17 - Una Lettera *
L'autista della famiglia Torre che fu incaricato di portarli a casa, zigzagava abilmente tra i vari ostacoli che le strade di Verona gli ponevano davanti.
I sensori disposti sulle strisce centrali della carreggiata, utili per le macchine a guida autonoma, non lo impegnavano più di tanto. A richiedere la sua attenzione erano per la maggior parte del tempo le strisce pedonali, i semafori smart e la carreggiata della tramvia che tagliava a metà tutto Corso Milano. Era un viale piuttosto difficile da percorrere manualmente, l'eccessiva automazione di alcuni passaggi metteva in seria difficoltà ogni autista, ma lui se la stava cavando egregiamente.
Il lungo corso storico, iniziava la sua giornata ed era un brulicare di mezzi di ogni tipo. Furgoni, segway, monopattini e qualche bicicletta erano i protagonisti di quel mercoledì mattina soleggiato.
Le variopinte serrande degli esercizi commerciali iniziavano a sollevarsi con una lentezza assonnata. Così i panorami aerografi dipinti su quei pannelli in acciaio sparivano composti in intercapedini complici.
Il rumore ritmico che le ruote producevano passando sulle bande sonore delle strisce pedonali era ipnotico e rilassante. Erano tutti silenziosi e stanchi e quel rumore parve come una ninna nanna.
Artemide teneva la testa appoggiata alla spalla di Temistocle. Le loro mani unite, lungo la coscia del ragazzo, si intrecciavano confondendosi. Achille li osservava di sbieco mentre teneva a sua volta la testa appoggiata allo stipite della portiera, indugiando di tanto in tanto sullo specchietto retrovisore del passeggero che rifletteva l'immagine di Giulio.
Quando lasciarono la strada principale per una secondaria che portava alla loro casa, la musica meccanica si interruppe, l'autista sembrò rilassarsi improvvisamente.
Artemide si voltò verso il lunotto, cercando la presenza della sua amica che li stava seguendo con il motorino. La sua figura apparve dalla curva poco distante le fu di conforto, sebbene la stanchezza la stesse appesantendo, il timore per i rimproveri dei suoi genitori stava assumendo contorni solidi man mano che si avvicinavano alla meta e sentiva che la presenza dell'amica sarebbe stata indispensabile.
Il ronzio dei droni che si sollevavano in gran numero dall'aeroporto poco distante, la riportò alla realtà. Avrebbe voluto che quegli aggeggi smettessero di infestare la città con il loro rumore fastidioso. Era uno dei motivi per i quali era felice di abitare in provincia, dove l'uso che se ne faceva era più limitato.
I piccoli appezzamenti agricoli ora scorrevano veloci al di là dal finestrino e le loro mani si strinsero ancora più saldamente.
La strada procedeva tranquilla mentre svolta dopo svolta l'area delle "Cupole" iniziò a intravvedersi tra le folte chiome della vegetazione che le circondava.
La loro struttura circolare e le loro linee morbide, stridevano con gli spigoli delle case più tradizionali. Sebbene negli anni anche gli edifici più vecchi fossero state munite di coperture adibite a orto verticale, dando alla frazione una connotazione più naturale, nulla batteva la bellezza delle Cupole. Le loro ampie vetrate riflettevano la luce del sole; le rigogliose piante che crescevano attorno donavano ombra e frescura, soprattutto quando il caldo diveniva difficile da sopportare; infine il colore della terra cruda scurito con il tempo, era sintomo di robustezza e resistenza.
L'area era semi abbandonata, solo la cupola dei Rossi Bolla era abitata. Il progetto era nato come esperimento di edilizia eco-sostenibile circa vent'anni prima, e ora stava per essere smantellato in vista di uno nuovo di cui proprio il padre dei gemelli era fautore.
