2- Rabbia*


Due giorni prima


Aveva il cellulare in mano mentre usciva dalla porta. Uno squillo, due...

«Pronto Temy, allora?» Chiese Vittoria con la sua voce calda e tranquilla.

«È andata, Vittoria, mia nonna è morta – Artemide faticava a controllare il pianto che le premeva sugli occhi. Una reazione che non sapeva spiegarsi, che la stupì e sorprese, ma l'ultima cosa che voleva era piegarsi al dolore, senza capire cosa esattamente lo stesse scatenando. – dove sei?» Chiese con voce tremante ma determinata.

«A casa, vengo lì.» La voce tremante dell'amica era pregna di premura e affetto.

«No. Ci vediamo al bar. Devo prendere un po' d'aria e di alcool.» La sua voce decisa lasciò Vittoria interdetta.

«Ma Temy? Sicura?- Artemide annuiva con suoni sordi ma eloquenti - Ok ci vediamo al bar».

Artemide fu fuori dal palazzo velocemente, aveva percorso le scale e appena uscì dal portone di metallo e vetro, respirò profondamente riempiendo per bene i polmoni. 

Nonostante fosse maggio l'aria era frizzantina, oramai il sole stava tramontando e una leggera pioggerella annaffiava il panorama urbano. Le luci si accesero timide, mentre i fanali delle auto sbrilluccicavano esaltate dalla pioggia sottile.

Si abbracciò in quella giacca nera, tentando di coprirsi il più possibile. Si accorse di non avere la borsa, di essere scesa senza dire o fare nulla. Le capitava di rifuggire gli eventi sgradevoli della vita, mai come allora fu così veloce nell'allontanarsi dalla sua famiglia. Aveva solo il telefono e la sigaretta elettronica nella tasca dei jeans. Anche le sue converse non apprezzarono molto il clima, i suoi piedi intirizziti reclamavano un posto caldo, uno che conosceva bene: il bar.

In città ce n'erano molti, quasi tutti sostituiti da robot che somministravano alcool solo agli adulti dopo aver scandito il codice di riconoscimento che tutti erano obbligati a mostrare se fosse stato richiesto. Quindi mise in mostra la piastrina d'oro con il suo codice QR identificativo; non aveva nessuna voglia di sentire l'allarme dei droni di sicurezza richiederle di mostrarla. Se voleva essere lasciata in pace, la sola soluzione era sfilare quella sorta di gioiello dalla t-shirt e lasciarlo penzolare dalla collana saldata al suo collo.

Camminava svelta con le sue gambe lunghe e flessuose, i suoi capelli lunghi castani con lo sguardo rivolto a terra. "Nonna non c'è più, e come mi sento?", questa era la domanda che continuava a ronzarle in testa, non riusciva a dare un nome a quel sentimento che le aveva praticamente indicato la porta di uscita e che stava illuminando il percorso verso la sua meta come si illuminavano le vie d'uscita di emergenza sugli aerei. Ecco. Uscita ed emergenza. Quel sentimento era emergenza, allarme, sirene spiegate e lei non lo sopportava.

"Basta guardarsi le scarpe", pensò fra sé. Artemide alzò lo sguardo seria. Sua nonna era morta, un nodo le strinse la gola, ma nessuna lacrima scese dai suoi occhi. Quegli occhi color ghiaccio così grandi da attirare le falene non avrebbero prodotto alcuna lacrima finché non avesse trovato un nome per quel sentimento.

Camminava a passo svelto, con grandi falcate, con quelle gambe, con quegli occhi ed i capelli che sventolavano come le bandiere sulle navi, la faceva sembrare potente, una valchiria. Gloriosa eroina che emanava emergenza a sirene spiegate.

In un anfratto angusto che tagliava perpendicolarmente via Sottoriva, con una porticina in simil legno verde salvia, si apriva il "Bar-atro". Una dicotomia evidente, un nome così eclatante e definitivo circondato da dettagli in pizzo bianco e colori pastello. Due piccole finestre incorniciate in tono, erano lo sguardo del locale sul mondo, il solo simbolo della sua esistenza.

Artemide aveva la mano appoggiata alla maniglia d'ingresso, quando lanciò un'occhiata all'interno. Vide Sandro, il barista e unico proprietario, che asciugava i calici e preparava il bancone per gli aperitivi. Egli era sempre intento a fare qualcosa. Anche questo le ricordò sua nonna.

