16 - Un apostrofo rosa*
Le luci si accesero sommesse, mentre musica più delicata e meno ipnotica riempiva la sala da ballo. I cinque ragazzi si guardarono, come usciti da una trance. Vittoria fissò Artemide che colse con uno sguardo quasi spaventato mentre Temistocle la cingeva alla vita. Con un gesto veloce le prese la mano e la condusse lontano dal gruppo adducendo alla necessità di un bagno.
Le due ragazze si allontanarono senza una precisa destinazione. Vittoria non aveva nessuna idea di dove potesse essere il bagno, ma aveva bisogno di aria e di rimettere le idee al proprio posto.
Appena trovarono uno spazio in disparte, arioso e discreto, si scrutarono cercando di verbalizzare le loro domande e trovare le risposte.
«Cos'è appena successo?» Chiese Vittoria con un vago senso di panico nelle pieghe delle sue parole.
«Sicura che vuoi veramente una risposta? Fare domande scomode implica risposte scomode.» Osservò Artemide riflessiva mono-tono.
«Già – ammise Vittoria – ma vorrei dare un nome a questa cosa, siamo a un funerale? Perché non sembra, non vedo tristezza, non vedo cordoglio... - Vittoria sembrava confusa, faceva piccoli passi avanti ed indietro, cercando un equilibrio all'apparenza – ma tu non dici niente?» chiese ad Artemide, nella speranza che le donasse un appiglio su cui sostenersi.
Artemide era ferma sulle sue gambe dritte, il suo vestito nero che cadeva alla perfezione e le braccia conserte sul ventre piatto. Lo sguardo perso nel vuoto. Vittoria la incalzò:
«Ma Temy che hai? Sembri su un altro mondo, è perché sembra come l'anno scorso? Perché io non riesco a non pensare ad altro?» Gli occhi languidi della ragazza donavano a quelle domande una disperazione liquida, pari a quella che provava ogni volta che i suoi comportamenti la portavano lontana dal "socialmente accettato" che la perseguitava.
«L'anno scorso?» I pensieri di Vittoria la sorpresero, non era pronta a rivangare il passato, era saldamente avvinghiata al presente.
«Amsterdam, ricordi?» le parole vibranti e incerte uscirono con un fil di voce dalle rosee labbra della giovane.
«Cosa c'entra ora quella storia?» lo sguardo di Artemide era intriso di uno stupore selvaggio, non riusciva a capire l'amica, per un attimo le parve come un'estranea.
«Non so... la musica, le persone, i ragazzi insomma...» Ricordò incerta.
«No, no no.... » rispose Artemide, che iniziò a fare piccoli passi nervosi avanti ed indietro nel tentativo di trovare le parole, mentre Vittoria la osservò statica, scambiandosi improvvisamente i ruoli.
«Se tu dici "ti amo" a qualcuno, cosa intendi? – nella sua domanda c'era un'urgenza, un'emergenza, c'era la necessità di capire. – come si può dopo due giorni, meravigliosi per altro, dire una cosa del genere? O per lo meno si può? Cosa intendi con "ti amo", io non lo so!» l'agitazione saliva e si caricava come un piccolo tornado, includendo tutto, radendo al suolo le poche certezze della sua gioventù.
«Te lo ha detto Temistocle?» la voce di Vittoria si alzò di un paio di ottave, sembrò sul punto di saltellare dalla gioia, i cui occhi stavano prendendo una forma a cuore degna del più zuccheroso fumetto, creando una strana distanza tra loro due.
«Rispondimi Vittoria – la guardò severa, smorzando il suo entusiasmo romantico – se dici "ti amo" cosa intendi?»
«Cosa ne so io dell'amore?» Rispose perplessa.
«Dai Vittoria, aiutami ti prego, non so a chi ... » Vittoria intuì il panico, l'emergenza della sua amica. Cercò concentrazione, così trasalì e si fece coraggio, radunò i pensieri che si aggrovigliavano nella sua testa come i suoi ricci biondi e cercò di aiutare l'amica.
«"Ti amo" – citò – sono due parole delicate e fragili, le vedo una rosa o una camelia, piene di petali profumati, vellutati e setosi allo stesso tempo, delicati e potenti nel loro profumo e nella loro bellezza.» Rifletteva seria mentre cercava le parole. Guardava Artemide che si torturava le mani, cercò i suoi occhi azzurri che l'avevano sempre ispirata e calmata, mentre ora le parvero come onde giganti e gelide che si scagliavano su scogli appuntiti.
