3 - Coincidenze*
Le pareti strette e il soffitto basso del corridoio che conduceva alla piccola toilette, sembravano un passaggio segreto misterioso in una favola zuccherosa. Vedere i lunghi ricci di Vittoria incunearsi in quegli anfratti sembrò assistere ad Alice che cade nel buco del Bianconiglio. Le labbra di Artemide si piegarono in un sorriso distorto mentre si versava un altro calice sotto l'occhio redarguente di Sandro, con una smorfia lo tranquillizzò.
Si alzò dall'angusto tavolino, cellulare in tasca, sigaretta elettronica, calice di vino e finalmente l'aria fresca del vicolo la rimisero in sesto. La pioggerella sottile aveva lasciato il posto a un cielo sereno, lasciando i ciottoli del selciato bagnati e tutto riluceva e brillava in modo straordinario.
Si appoggiò al muro alzando una gamba e mettendo il piede sulla parete di fronte all'ingresso del Bar-atro. Sollevò lo sguardo verso il cielo ormai buio, inalando grandi boccate di aria alternate a svapate al caramello.
L'aria della sera primaverile aveva un suo sapore, l'odore primordiale della pioggia aveva un grande fascino anche se era sul selciato di una città antica e non sulla terra nuda. Così in un momento di distacco totale dalla realtà Artemide si ritrovò appiccicata ad un muro, con il calice in mano appoggiato alla coscia, la sigaretta elettronica mollemente trattenuta dall'altra mano rilassata lungo i fianchi, gli occhi chiusi e la testa in alto.
Respirò. Profondamente. Sorrise. Portò il calice alla bocca e ne prese un altro piccolo sorso, e sorrise ancora. Si stranì da quella sensazione. Tra la piacevolezza di quel singolo momento e l'evento tragico delle ultime ore, le sembrò tutto assurdo e la sola cosa che riuscì a fare fu sorridere nuovamente.
«Dev'essere buono se fa sorridere così – una voce profonda, calda arrivò vicino al suo orecchio facendola trasalire, ma non mosse un muscolo, aprì solo gli occhi – No ti prego, chiudili, non puoi aprire degli occhi così senza avvisare!» Artemide rise, anche se forse non avrebbe dovuto. Il ragazzo si scostò riparandosi il volto.
«Sì il vino è molto buono, mi fa venire gli occhi belli, vuoi? – Chiese allungando il calice nella sua direzione. Quando il ragazzo tolse le mani dal viso, si accorse che aveva un qualcosa di familiare, ma non ricordava cosa e in quel momento non aveva molta voglia di rovistare nei suoi ricordi ulteriormente, così liquidò ogni dubbio – ti conosco?»
«Uhh ma così mi uccidi! – le sue mani grandi e scolpite, dal polso definito e ossuto, si poggiarono sul suo petto, come se gli fosse stata inflitta una ferita al cuore, mentre la sua voce acquistò un tono teatrale. – non ti ricordi di me?» Chiese sfoggiando quella voce calda e ruvida, senza accento. Artemide lo fissò, non era molto in vena di giochini. I suoi occhi ridotti a fessura erano una maschera per il suo totale disinteresse per un indovinello simile. Come potrebbe avere ricordi di un viso così comune? Il suo naso dritto e proporzionato non poteva certo imprimersi nella sua memoria, così come i suoi capelli dal taglio simmetrico, o le sopracciglia lunghe e regolari. Tuttavia sentiva di dover ricordare quegli occhi nocciola dalla luce stranamente familiare, così come le labbra carnose che si aprivano in un sorriso ipnotico. Nessun orpello se non un anello argenteo sull'anulare destro.
«Il vino mi fa gli occhi belli, ma gioca brutti scherzi. Dovrei?» Chiese Artemide arrendevole, sorseggiando un altro po' di nettare.