Lo guardò quasi commossa, sua nonna le diceva sempre che non bisognava mai farsi trovare con le mani in mano quando si ha attività commerciale, "ti farebbe sembrare annoiato e disinteressato", bisognava sempre muoversi, anche se si fosse trattato di spostare una pianta da una parte all'altra della stanza almeno un paio di volte ogni ora. Sandro evidentemente era della stessa scuola. Il Bar-atro era vuoto. I tre tavolini incastrati nelle pareti erano pronti ad accogliere i clienti, che generalmente erano i soliti, ci si conosceva per nome e non c'era mai troppa ressa.

«Eccoti!» La voce delicata di Vittoria la raggiunse sulla soglia, aveva le guance rosse e fresche di chi scende dal motorino, il casco in mano.

«Cia..»

Il caldo abbraccio di Vittoria non le permise nemmeno di liberare le sue braccia e così inerme, Artemide accolse quella dimostrazione d'affetto. Le forme morbide e generose dell'amica, unite a una statura non troppo generosa, la cinsero con una tenera dolcezza, che Artemide non riconosceva. Le sue narici furono pervase dall'intenso profumo dei lunghi capelli ricci e biondi di Vittoria, la cui testa si era infilata nell'incavo del collo di Artemide. Votata eternamente ai colori pastello, perfettamente in tono con i suoi occhi azzurro chiaro tendente al verde, era sempre a posto anche quando scendeva dal suo motorino elettrico, che le permetteva di arrivare davanti alla porta del Bar-atro.

«Mi dispiace tanto.» Vittoria aveva la voce incerta e delicata di chi non sa bene come comportarsi. Nessuna delle due aveva mai vissuto un lutto così in un'età consapevole.

«Grazie.» Non sapeva rispondere altro, Artemide con ancora i sentimenti che giravano in tondo sulla sua testa e nel suo stomaco.

«C...co.... – Vittoria era ben cosciente che non fosse proprio la domanda da fare, ma non sapendo proprio come colmare il vuoto chiese – come stai?»

«Non lo so. – rispose Artemide, dopo essersi finalmente liberata dalla stretta della sua amica e dal suo casco che le sbatteva insidioso sulle scapole. – Entriamo? Ho bisogno che Bacco mi illumini i sentimenti».

«Riesci anche a fare battute?» Lo sguardo tagliente dell'amica la trafisse come le sue parole.

«Non so bene cosa sono in grado di fare, vogliamo provare?» Le restituì un altrettanto significativo sguardo, pieno di tristezza e confuso, liquido e profondo.

Quando entrarono Sandro le accolse con un sorriso sincero, loro erano le poche ragazze che frequentavano il Bar-Atro.

«Spritz?» Chiese Vittoria.

«No,- rispose secca Artemide e rivolgendosi a Sandro ordinò – ci fai due Valpolicella Classico, scegli tu la cantina, grazie.»

«Giusto giusto, lo spritz sarebbe troppo allegro.» Annuì Vittoria che aveva già allungato la mano sulle patatine.

Contrariamente a quanto è successo in numerosi bar della città, Sandro ha mantenuto il Bar-atro a conduzione e gestione umana. Non si era piegato agli automatismi della robotica, alla mescita meccanica di certi dispenser dall'aspetto asettico e impersonale. Aveva aperto il bar per incontrare persone, per essere di supporto se necessario, di assistere alla gioia degli altri, non per fare soldi. Lo turbava che alcuni suoi colleghi affidassero i macchinari a studenti di passaggio che dovevano solo selezionare un bottone. Non era e non sarebbe mai stato il suo stile.

Al Bar-atro il vino era nelle bottiglie e per loro le apriva sempre nuove. Il suono dello stappo era musica. Il gesto e l'amore che impiegava per estrarre il tappo di sughero dal collo era elegante, delicato ma deciso.

«Quindi? – chiese Vittoria appena la prima ordinazione venne posta sul bancone – perché siamo qui?»

«Non lo so bene, avevo bisogno di aria, avevo bisogno di questo – Artemide alzò il calice – e capire. – Appoggiò il vetro sottile al labbro e bevve il primo sorso. Mentre lo ripassava nella bocca, degustandone il sapore, percependo tutti i retrogusti di quella bevanda antica, Artemide guardò quel liquido rosso intenso, mentre lo faceva roteare nel calice. – Direi che siamo qui per celebrarla, per onorarla. Per farlo bene però voglio capire con quale sentimento voglio portarla con me e salutarla per sempre.»