«Credo che "ti amo" sia come un ringraziamento, una lode, una sorta di inno breve perché mi hanno portato al vertice, all'apice di un sentimento che per il momento non posso provare oltre,- erano i suoi sogni a parlare, quelli fatti nella sua stanza rosa e rossa, dove ripensava ai suoi sbagli e alle sue conquiste, alle esperienze vissute insieme e alle parole mai dette.
«Ogni "ti amo" è un passo avanti verso quell'innalzamento emozionale. "Ti amo" è perché mi fai sentire migliore; perché mi hai fatto stare al meglio di come mi sento normalmente; mi hai fatto battere forte il cuore con la tua sola vicinanza; abbiamo creato qualcosa di reale insieme, non so come spiegarlo oltre, Temy, sono cose molto personali, non credo ci sia una formula universale. – Vittoria vide gli occhi lucidi della sua amica, con il timore di averla offesa o derisa senza accorgersene, così la abbracciò e mentre Artemide sfogava il suo pianto nella folta chioma profumata di burro di Karité dell'amica, Vittoria le chiese nuovamente: - ma Temistocle te lo ha detto?» Artemide scosse la testa, si risollevò dalla spalla dell'amica e la guardò negli occhi, piangeva e sorrideva
«Gliel'ho detto io – ammise mentre Vittoria la guardava sorpresa – e quello che mi hai detto tu rispecchia un po' quello che ho provato e di questo ne sono felice. Mi sono sentita sopraffatta da tutto e mi parso che fosse la cosa giusta da dire, è uscita così.»
«Perché piangi allora?» chiese Vittoria mentre la accarezzava con fare consolatorio.
«Perché voglio molto di più, ne voglio ancora di questa cosa che abbiamo avuto in questi giorni ma non so se sia giusto» le sue lacrime confuse mescolarono i suoi sentimenti con un qualcosa di fanciullesco che strideva con tutto ciò che Artemide sembrava agli occhi di Vittoria.
«Giusto per chi? – chiese l'amica, ma non le lasciò il tempo di rispondere, - Artemide i sentimenti esistono, giusti o sbagliati, sono lì. Non ho idea di cosa sia successo in questi due giorni ma se ti porta ad avere una reazione così forte, anche se credo sia un po' colpa dell'alcool, può essere tante cose ma non di certo sbagliato. Io non ho esperienza nei sentimenti, sono più per l'azione, ma quando ti guardo sento qualcosa, c'è elettricità nell'aria che prima non vedevo, forse ti stai solo lasciando andare. Non avere paura.» Vittoria le accarezzava ancora la testa mentre Artemide annuì al suo incoraggiamento.
Passi svelti rimbombarono nel corridoio attiguo quando Temistocle si palesò sull'uscio e le vide abbracciate con i volti distorti dalle emozioni. Appena Vittoria lo vide, lo guardò con i suoi occhi grandi e pieni di significati, come "se la fai soffrire ti distruggo", "trattala bene è un essere umano splendido" e "abbiate una vita felice". Tutto in un nano secondo.
«Vi lascio soli, va bene Temy?» entrambe erano coscienti che c'era bisogno di un chiarimento, dipanare la matassa di quel groviglio di emozioni. Artemide annuì, mentre la sua amica si allontanava.
Non appena Vittoria lasciò quell'angolo in penombra, isolato e silenzioso, Temistocle si avvicinò ad Artemide con cautela, il suo cuore batteva forte, gli sembrava di camminare su un cavo teso sul vuoto. Fu un momento delicato e indefinito nel tempo.
Temistocle cercò il suo sguardo come un faro nella notte. Il tumulto del suo cuore rimbombava nella testa.
Gli aveva detto "ti amo" sussurrandolo in un orecchio, facendolo avvampare e lui era scomparso dal pianeta Terra. Fu come volare in alto e librarsi nel vuoto senza paura; fu libero di ogni peso; fu in fiamme come le braci del fuoco e fresco come le prime piogge primaverili.
Fu interdetto a quelle parole, gli sembrò un sogno e quando si accorse che Artemide non fosse più accanto a lui, sentì la necessità di trovarla, abbracciarla, baciarla. Nella confusione della sala ci mise un po' a trovarle ed ora che le era di fronte, quelle sensazioni sconvolgenti sembravano macigni che gli impedivano di camminare. Si sentì come incollato al pavimento, ma quando finalmente trovò quegli occhi non ci fu più nessun ostacolo, nessun pensiero. Due falcate decise e le fu accanto.
