Che il tuo moroso lo accusa di avergli sparato? – Artemide rimase di stucco e senza parole mentre un sorriso sghembo attraversava il volto della donna trasfigurandone i tratti dolci – non sai con chi hai a che fare, ragazzina, lascia ai grandi le cose importanti. – d'un tratto Artemide si rese conto di chi aveva davanti, una donna arida, calcolatrice che la detestava. Forse detestava anche sua nonna e sentiva che l'astio che provava nei suoi confronti era legato a qualcosa di più grande che Artemide non capiva.

-          E tu come fai a saperlo? – chiese sospinta da furente curiosità.

-          Gioia bella, - la derise – sappiamo molte cose ma non per questo le devi sapere anche tu. – le rispose sgarbata.

-          Umberto sta bene? – chiese preoccupata.

-          Non è un problema tuo. – la redarguì – sapevo che saresti corsa qui, che una volta visto questo posto avresti mandato tutto a puttane, ma Umberto non mi ha ascoltata e adesso abbiamo dovuto mandare via tutti. Per colpa tua molte famiglie non sapranno più dove andare, cosa dare da mangiare ai propri figli, come poter avere un lavoro che li rimetta in gioco. Contenta? Questo non è il posto per il servizio civile obbligatorio, bella mia, cosa credevi? –

Artemide la osservava. Per la seconda volta in un giorno si ritrovò davanti una persona che stava mostrando un altro lato di sé, forse quello vero o forse un'altra maschera. L'infermiera Anna che l'aveva accolta con un sorriso, che l'aveva portata a vedere Temistocle ferito non era quella che la stava guardando con occhi severi. La sua presenza in quel garage abbandonato la faceva sembrare potente. Forse era la sua altezza, le sue spalle larghe o il riverbero della voce che la facevano apparire come un personaggio leggendario che si vede solo nelle intro dei video games. La t-shirt morbida infilata in jeans di qualche taglia più grandi la rendeva piuttosto ordinaria nell'aspetto, ma la potenza della sua voce e le lame affilate delle sue parole la intimidivano.  Le fu chiaro che voleva mandarla via ma lei doveva sapere, non se ne sarebbe andata se non avesse avuto una qualche riposta, così prese coraggio.

-          Voglio solo capire cosa sta succedendo. Visto che sai tutto, che sapevi che aveva fatto la vasca probabilmente sai anche perché a lui ha fatto un effetto diverso dal mio e probabilmente sai anche cosa mettono nel liquido all'interno. – la sua voce era calma quando pose le domande, mentre il suo corpo tremava nonostante fosse molto accaldata.

-          Perché lo vuoi sapere? – le chiese ancora severa.

-          Come perché? – il tremolio improvvisamente sparì, se Anna l'accusava di aver causato tutto quel trambusto aveva almeno bisogno di sapere cosa poteva averlo innescato – perché oggi una persona che amo ha accusato un mio amico ingiustamente, perché io so chi gli ha sparato e non è Umberto. Voglio sapere e probabilmente tu lo sai, perché Temistocle se n'è uscito con questa stronzata. Lo sai o non lo sai? Dov'è Umberto? Vorrei parlare con lui. – chiosò decisa.

Anna la osservava con sguardo immutato. Algida come un ghiacciolo in un freezer, nemmeno l'afa di quel pomeriggio di fine maggio poteva scalfire la sua freddezza.

-          Vieni con me – le disse girandole le spalle e avviandosi verso una porta secondaria.

-          No – rispose Artemide decisa – non vengo da nessuna parte con te se prima non mi spieghi.

-          Va bene, resta pure lì, io ho da fare, ci vediamo – si girò e riprese il suo percorso.

Artemide si rese conto di aver fatto una sciocchezza, ma era in dubbio. Anna si era rivelata come una persona aggressiva e imprevedibile, forse era il momento di seguire i consigli di Umberto di stare lontana da situazioni potenzialmente pericolose. Pensò che se l'avesse portata in un angolo nascosto avrebbe potuto anche rapirla o peggio, nessuno sapeva fosse lì. Ma la curiosità, l'istinto che guidava i suoi piedi la pensavano in modo diverso e senza nemmeno rendersene conto si ritrovò a seguirla all'interno della tromba delle scale che conduceva ai piani abitati. 

Salirono velocemente diverse rampe in una tromba fresca riempita del profumo del detergente per i marmi. Anna qualche gradino più avanti a lei iniziò ad armeggiare con qualcosa di metallico in tasca. In quel palazzo usavano ancora le chiavi evidentemente. Arrivate a un pianerottolo Artemide osservò la donna avvicinarsi a una porta scura. Un ovale in ottone riportava una scritta che le parve un'insolita coincidenza "Torre T.". Non poteva essere un caso ma allo stesso tempo sperava che fosse solo un omonimo.