«Che succede ragazze? Siete tristi?» Chiese Sandro con un interesse che andava oltre il mero rapporto di lavoro, era la sua caratteristica avere cura dei suoi clienti, una cura vera e umana. Il suo forte accento veronese lo rendeva genuino e sincero.

«La nonna di Temy è morta» spiegò Vittoria senza troppi giri di parole.

«Ossignor! Quando?» chiese quasi mortificato.

Artemide controllò il telefono...

«Mezz'ora fa?!» Rispose atona.

In un gesto improvviso Sandro uscì dal suo forte della solitudine per abbracciarla. Un gesto inaspettato e non compreso. Ma a quel punto Artemide forse decise che non era necessario capire sempre tutto.

«Questa la offro io, con tutto il mio cordoglio» Dichiarò serio il barista.

Il vino iniziò a scorrere, nei bicchieri prima, in gola poi, per terminare la sua corsa nella testa, confondendola, rigirandola. Artemide iniziò a parlare a ruota libera, tentando di sviscerare tutto quello che le passava per la testa. Raccontò a Vittoria eventi che non erano mai stati importanti per la loro amicizia, o che per lo meno fino a quel momento non erano mai riemersi dalla memoria. Così nel suo parlare a macchinetta le raccontò delle torte per merenda, buone e soffici, ma che poteva mangiare in porzioni piccole e rade altrimenti le sarebbe venuta chissà quale malattia del metabolismo o cosa ancor più tremenda i brufoli! Ricordò le passeggiate, lei che li aspettava fuori da scuola e se pioveva e non avevi l'ombrello, beh "dovevi pensarci prima". Un avvenimento tornò alla memoria, tornato a galla grazie al vino e alla pioggia:

«Pioveva a dirotto quel giorno – iniziò Artemide – nonna ci aveva portati a casa e aspettava il momento che uno dei nostri genitori tornasse per occuparsi delle sue faccende. Era scalpitante, continuava a camminare avanti e indietro. Si lamentava di figlia e genero perché non erano mai puntuali. Ricordo che io e Achille eravamo seduti al tavolo in cucina facevamo merenda, pane, Nutella e del te. Siamo stati bambini abbastanza tranquilli, non c'erano mai stati, che io ricordi, problemi scolastici o di altra natura,- un tono di vanto emerse dalla sua voce, ispirato dal ricordo e dal vino - eppure lei era lì tutta un fascio di nervi, che camminava e sbraitava che i genitori di adesso non sono più capaci di fare il loro mestiere, che si fanno i fatti loro, che tutto è concesso e non ci sono regole e che è per questo che i figli vengono su storti. – Artemide aveva uno sguardo assorto mentre pensava a quel ricordo, mentre tutto sembrava più chiaro. – era sempre rabbiosa, ecco cos'era. Ecco cos'è questo tumulto nella testa e nella pancia».

«Sei sicura che non sia questo? – chiese Vittoria mostrando i bicchieri ormai vuoti – lo sai che abbiamo...hai bevuto quasi due bottiglie?»

«Ma va là - rispose Artemide – vado a svapare, così prendo una boccata d'aria.» Annunciò. Vittoria annuì e aggiunse:

«Faccio un salto in bagno.- Artemide scoppiò a ridere- beh che c'è da ridere?» La faccia sbigottita dell'amica la fece ancora più divertire e rispose tra una risata e l'altra:

«Una volta glielo dissi anche io, a mia nonna, "faccio un salto in bagno" e lei mi redarguì dicendomi "ma no che disturbi quelli sotto" e rise... non ero capace nemmeno di dire una cosa così banale come andare in bagno.» L'inflessione del suo tono era indecifrabile, tra il serio e il disperato.

Vittoria la guardò stranita, non capiva se fosse il vino o il dolore. Se ce ne fosse mai stato. Ma la rabbia, quella sì, si sentiva bene.

Angolo Autrice

Artemide è un po' ubriaca, si è bevuta un po' di vino nel tentativo di trovare sé stessa e i sentimenti che non riesce a esprimere. Dicono che il vino sia coraggio liquido, ma è anche ingannatore. 

Ci leggiamo in giro

O.D.

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