Alzò la sua mano e le accarezzò il viso, ricomponendo una ciocca ribelle, mosse delicato il pollice sulla sua guancia umida. Il mascara colato aveva annerito il contorno dei suoi occhi che ora sembravano due laghi vulcanici, gelo e calore, potenza e fragilità. La trovò di una bellezza sconvolgente. Le baciò le labbra delicato e quando lei fu nelle sue braccia le sussurrò con la sua voce calda e profonda:
«Ti amo.»
Per quanto volessero dare un significato concreto a quelle parole, entrambi si resero conto che quelle due sillabe erano semplicemente il riassunto di quei due giorni vissuti insieme. Sentivano nel trambusto dei loro cuori che qualsiasi cosa sarebbe avvenuta dopo, l'avrebbero vissuta insieme.
Erano consci che il futuro li avrebbe separati, lui sarebbe tornato in America e lei sarebbe rimasta lì, ma quelle due sillabe suggellavano qualcosa di realmente accaduto, chiudendolo per sempre nella loro memoria.
Quello era un inizio. Non erano più soli.
Rimasero abbracciati a lungo, coccolandosi ed accarezzandosi. Si resero conto che dalla sala da ballo la musica non si faceva più sentire, c'era solo il vociare degli ospiti.
Il trambusto venne interrotto nuovamente da altra musica. Quando Temistocle ed Artemide raggiunsero gli altri videro un'oloproiezione di un signore attempato che dirigeva una grande orchestra, mentre un oboe suonava una melodia meravigliosa.
Le finestre furono aperte per invitare tutti ad accogliere il nuovo giorno che sorgeva. Con quella musica in sottofondo, la sala illuminata dalle prime luci dell'alba, l'alcool e tutte le emozioni della giornata, ci fu un momento di commozione generale.
L'arrivo di un nuovo giorno era l'inizio di qualcosa di nuovo; avrebbe potuto essere sorprendente o banale, quotidiano o straordinario, eppure erano tutti lì ad osservare le luci che apparivano a est, dietro alle colline e agli edifici.
I raggi del sole si infiltravano ovunque mentre l'oboe descriveva l'ascesa dell'Astro del giorno. Quella melodia e il crescendo della musica vibravano nella grande sala, scorrendo come un tiepido rivo tra i frutteti, nutrendo le radici e dando nuova vita alle anime tutt'intorno. Scorreva ai loro piedi, su per le caviglie, annodandoli e intrecciandoli; sentivano quelle note sottili e delicate stringerli alla vita su per la schiena accarezzare il collo e portarli alla realtà del nuovo giorno.
Giovani e non, coraggiosi e impauriti, cresciuti e inesperti.
Artemide teneva una mano in quella di Temistocle e in quella di Vittoria, che stringeva anche quella di Achille che con sua sorpresa stringeva quella di Giulio.
Si sentirono rinvigoriti da quelle note potenti e penetranti.
Quando il primo brano finì, come se si fossero accordati, ripresero possesso delle loro giacche e di una sorta di contegno, si diressero quindi verso l'uscita.
Arrivarono al porticato e corsero verso la gradinata, per essere baciati dal primo sole che si alzava dietro ai palazzi. Parvero come strani animali che cercavano la luce e il calore per tornare in vita.
Il loro olfatto fu catturato da voluttuoso refolo al profumo di caffé. Fu allora che videro il famoso furgoncino.
La forma arrotondata, le pareti lucide e bianche attraversate da eleganti linee in colore moro, si trasformavano in una raffinata scritta manuale "La bottega del Krapfen", che si ergeva poco sopra la piccola tenda bicolore. Dall'ampia apertura sbucavano due addetti che stavano già distribuendo leccornie fritte dai sapori più inconsueti al primo gruppo di avventori.
Una volta ristorati dalla luce del giorno e dall'aria frizzante del mattino, tornarono a essere quei ragazzini che avevano fatto l'alba ballando, cavalcando il privilegio di aver passato una notte fuori nonostante il coprifuoco.
Con il tipico atteggiamento dei bimbi davanti alle caramelle si avvicinarono al furgoncino con entusiasmo.