Entrate nell'appartamento Anna le fece cenno di aspettarla, mentre si allontanava dall'ingresso. Il piccolo atrio con un elegante specchio a tutta figura le riproponeva il suo riflesso. Stentava a riconoscersi, ancora accaldata, spettinata con la sua borsetta a tracolla. Quella mattina si sentiva carina e a suo agio, mentre quel riflesso la faceva apparire piccola e insignificante. Nel tentativo di distogliere l'attenzione da quei pensieri cupi, si affacciò all'ampia sala rettangolare, circondata da librerie colme di tomi stampati. Le parve una visione insolita. Erano pochi gli estimatori della carta stampata, oramai erano tutti passati al digitale. Fu incuriosita e si avvicinò leggendo alcuni titoli dal dorso lucido e ben spolverato. Vi erano Tolkien, Orwell, Wilde, grandi classici che conosceva mescolati a titoli inconsueti che non aveva mai sentito. Il dorso di uno di questi sconosciuti la colpì, c'era un occhio molto grafico con effetti particolari e toni caldi, lesse il titolo "Ember", ve ne erano altri in successione con copertine simili e nomi strani della stessa autrice. Poi altri lesse "Il ponte di Nessuno", "53 secondi", "Gli occhi del Ronin" e numerosi altri che non sapeva ricondurre. Avevano l'aria consunta, alcuni anche gli angoli piegati in alto.  Chissà chi li aveva letti con così tanta passione.

-          Non ti avevo detto di aspettare in ingresso? – la riprese nuovamente Anna.

-          Veramente non hai detto nulla. – sottolineò. Anna sbuffò e la invitò a seguirla con un gesto veloce del polso.

Si infilarono in qualche corridoio buio per poi arrivare in una stanza luminosa e piccola, anch'essa circondata di librerie stipate di volumi. Dovette riadattare i suoi occhi alla luce prima di accorgersi che nella stanza c'era un'altra persona. Un uomo alto di bella presenza ancora in forma con capelli e la barba bianchi che sottolineavano la sua maturità così come le sottili rughe che contornavano gli occhi. Quegli occhi erano particolari, le ricordavano qualcuno, ma non sapeva bene a chi ricondurli.

-          Buon giorno Artemide – la sua voce calda e tranquilla di uomo adulto la accolse – Sono Tarcisio Torre. – la targhetta sulla porta – sono uno degli zii di Temistocle. – a questa presentazione Artemide non era preparata e probabilmente il suo stupore fu palese quando all'improvviso si fece pallida e dovette sedersi – Anna per cortesia ci porteresti dell'acqua? – Tarcisio chiese gentile mentre aiutava Artemide a prendere posto in un'elegante poltroncina di fronte alla grande scrivania di legno scuro.

Artemide non ebbe modo di osservare Anna uscire, ma sentiva la sua stizza anche stando di spalle, tentando di assorbire una notizia che ancora non capiva, così provò a spezzare la tensione:

-          È uno scherzo vero? – chiese a mezza voce.

-          No, temo di no. – rispose l'uomo rimanendo appoggiato con il bacino alla scrivania. – nonostante Anna non approvi molto, credo sia tempo che tu ti renda conto di cosa sta succedendo, per te, per la tua famiglia e per il tuo futuro. Ammetto che Anna non ti vorrebbe tra i piedi, non lo nasconde bene, ma anche in nome dell'amicizia e dell'affetto che mi legava a tua nonna mi sento in dovere di aiutarti a capire. – Artemide ebbe un sussulto a quelle parole e guardandolo negli occhi capì a chi assomigliavano tanto, erano uguali a quelli di Temistocle la sera che lo aveva incontrato nel vicolo del BarAtro. Sentì una brutta sensazione, l'ennesima, alla bocca dello stomaco, come se una palla di gomma si fosse bloccata alla base dell'esofago e spingesse per scendere. Le mancava il fiato. Anna arrivò irruenta con una caraffa di acqua e tre bicchieri. Fu Tarcisio a riempirne uno e offrirlo alla giovane ragazza vicina a una crisi di panico. – Anna grazie per l'acqua, per piacere quando esci chiuderesti la porta? Saresti così gentile? – Artemide percepì Anna sbuffare come un toro in un recinto per poi uscire dalla stanza sbattendo la porta bianca che vide con la coda dell'occhio.