«Sono Temistocle Torre Boselli! Temy, ero il migliore amico di tuo fratello Achille... ti ricordi ora?» Chiese lui, con un lieve malcelato imbarazzo.
«Oh mio Dio! – Artemide ricordò – quando Achille chiamava Temy non sapevamo mai chi chiamasse. Ora mi ricordo! È una vita che non ti vedo, dove sei finito? Perché non sei più amico di mio fratello?» Chiese con toni accesi, in un'esplosione di entusiasmo sorseggiando ancora il vino che stava ormai finendo.
«Ci siamo trasferiti un paio d'anni fa. Prima del liceo. E ho perso di vista tutti.» Temy rimaneva a distanza, con la sua serafino bianco latte che lasciava scoperte le clavicole, la giacca ampia sopra un paio di jeans morbidi. Spesso la mano scostava i capelli che gli cadevano sulla fronte abbronzata. Aveva uno sguardo strano, sfuggente a tratti, brillante. Artemide non era in grado in percepire i suoi piccoli sguardi, il suo sfuggevole imbarazzo, lei era un fiume in piena, un'onda rabbiosa e dispettosa.
«Meco...Los Angeles... hai capito... e sei qui perché?..» Chiese dando fondo al calice.
«È morta mia nonna.» rispose calmo
«Ahn- Artemide non seppe più cosa fare, d'un tratto le sembrò uno scherzo: un ragazzo con il suo stesso soprannome la incontrava in occasione della morte della nonna. Ma il vino, la rabbia, l'onda emotiva erano troppo forti, troppo potenti, non fu in grado di controllarli più ed esplose: - Ma anche io!» Urlò allargando le braccia verso l'alto e incoraggiando un abbraccio consolatorio. Temy rimase di stucco a quella reazione, aveva passato le ultime ore a salutare parenti e congiunti con la discrezione dovuta e un'esibizione di cordoglio come quella proprio non se l'aspettava. Vedendo la sua reticenze, Artemide si lanciò su di lui attorcigliandogli le braccia al collo senza mai abbandonare calice e la sigaretta elettronica.
Temistocle rimase senza fiato. I suoi capelli gli accarezzarono il viso, la sua testa si appoggiò alla spalla ed il suo corpo. I vestiti sottili lasciavano sentire molto del suo corpo, i suoi seni, per primi lo inchiodarono senza permettergli una contromossa. Ma quando l'esuberanza di Artemide si esaurì, sentì la sua testa ritrarsi nell'incavo del collo, vide le spalle sobbalzare e capì che le risate erano finite. Le prese i gomiti scostandola delicatamente, cercando il suo viso nascosto da una cascata di capelli oramai completamente indisciplinati.
Quando trovò quegli occhi di ghiaccio li sorprese galleggiare in un fiume di lacrime. Tenne il suo viso tra le mani e la guardò negli occhi per poi stringerla nuovamente al suo petto.
Tutto si fermò. Su quel torace. Il battito del suo cuore, il suo calore inaspettato, la sua presenza imprevista. Le sue mani e le sue braccia che la accoglievano e la cullavano nel tentativo di dare ristoro e consolazione.
«Una passeggiata? Quattro passi possono aiutare» Artemide annuì, appoggiò il calice per terra e si fece trasportare da Temy fuori dal vicolo.
All'improvviso la porta del Bar-atro si spalancò ed una voce non proprio calma inveì contro di lui:
«Hey hey hey! Bell'imbusto dove pensi di andare??? – Vittoria si palesò alle loro spalle e quando vide la sua amica in pezzi, con il volto rigato di lacrime, e palesemente sbronza, divenne furiosa – ma cosa pensavi di fare? Eh? – con passo svelto si avvicinò ad Artemide. – dai che ti porto a casa».
«No! – rispose lei – lui è Temy, Temistocle.. te lo ricordi? Io non lo ricordavo. Veniva a scuola con noi. Io, te, Achille, Temistocle poi chi c'era... aspetta... Diana, Eros... Ti ricordi? Come ci chiamavano?»