Quando la macchina accostò per farli scendere, Temistocle rimase completamente interdetto da quella visione. Da dove proveniva lui non esistevano progetti simili, o quanto meno non ne aveva mai visti. Accarezzò la superficie rugosa della parete esterna, sentendola emanare calore, mentre Achille si dirigeva verso il lettore biometrico.
La porta di casa Rossi Bolla si sbloccò con il consueto ronzio. Quando il battente si spalancò e la voce dell'assistente domotico si fece sentire dal vicino amplificatore a muro:
"Bentornato Achille, oggi c'è il funerale della nonna alle 15 presso la chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, vuoi indicazioni per raggiung..."
«Ciccio, stop!» la voce di Achille irruppe nel silenzio. Il simpatico nome che Achille aveva affidato al suo assistente domotico, non toglieva gravità all'evento annunciato, riportando i giovani alla seria realtà della situazione.
Per chi non fosse abituato, entrare in una stanza circolare può essere fastidioso in termini di percezione spaziale. Temistocle ne fu subito colto, restando immobile a pochi passi dall'ingresso. Si guardò intorno per poter catturare ogni dettaglio e cercare dei punti di riferimento che non gli facessero girare la testa.
Non era solo la struttura circolare a stupirlo, ma le molte linee curve che delineavano corridoi e passaggi: i muri in argilla non erano ricoperti da nessun intonaco, ma lasciati naturali; le piante abbondavano sia internamente sia esternamente; il pavimento in cotto conferiva un aspetto tradizionale e bucolico. Ne rimase estasiato, riuscendo dopo poco a muovere i suoi primi veri passi all'interno.
La luce quasi densa che invadeva tutta la prima grande stanza entrava da un'enorme vetrata che spaccava la cupola dalla sommità al terreno. Essa si frangeva su ogni cosa in quella stanza, rendendo ardua la messa a fuoco. Tuttavia non fu difficile riconoscere il grande impianto domotico, tipico ormai di ogni abitazione in Veneto, sul quale capeggiava il logo della regione. Era appeso alla parete di fronte all'ingresso, mentre un grande divano bianco che avrebbe potuto ospitare sei o sette persone troneggiava nel mezzo, così come il tavolo da pranzo con ripiano di cristallo poco distante.
A risvegliare Temistocle dal suo viaggio trasognato, fu una voce sconosciuta:
«Lele spero ci sia anche tua sorella con te!» era un tono di voce rotondo e deciso, senza sbavature «Avrei dovuto mettervi i chip sottopelle, altro che piastrina d'oro!» Chiosò senza farsi sentire troppo.
«Sì mamma sono tornata!» fu Artemide a risponderle, ma al contrario della madre, nelle sue parole c'erano vibrazioni incerte, ricche di plurimi significati.
Achille guardò la sorella:
«Vai da lei, spiegale.» La incoraggiò a varcare quel passaggio arcuato e armonioso che separava la cucina dal soggiorno.
Artemide non poté che annuire. Cercò lo sguardo complice di Vittoria e lo trovò incoraggiante mentre ella stessa si avvicinava alla cucina.
Entrarono timidi in quella stanza accogliente. Achille fu il primo a fare il suo ingresso con la consueta irruenza giovanile, spalancando il frigo e cercando qualcosa da bere.
«Buon giorno Susanna, condoglianze» fu Vittoria la prima ad avvicinarsi alla donna che rimaneva seduta al tavolo tondo con il suo caffè e il tablet per leggere le notizie, la ringraziò con un cenno del capo senza togliere lo sguardo dalla figlia.
Achille prese alcuni bicchieri dal pensile di simil legno bianco proprio accanto a frigo, posandoli con delicatezza sulla grande isola centrale. Si versò un bicchiere d'acqua e invitò i suoi ospiti a fare altrettanto.
«Ciao mamma» riuscì a dire Artemide.
Quando Susanna la vide i suoi occhi si riempirono di lacrime, si alzò e velocemente si diresse verso la figlia abbracciandola con immenso trasporto.