Bevve un primo sorso d'acqua che le rinfrescò l'ugola, mentre il secondo le diede maggiore conforto mentre osservava la stanza che li accoglieva. Le pareti e la porta bianca contrastavano con il legno scuro delle librerie. Le facevano uno strano effetto, era abituata a vedere scaffali sottili, lucidi e mai così tanta carta. Evidentemente il suo stupore fu colto da Tarcisio che si sentì in dovere di dare spiegazioni:

-          Sono antiche, le librerie di legno vero e massiccio sono di inizio Novecento, per i libri ho un permesso speciale per ogni acquisto che faccio devo dare carta da riciclo.  – ad Artemide sovvenne il divieto di avere più di un certo numero di carta stampata in una singola abitazione, una restrizione che non l'aveva mai particolarmente colpita visto l'uso di supporti digitali. – uno dei pochi privilegi che ho conservato grazie alla mia famiglia. – lo sguardo di Artemide si fece curioso e confuso, osservandolo bene le venne spontanea una domanda:

-          Non mi pare di averla incontrata al funerale di Dama Torre, eppure Temistocle mi aveva detto che i sette figli ci sarebbero stati tutti. Quindi? – chiese a fil di voce.

-          Non ti ha mentito, se non che i figli di Dama Torre siano otto e che io sono, come avremo detto un tempo, "la pecora nera", l'evento inaspettato, considerando che sono anche il primogenito. – quella dichiarazione la sorprese, facendo crollare un altro piano del suo fragile castello di carte. Non erano quindi una famiglia perfetta, l'amore non li univa.

-          Perché sono qui? – gli chiese senza quasi più forze, armeggiò nella sua borsetta e prese il telefono cercando una via di fuga qualunque, era confusa e stordita – forse dovrei andare mia madre mi sta cercando – mentì spudoratamente.

-          Quell'aggeggio in questa stanza non funziona, ma se te ne vuoi andare sentiti libera, io vorrei solo regalarti un'altra fetta di verità. Ti ho vista venire spesso ad aiutare in cucina, ho visto Umberto cambiare atteggiamento nei tuoi confronti, portarvi al campo di sopravvivenza ne è una prova. Ti meriti di sapere in cosa sei finita, ma se non ti senti pronta posso capirlo. – Artemide si sentì sciocca, aveva rincorso la verità e ora che le veniva regalata non poteva certo rifiutarla. Prese coraggio e annuì, così Tarcisio iniziò il suo racconto. –Mia madre era sempre stata impegnata con charity e filantropia, mentre mio padre si occupava dell'azienda vinicola e degli altri affari della famiglia. A me interessavano molto le  associazioni di Charity di mia madre, ma non volevo limitarmi a quello. Durante la mia gioventù volevo fare di più per il mio paese, sentivo la necessità di rendere qualcosa alla società, allo stato. Così mi arruolai. Mio padre era contento e fiero, la carriera militare in una famiglia come la nostra era ben voluta. Dopo la magistrale a venticinque anni mi sono avventurato con il corpo degli Alpini. Con loro ho fatto diverse missioni, sono salito di grado e ho aiutato molte persone, - Tarcisio aveva un'aria nostalgica ricordando quei momenti e gli occhi vagamente lucidi -  in Italia durante la pandemia del 20, in Ucraina durante la guerra con la Russia, a Taiwan o meglio sul confine per accogliere i profughi. Fu in quell'occasione che conobbi il padre di Umberto sai, mi aiutò in patria con le traduzioni e l'accoglienza dei fuggitivi a Verona. – si ravvivò a quel punto,- Eravamo alla seconda elezione del presidente Gridi quando hanno tolto l'obbligo scolastico e hanno alzato le tasse scolastiche che diventarono inaccessibili per alcuni. Così mi venne l'idea di aiutarli, gli Alpini però non potevano, non avevano uno scopo simile. Così mi dimisi e congedai per potermi dedicare a ciò che conosci come "gli esclusi". Come ben sai se non ti diplomi non puoi lavorare, dopo il diploma c'è il servizio civile obbligatorio che conferma il tuo diritto al voto. Chi non si diploma non lavora, non fa il servizio civile e non può votare. Furono anni difficili per me perché mio fratello Tiberio, che tu conosci per essere il più grande, era ed è tuttora in politica. Erano lotte estreme a casa quando ci trovavamo dai miei. Lui era quello bravo sposato con due figli e una carriera stabile e in ascesa io quello che aveva abbandonato tutto per aiutare i fannulloni, a dirla con le loro parole, ancora celibe senza l'ombra di progenie. Quando morì mio padre, nel trentaquattro, ci fu la totale spaccatura. Mia madre era completamente distratta dal suo dolore, fu semplice per Tiberio aizzarmi tutti contro. Anche Tullio, il padre di Temistocle, disse che dovevo prendermi le responsabilità della famiglia e pensare a loro a non agli altri. – Tarcisio si adombrò nuovamente. Artemide percepiva come il suo dolore per la separazione dalla famiglia fosse ancora vivo, la sua voce roca e spezzata faceva anche intuire una sorta di rabbia – presi la mia parte di eredità e feci della mia vita ciò che volevo di più, aiutare gli altri. L'anno successivo fondai la Pro Omnibus insieme ad altri amici e sostenitori. Ero felice di poter fare qualcosa. Siamo riusciti a far frequentare le scuola a diversi ragazzi, grazie alle borse di studio, alle raccolte fondi o gli esami da privatisti. Ma Tiberio non sopportava che io aggirassi la legge e che, soprattutto, lo mettessi in imbarazzo.