«I figli di Zeus – ricordò con senso di disgusto Vittoria. – Temy? Sei cresciuto bene... - notò – non vi eravate trasferiti?» Il tono secco e deciso della ragazza ne determinava la piena sobrietà e una certa preoccupazione per l'amica.
«Sì infatti! A Losss Angelessss- biascicò a voce alta Artemide – e indovina? Sono tornati perché è morta sua nonna! Ma non è incredibile?» Artemide stava perdendo il contegno, ma non le importava, nella testa sentiva solo "tua nonna è morta! Tua nonna è morta e non sei capace di piangerla a dovere". E questo la sconvolgeva di minuto in minuto.
«Senti, – interruppe Temistocle,- la porto sul lungadige laggiù, falle fare un caffè da qualcuno o se hai altri rimedi magici... ti aspetto là, la faccio camminare un po'.» Rispose Temy premuroso.
Vittoria annuì e rientrò nel Bar-atro di corsa.
Temy mise in piedi Artemide, le scostò i capelli dal viso e con voce delicata le sussurrò all'orecchio:
«Ti faccio camminare un po', ok? – Artemide annuì – Tieniti a me. – Temy le mise il braccio attorno alla vita e la condusse lungo il porticato che costeggiava la via, facendosi strada tra tavolini e gruppi di persone in movimento. – Non me lo ricordavo tutto sto casino.» Osservò il ragazzo senza cercare una vera risposta.
«Perché quando te ne sei andato non eravamo tipi da bar. – Rispose franca Artemide – al Bar-atro ci andiamo da un annetto e qui è più o meno sempre così» camminava abbastanza dritta, così Temy allentò la presa, tenendo la mano appoggiata al suo fianco. Gli sembrava incredibile essere vicino a lei, così vicino, cingerla. Pur essendo cresciuta aveva ancora i tratti che ricordava, molto simili a quelli del fratello, ma decisamente più delicati. La sua pelle rosea era priva di un qualsiasi segno, ed il trucco non esisteva per il suo tipo di bellezza. Le sue ciglia lunghe non necessitavano di ritocchi, erano sempre state lunghe e nere, anche da bambini. La vibrazione del telefono di Artemide si sentiva nonostante il fracasso, così come quella del cellulare di Temy all'interno della giacca.
Passato il volto arrivarono allo slargo e lì c'era il parapetto che dava al fiume. Fu un sollievo per Artemide raggiungere quella solida balaustra. Toccare il marmo fresco e allontanarsi dal calore del corpo di Temistocle. Sembrò quasi che volesse abbracciarlo quel parapetto e anche lui fu sollevato di aver raggiunto un tale traguardo.
«Come ti senti?» Le chiese con un vago tono di preoccupazione.
«Bene, bene, ho un po' caldo, ma adesso passa. Uff... - esclamò facendosi aria con la mano – ma spiegami Temistocle, come hai fatto a materializzarti nel vicolo del Bar-atro? Da Los Angeles poi? A salvare ragazzine che non ancora diritto al voto e non potrebbero consumare alcolici...Illuminami!» Lo invitò con un'aria curiosa ma distaccata, mentre prendeva il cellulare dalla tasca dei jeans.
«Ero lì vicino con i miei cugini, non li vedevo da molto e ci tenevano a farmi fare un giro, a bere qualcosa...»
«E tu hai bevuto...?- lo guardò con una vaga aria di sfida – o hai rispettato le leggi? Sei un bravo ragazzo o sei un'anima buia in cerca di redenzione?» Temy sorrise, le si avvicinò, chiudendola alla balaustra appoggiando le mani all'altezza dei sui fianchi.