«Sei tornata finalmente!» piangeva copiosamente. Artemide si unì al pianto della madre stringendola ed abbracciandola forte come avrebbe dovuto fare il giorno della dipartita della nonna. «Per fortuna tuo fratello mi ha tenuta aggiornata, per un momento mi sono pentita di non averti fatto mettere il chip,» le accarezzava e baciava i capelli in modo concitato «come stai?» Le chiese Susanna guardandola negli occhi pieni di lacrime.
«Io? Io sto bene mamma, tu piuttosto?» le chiese tentando di recuperare un po' di spazio. «scusa mamma, scusa veramente tanto. Mi dispiace ma...»
«Non importa, non ora. Ora sei qui, sto meglio. Anche grazie ai messaggi di tuo fratello, non voglio più dover pensare che ho sbagliato a non fare quella cosa del sottopelle!» la rimproverò guardandola negli occhi e accarezzandole i capelli ormai scomposti e arruffati e scorrendo sorpresa sull'abito elegante che sfoggiava «come sei bella!» le disse abbracciandola di nuovo.
«Mamma, in questi due giorni sono successe un po' di cose, vorrei presentarti una persona» le disse.
«Tuo fratello mi ha scritto che eri con Temistocle il vostro compagno delle medie, è lui? Mi ha detto di stare tranquilla che stavi bene, mi sono messa il cuore in pace» le disse quando il pianto si stava calmando «magari tuo padre non è proprio contento, quindi andateci piano con lui, ok?» riuscì a dire.
«Ecco lui è Temistocle e lui è Giulio, cugino di Temistocle» Li introdusse con delicatezza, conscia del momento delicato della madre. Susanna si accorse della loro presenza solo dopo, come se fosse appena uscita da uno stato di trance.
Ella si asciugò il volto con un fazzoletto di carta sfilato dalla manica del cardigan grigio che copriva un sobrio abito nero, annuendo con ritrovata serenità alla figlia. Temistocle e Giulio si avvicinarono per presentarsi.
I lunghi capelli castani della donna, un po' sbiaditi dall'età, erano raccolti in una pesante treccia alla base della nuca, i suoi occhi, azzurri come il cielo, erano rossi e gonfi. I lineamenti delicati e la pelle chiara erano tratti inconfondibili, era evidente la sua parentela con Artemide e Achille. Allungò la mano rispondendo al loro saluto.
Susanna ricordava che Temistocle fosse un ragazzino magrolino ma vigoroso e un sorriso più grande della faccia. Ora però davanti a lei non c'era più quel ragazzetto, ma un uomo alto, distinto, in un completo nero, con la camicia leggermente sbottonata ed i capelli in disordine. I suoi occhi nocciola avevano conservato qualcosa del suo sguardo curioso e sincero di bambino, ma dicevano molto di più, qualcosa che Susanna non riusciva bene a decifrare.
«Condoglianze signora Rossi Bolla,» allungò una mano per porgerle un saluto formale e Susanna accettò la sua salda stretta, «sono Temistocle Torre Boselli, non so se si ricorda».
«Grazie Temistocle» gli rispose con un timido sorriso «sì, mi ricordo di te, eri molto diverso, ma ricordo ancora qualcosa, vi siete trasferiti in America, no? Come mai qui?» chiese con delicatezza.
«Ci accomuna una triste sorte, ho perso mia nonna in tempi recenti e ieri abbiamo celebrato il funerale» spiegò mantenendo un tono formale.
«Oh Madonna! Allora ti prego di accettare anche le mie condoglianze» gli strinse la mano con fare consolatorio, abbandonando i dettagli più formali. Fu quindi il turno di Giulio:
«Condoglianze signora Rossi Bolla, sono Giulio Torre Beretta, il cugino di Temistocle» Giulio allungò la mano e le porse i suoi saluti formali con tutto il contegno che gli era possibile.
«Condoglianze anche a te per la perdita della nonna.»