«Ho una fame – interruppe il loro il silenzio Achille, avvicinandosi allo stand chiedendo un krapfen ripieno di cioccolato. – che facciamo ora?» Chiese pochi istanti prima di addentarlo famelico.
«Dovrei tornare a casa» disse Artemide riflessiva, mentre si sporgeva per prendere il suo alla crema.
«Cosa mi consigli?» Le chiese Temistocle.
«Sono buoni tutti, io preferisco la crema, Achille il cioccolato, mentre Vittoria per ragioni che non so spiegarmi lo ha sempre voluto con la marmellata» spiegò Artemide affondando i denti in quel soffice e caldo panetto di pasta lievitata e fritta farcito abbondantemente di crema che le imbrattò le mani.
«Cosa consiglia per smaltire la sbronza?» Temistocle aveva una natura curiosa e la risposta di Artemide non lo soddisfò, sorrise vedendola addentare il krapfen che per un attimo gli parve più grande della sua faccia. Decise di chiedere consiglio all'addetto mentre continuava a tenere le sue mani sulla vita della ragazza. Aveva un sorriso ampio, gli occhi un po' a fessura e si sentiva leggero.
«Ah butei! Che belli che siete! – li salutò il commesso – tutti parenti di Dama Torre?» la vibrazione delle parole, l'inflessione cauta ma decisa del suo accento locale, facevano intuire il suo legame con la defunta, che seppur fugace, rivelava affetto e complicità.
«Più o meno» rispose Temistocle celando un certo disagio per la confidenza dello sconosciuto.
«Dama Torre, che frequentava il locale in gioventù, e mi gh'è sera (trad. e io c'ero), diceva che il miglior post sbronza era il toast a formaggio, ma visto che faccio krapfen e non toast, ho iniziato a fare questi – ne porse uno a Temistocle – sono i nostri krapfen farciti con una crema al formaggio e noci. Dama Torre veniva a prenderli anche se non faceva più le ore piccole da molti anni. Sono per i pochi che osano.» chiosò. Temistocle accolse il suggerimento di buon cuore, collezionando un altro ricordo della nonna proveniente da uno sconosciuto.
«Grazie» l'entusiasmo con si rivolse allo sconosciuto sottolineò quanto non fosse reticente a nuovi abbinamenti.
«Krapfen al formaggio? – lo guardò stupita Artemide – questa mi è nuova. Me lo fai assaggiare?»
In quel momento, all'aperto, sul largo marciapiede antistante l'antico palazzo, mentre gli amici e altri ospiti si avvicinavano per gli ultimi passi della celebrazione della vita, tornarono nella loro bolla.
Un attimo, uno sguardo, un gesto all'apparenza normale come quello di scambiarsi il cibo, divenne tutto d'un tratto il simbolo di ciò che erano, un alternarsi di scambi di esperienze ed emozioni, un circolo virtuoso di azioni e reazioni. Una spirale ascendente in ogni singolo momento che trascorrevano insieme. Si sfiorarono le mani delicatamente e lentamente, sussultando e sospirando.
Capirono che non era stata una notte, che potevano avere molto di più. Artemide sentì il coraggio cingerla e darle forza. Temistocle si sentì consapevole, deciso senza timore. Nel loro scambio di sguardi si trovarono l'uno nell'altra e non ci fu bisogno di parole.
https://youtu.be/vVNmVSufv0A
Spazio autrice
Questo capitolo non è stato semplice, ho ancora qualche dubbio sulle interazioni, quindi spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate.
Temistocle ed Artemide sono sempre nei miei pensieri, e quando vivono nelle loro bolle temporali è come se si formasse della magia. Ma la concretezza del mondo sfonda i loro attimi di estraneazione, li rende vulnerabili e normali. Il futuro è un'incognita, anche per me.
Cosa ne pensate di Vittoria ed dell'insolito improvvisato quintetto?
Tenterò di essere più organizzata nelle pubblicazioni, ma i ragazzi sono giovani e fanno un po' quello quello che vogliono. :-)
A presto O.D.
Aggiornamento di gennaio 2024:
Ho cercato di seguire qualche consiglio lasciatomi dalle vostre attente letture, nella speranza di migliorare sia nella scrittura, sia nelle emozioni che vorrei farvi provare, quindi ogni suggerimento è sempre accolto, così come le vostre impressioni sulla storia.
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