«Non saprei... se fossi un'anima buia sarei in grado di riconoscerlo? Potrei vedermi in tutta quella oscurità?» Le sue parole uscirono lascive, provocatorie. Dette piano, misurate. Artemide era incuriosita. Non lo ricordava Temistocle, se non per la comunanza del nome, non ricordava nulla di lui. Non un gioco, uno sport, una merenda. Nulla. Così lo osservava con aria indagatoria, con il suo sguardo felino, esaltato dalla sbronza, senza freni inibitori.
«Non mi sembri un'anima buia, con il tuo bel sorriso e le clavicole spigolose...» Anche Artemide si scoprì con un tono di voce più che impertinente.
«Hai studiato anatomia, vedo – la guardava negli occhi, con quel sorriso bianco e regolare, con la fossetta sulla guancia. –le trovi spigolose?» Chiese carezzandole con la punta delle dita e scostando la giacca. Manteneva una posizione tale da poter sostenere il suo sguardo e lei lo ricambiava attratta dalla sua inaspettata comparsa in un momento così triste per entrambi. Eppure erano lì, appoggiati alla balaustra di un argine su un fiume in crisi d'acqua, in una notte primaverile.
«Che succede – Temistocle trasalì – un attacco aereo?»
«Ma dov'è finita Vittoria?... – Artemide era attaccata al cellulare, cercava l'amica e digitava convulsamente messaggi. – Sono le 22, coprifuoco...attento...3, 2, 1...- la città si spense. Tutta, tutta d'un colpo. Buio. La musica nei locali svanì e si sentiva solo i chiacchericcio delle persone che tornavano a casa. – Abbiamo un'ora di tempo per tornare a casa, ma non so dov'è finita Vittoria, come ci torno altrimenti?» I toni lascivi e provocanti dei pochi secondi precedenti avevano lasciato il posto a quelli più tremolanti e insicuri.
«Stai ancora dove stavate da piccoli?» La voce calda del ragazzo riacquistò un tono equilibrato e ponderato.
«Sì» Rispose senza pensare.
«Allora ti accompagno, a piedi è una passeggiata»
«Ah no! Scusa no... ci sta...ci stava mia nonna adesso, noi siamo poco fuori città. A piedi è più di un'ora di cammino e io potrei sdraiarmi e dormire su una panchina o per terra.» Artemide continuava a digitare sul telefono, ma Vittoria non si faceva vedere. Nemmeno con il miracoloso rimedio per la sbronza.
«Vieni in albergo da me.» propose Temy.
«Scusa?»
«Sono qui in fondo alla via»
«In quello là? – Artemide fece un cenno vago con la testa ma Temistocle capì – al due Torri?» Sottolineò.
«Si, i miei ... va beh... vuoi venire?»
Artemide era stanca, sentiva la giornata arrampicarsi sulle sue gambe, il peso dell'anima, e quella le sembrò un'occasione per cancellare ogni traccia di quei segni. Annuì, semplicemente. Temistocle le prese la mano e insieme camminarono sul selciato irregolare. Fu allora che Artemide ricordò quella mano. Certo ora era più grande, più definita, ma quella stretta salda, quel modo di portarla, guidarla, le accese i ricordi di un'infanzia passata ad attraversare strade accompagnata da lui. Lei sempre con la testa fra le nuvole, presa da mille pensieri, sarebbe finita sotto un filobus già la prima volta. Era lui che la traghettava da un marciapiede all'altro, facendola arrivare a destinazione incolume.
«Non hai perso l'abitudine di portarmi per mano» nelle parole di Artemide c'era nostalgia, tenerezza e lui lo sentì quel brivido, della memoria e sorrise.
Angolo Autrice
Quindi abbiamo un coprifuoco e un fiume in secca. Direi che ci sono un paio di elementi decisamente non comuni. Misure estreme o opportunità?
Poi c'è lui, Temistocle.
Ci leggiamo in giro
O.D.
Aggiornamento del 5 novembre 2023
Ho cambiato il titolo al capitolo, Rivalsa non mi piaceva molto. Ho aggiustato un po' di imprecisioni
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