Fu un momento delicato, in equilibrio sopra il dolore della perdita, nella fragilità della vita umana, nella consapevolezza angosciante che siamo solo di passaggio e che la vita prosegue. Susanna osservò quei ragazzi che evidentemente non avevano dormito, sentì la loro gioventù, la loro voglia di crescere in quel rispettoso silenzio.
Achille si mosse piano verso i pensili della cucina ed iniziò ad armeggiare con moka e caffè.
«Vittoria per cortesia, potresti prepararlo tu il caffè? Devo parlare un attimo con questi due» le disse, spezzando il silenzio e la tensione. Vittoria annuì, mentre Achille ed Artemide si guardarono con aria interrogativa. «Venite qui, forza» indicando le sedie attorno al tavolo «dobbiamo scambiarci due parole prima di oggi.»
I gemelli obbedirono senza protestare, con un certo senso di colpa, mentre Giulio e Temistocle si approcciarono a Vittoria, con l'intento di lasciare loro un po' di privacy nonostante l'open space.
«Allora» Susanna prese fiato «oggi celebreremo il funerale a vostra nonna, e dopo la cerimonia ospiteremo un po' di persone nella casa di via Quattro Novembre. Prima di parlare di come organizzarci, vi do questa. L'ha scritta vostra nonna per voi, qualche tempo fa, non so di preciso quando, me l'ha data la settimana scorsa quando la malattia l'ha messa a letto. Come se sapesse che non sarebbe riuscita a parlarvi, come di fatto è stato.» Susanna fece scivolare la busta verso i figli, consegnando loro le ultime parole della nonna, lo sguardo umido e il labbro tremulo a tradire la sua forte emozione.
Non dissero nulla, non ringraziarono, non fecero domande. Con mani tremanti presero la busta e l'aprirono.
"Cari nipoti, Cari Achille e Artemide,"
Furono le prime parole che lessero.
Un colpo al cuore. Si guardarono intorno inespressivi, cercando una sorta di approvazione da chi era con loro. Quindi fecero quello che facevano sempre quando vivevano un momento particolare, che fosse gioia o tristezza.
Lasciarono la stanza in silenzio e si diressero verso la cabina armadio dei genitori, si sedettero per terra con i vestiti profumati appesi che lambivano i loro corpi, come carezze. Fu lì che si rifugiarono per leggere quella lettera.
"Verona, 23 aprile 2049
Cari nipoti, Cari Achille e Artemide,
stanotte vi ho sognati e non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di voi che si è impressa nella mia mente. Eravate ancora piccoli, con le finestre nei denti, i sorrisi giganti e le mani sporche di gelato.
Correvate in un prato grande pieno di margherite e mi chiamavate "Nonna! Nonna!". Ho sentito le lacrime scendere nel sonno, perché ricordo bene com'è stato la prima volta che mi avete chiamata così, e ora le mie guance si bagnano di nuovo. Nel sogno mi correvate incontro e mi abbracciavate forte forte; la sensazione delle vostre braccia morbide e candide mi scalda ancora il cuore; i vostri occhi così azzurri sotto il cielo terso di una tiepida primavera. Vi ricorderò per sempre così.
È con questa sensazione meravigliosa nel cuore che scrivo queste mie ultime parole. Avrei tanto voluto parlarvi ancora un po', ma mi manca il fiato e la forza.
Siete così belli, giovani, forti e sono la nonna più orgogliosa del mondo. Peccato che abbia passato il mio tempo a rimuginare sul mio passato, a raccontarvi le paure incontrollabili della mia vita, invece che spronarvi a sognare il futuro. Me ne sono resa conto solo da quando la mia salute ha iniziato a vacillare.
Sono così profondamente radicata alle mie paure, che nel tentativo di combatterle le ho legate ancora più saldamente alla mia vita. Un errore a cui non posso porre rimedio.