-          E tutto questo cosa ha a che fare con me e Temistocle? – Artemide sentiva la testa girare, ancora una volta sopraffatta da altre vite, altri vissuti, altre storie.

-          Temistocle è un caro ragazzo ma è stato cresciuto in un ambiente mal sano. I suoi privilegi non li vede, per lui sono la normalità, sua madre poi è una donna che non ho mai capito come potesse aver fatto innamorare Tullio, se lo rigira come vuole.

-          Forse a lui piace – disse Artemide senza pensare, con la sola voglia di capire – ma ancora non capisco.

-          I Torre sono ovunque. Il vino, la politica, l'hotellerie e i mezzi di difesa, cioè sono anche armaioli. I nostri sospetti sono su dei soggetti che hanno seguito Temistocle credendolo Giulio. Anche lui è stato a casa tua no? Suo padre, Tobia il terzo genito, si occupa di armi. Non oso nemmeno pensare come gestisca i suoi affari.

-          Giulio? Il padre di Giulio è un trafficante d'armi? – chiese sbalordita.

-          Non so se sia anche trafficante, ma imprenditore sicuramente sì, con contratti governativi e regionali, tutto in regola secondo i loro parametri e se non lo fosse c'è Tiberio a far diventare tutto lecito. – ammise a denti stretti. Artemide lo ascoltava assorta, le mancavano ancora dei pezzi:

-          Cosa c'entrava mia nonna in tutto questo? E Umberto? Temistocle come ha può averlo  identificato se non era lui? – chiese in una confusa tempesta di domande.

-          Capisco la tua voglia di avere tutti i pezzi del puzzle, ma posso solo iniziare dalla fine. – ammise – Sia tu sia mio nipote siete stati sottoposti alla vasca di deprivazione, una tecnica di interrogazione in continua evoluzione. Tu sei stata immersa in una soluzione di Novogranetepam, una sostanza calmante e eccitante che stimola la memoria libera. Non è legale perché una delle sue componenti è la cocaina. – Artemide lo guardò basita e si rese conto del perché non ci fossero documenti accessibili in rete – Quello che hanno dato a Temistocle era diverso. Non doveva venire fuori la storia di Giulio e Tobia così hanno trovato qualcuno da accusare. Umberto era perfetto. Schiavon, il commissario che ti ha interrogata, è un grande amico della Betty, Elisabetta, la mamma di Temistocle. – Artemide sussultò e un sorriso sghembo le mutò il viso.

-          Sembra veramente che siate dappertutto. Scommetto che anche l'aggressione a mia nonna potrebbe essere ricondotta a loro – disse sarcastica.

-          Non sono mai riuscito a provarlo, ma sono convinto che anche quella volta ci fosse dietro la mia famiglia. Tiberio non sopportava tua nonna, spesso lei era in comitati di protesta, associazioni di inclusione per i diritti civili. Sono famose alcune loro litigate pubbliche. Le hanno rimosse dall'internet, ma in questa stanza ho un archivio piuttosto interessante se fossi curiosa. – la informò – mi sono reso conto che staccarmi dalla mia famiglia li ha resi livorosi e vendicativi, per questo io rimango sempre nelle retrovie. Solo la presenza del mio nome è motivo per loro di agire senza logica pur di disturbarmi o mettermi i bastoni tra le ruote.

-          Dov'è Umberto adesso? Sta bene? – chiese preoccupata.

-          Deve rimanere nascosto per un po', finché non si saranno calmate le acque e per questo ci servi tu. – le disse.

-          Io? -  lo guardò stupita – cosa mai potrei fare? – chiese.

-          Dovresti alzare un polverone.


Angolo Autrice

Qualcosa di complica, qualcosa è più chiara.

Questa grande famiglia Torre inizia a essere un po' invadente, sono come il prezzemolo, si attaccano ovunque. Come potrà alzare un polverone la povera Artemide che non ne può più...tra poco inoltre compirà diciotto anni, diverrà maggiorenne. Chissà quale regalo potrà sorprenderla.

Stavolta lo studio di Tarcisio non è una mia foto, ma arriva dal sito pianeta design.

Attendo sempre i vostri commenti e consigli.

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