So che con i vostri cugini facevate scommesse a Natale su quale argomento del passato vi avrei intrattenuti dopo il terzo prosecco, lo vedevo nei vostri occhi lo scherno per questa mia fissazione. I vostri cugini sono molto diversi, mi istigavano per puro divertimento. Voi due invece eravate interessati, ma sentivo che non apprezzavate il contesto.
Il Natale del caldo record del '42, quando si usciva senza cappotto e quasi non accendemmo il riscaldamento, vi avevo annoiati con l'esplosione di Chernobyl. Ersilia mi faceva continue domande, nel tentativo di farmi biascicare e cogliermi in fallo, ma voi invece mi guardavate seri, ascoltavate.
La Pasqua successiva, quella del '43, l'ultima che passai con vostro nonno, pregai fino all'ultimo che non andasse con la protezione civile per aiutare gli alluvionati della Laguna Veneziana...ma era più forte di lui: doveva aiutare gli altri. Passai ore camminando su e giù per la sala, sproloquiando su quanto fosse inefficiente il sistema di drenaggio dell'acqua, che la corrente di risalita del mare non avrebbe aiutato. E voi lì, ad ascoltare ogni mio discorso, finché non venne di persona il comandate dell'unità del nonno per dirmi che era disperso.
Non volli crollare di fronte a voi. Volevo che mi vedeste forte, anche contro le avversità. Che la forza di volontà, l'intelletto e il controllo potevano avere la meglio anche in quel momento. Ma io dentro ero morta con lui. La parte allegra e vivace, quella curiosa e simpatica era stata spazzata via.
Mi dispiace che abbiate visto questo lato di me così rigido e nervoso, non è mai stata colpa vostra.
Piuttosto la responsabilità di chi sono diventata è sicuramente mia, ma anche delle cose che sono avvenute dopo. Ho cercato quell'allegria, quella che vostro nonno portava sempre con sé, vi ho portati al mare nel '45 per il vostro compleanno, senza considerare che a Rosolina erano apparse le alghe rosse, quelle tossiche e che per la stessa ragione avevano messo tutti in quarantena. Che disastro di compleanno. Eppure ricordo bene che non avevo ammesso la mia superficialità, sono stata proprio sciocca. Lo vedevo nei vostri occhi che non capivate quello che mi stava passando per la testa.
Porto nel cuore la prima torta di mele di Artemide, mi ricordò quando io la cucinavo per vostra mamma, almeno le mele sono rimaste quelle di un tempo. Così come ricordo con il sorriso tutte le ginocchia sbucciate di Achille fatte al parchetto giocando a basket.
Siete sempre nei miei pensieri, in ogni minuto di questa mia vita che volge al termine. Vorrei raccontarvi ancora tante cose, abbracciarvi a lungo, guardarvi in quegli occhi così azzurri che fanno sognare.
Vi auguro di vivere la vita appieno, amate tanto, amate tutto, imparate, conoscete, mostrate i vostri sentimenti, datevi forza l'un con l'altra. Siete un portento e vi stimo e sono orgogliosa di voi per ogni conquista che è solo vostra.
Il mondo in cui vivete è devastato, voi lo conoscete solo così, pieno di problemi, di ostacoli. È una Terra che soffre, che cerca di nuovo il suo equilibrio e la Natura farà il suo corso. Siamo noi, esseri umani, che faremo la differenza. Quello che la mia generazione ha fatto è stato troppo poco e troppo tardi, ma voi siete migliori di noi.
Guardate indietro così da non ripetere i nostri errori.
Vostro nonno per me è stato una grande fonte di ispirazione: la sua devozione verso il prossimo era esemplare. A lui ho dedicato questi miei ultimi anni che ho passato ad aiutare. Questo mondo che ci siamo creati ha delle regole assurde, che escludono parte della popolazione, ma questa volta non volevo essere complice di un atto di discriminazione e ho lottato finché ho potuto.
Guardate avanti, sognate il mondo che volete e lavorate perché si avveri.
Sono riuscita a dare a vostra mamma delle buone opportunità e sono felice di aver contribuito alla sua crescita, dandole la possibilità di scegliere e di capire veramente cosa volesse e lei ha voluto voi: una sua famiglia. Vostro padre, che stimo immensamente, è stato per lei quello che vostro nonno è stato per me, la fonte della sua liberazione, l'apertura totale del cuore. Vi auguro di trovare la vostra strada, che potrà essere una famiglia, se lo volete, o anche altro. Perché voi siete liberi, di amare, di vivere.
Sono solo dispiaciuta che ora come ora viaggiare sia difficile e costoso, vi auguro che queste ristrettezze energetiche siano solo una parentesi, un contributo dell'uomo all'equilibrio della natura. Il mondo è così bello, l'umanità quando vuole è splendida.
Lo dimostrano tutti i nostri concittadini ogni volta che si crea un'emergenza, sempre pronti a rimboccarsi le maniche, a condividere le proprie razioni, a dare un sorriso, un aiuto. Se non ci aiutiamo tra di noi, si solleveranno solo barriere, quelle che fanno comodo ai nostri amministratori.
Ma non voglio pensare a quello. Voglio immaginarvi nel futuro di questa terra, dove tutti saranno trattati equamente; tutti avranno accesso all'istruzione; la sicurezza nelle strade non sarà in mano a organizzazioni private; le colline saranno verdi, il fiume tornerà a scorrere placido, mentre i gommoni da rafting salteranno trascinati dalla corrente; si potranno fare pic-nic, mangiare gelati e comprare il pane in piccole botteghe.
Vi immagino correre nella neve, quella pulita e sana, non quella puzzolente e grigia caduta nel '44; vi vedo decorare i vostri alberi di Natale e lasciarli accesi tutta la notte. Abbiate fiducia nelle vostre capacità, non mollate mai.
Vi voglio un mondo di bene, mi dispiace che vi sia capitata una nonna un po' così, ma sono sicura che riuscirete a trarre il meglio perché voi siete migliori.
Contribuite alla società con i vostri talenti e ne avete così tanti che potrete solo fare del bene, fate volontariato, aiutate il prossimo, agitate forte le vostre ali!
Create legami e fate rete, non quella dei social, quella umana, perché quando non ci sarà energia sufficiente per alimentare i server, allora potrete fare affidamento solo su chi avrete conosciuto. Gioite di ciò che avete e lavorate sodo per migliorare, c'è ancora tanta strada da fare.
Questa malattia la aspettavo. Sapevo che avrebbe colpito duro. Tra poco non riuscirò più a parlare. E scrivere queste parole, con una penna, in corsivo, che spero riusciate a leggere, mi ha richiesto un grande sforzo.
Adesso non riesco più a tenere la penna in mano e devo proprio smettere di scrivere. Vi lascio la casa di via Quattro Novembre, è vostra, lo è sempre stata.
Vogliatevi bene, sostenetevi e proteggetevi.
Vi amo immensamente.
Nonna."
Spazio Autrice
Non è stato semplice trovare un modo per descrivere il mondo di Artemide, spero di avervi fatto capire un po' meglio il loro ambiente.
La lettera della nonna ha diversi significati, per me è stato un mezzo per condividere le mie esperienze personali. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
A presto
O.D.
Nota del 25 agosto 2024
La lettera della nonna è molto diversa dalla precedente versione, pur ricalcando il suo carattere a tratti "didascalico".
Se vi ha commosso, fatto arrabbiare o lasciati indifferenti, fatemelo sapere, ci tengo.
Le immagini del banner e di fine capitolo si riferiscono alla casa di Artemide e Achille, mentre quella qui sotto appartiene al progetto Tecla, relativo alla stampa 3d di case in terra cruda attualmente esistente.
Ci leggiamo in giro
OD
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