Capitolo 42 - Emily

Emily

Sembra che l'ossigeno non riesca ad entrare dalle mie narici per poter arrivare ai polmoni, apro la bocca così da facilitare questo processo, ma non è mai abbastanza.

Il cervello ha dimenticato come si fa a respirare.

Tutto intorno sparisce, non sei tu che manovri il tuo corpo, i sensi sono atrofizzati, come se fossi racchiusa in una bolla di sapone separata dall'esterno.
A volte è una prigione, le mura si stringono intorno a te, lo spazio si rimpicciolisce, sai che finirà per schiacciarti e tu, sei inerme.
Altre volte stai annegando e per quanto cerchi di lottare, di nuotare verso la superficie, nonostante spinga il tuo corpo a limite e i muscoli bruciano, non ti muovi di un millimetro.

È questo che provo quando ho un attacco di panico.
Non mi accadeva da molto tempo.

Ho solo bisogno di calmarmi, so che è impossibile che lui sia qui, ma quel ragazzo aveva il suo stesso cappello nero con visiera azzurra che teneva al contrario, proprio come lui, con la stampa della testa di un giaguaro, mascotte di una squadra di baseball americana.

Ovviamente sono andata nel panico.
Mi sono bloccata al suono del suo nome, Ernesto, è un nome comune ma entrambe le cose insieme, anche se in tempi diversi, mi hanno mandato in tilt il cervello.

Apro le porte principali del cinema ed esco subito fuori, respiro a pieni polmoni l'aria fresca che si scontra con il mio viso accaldato.

<<Stai bene? >>
Mi chiede Alex vicino a me mentre accarezza la mia schiena, ha un'aria preoccupata poverino, mi sento un po' in colpa.

<<Sto meglio, grazie. >>
Riprendo poco alla volta padronanza di me.

<<Che cosa è successo? >>

Avrei voluto che non me lo chiedesse, come dovrei rispondere a questa sua domanda?
Non vorrei raccontargli di quella parentesi del mio passato, pesante quanto un macigno. Vorrei inventare una scusa plausibile e cambiare discorso, ma i suoi occhi preoccupati mi spingono verso la verità.

<<Ti va se facciamo due passi? >>
Gli chiedo per cercare di prendere tempo.

Annuisce e prende la mia mano, ed è un gesto che al momento mi rasserena.
Cerco le parole più adatte ma non credo ce ne siano.

<<Qualche anno fa lavoravo in una pasticceria subito fuori Roma, è molto conosciuta, devo tutto al Signor Gaetano, il proprietario, mi hai insegnato molto. >>

Mi fermo in cerca di coraggio.
<<Un mio collega, evidentemente ha frainteso qualche gesto o qualche parola gentile, si è invaghito di me diventando insistente, e...e...e...>>

Non ho più salivazione, ho difficoltà a parlare e al solo ricordo, sento nuovamente l'ansia stringere la sua mano invisibile intorno al mio collo.

<<Emily, non devi scendere nei dettagli se ti fa stare male raccontare questa cosa. >>

Lo guardo grata della sua sensibilità.

<<Perché ti sei sentita male? >>

È una domanda lecita, non sembra collegato ciò che è appena successo con cio che gli sto raccontando.

<<Io ho visto un ragazzo con il suo stesso cappello e poco prima ho sentito il suo nome. >>

<<Era lui? >>
Mi chiede preoccupato.

<<Lo escludo, sono sempre rimasta in contatto con il signor Gaetano, solo lui sa dell'accaduto e mi ha detto che Ernesto si è trasferito da parenti a Genova subito dopo..... >>

Ormai credo sia arrivato il momento della verità, magari scapperà, ma meglio saperlo ora.

<<Inoltre ha un'ordinanza restrittiva nei miei confronti. >>
Dico a voce bassa senza avere il coraggio di guardarlo.

<<Cosa ti ha fatto? >>
Mi chiedi allarmato cercando un contatto visivo.

<<Per fortuna niente, ma era poco stabile psicologicamente e ho avuto molta paura. >>

Temo possa scappare rendendosi conto di quale disastro io sia, invece mi abbraccia e posa un bacio sulla mia testa.

<<Tranquilla piccola, ci sono io. >>

Lo stringo forte a me e sorrido.

<<Mi dispiace per il film. >>
Preferisco cambiare discorso.

<<Non ci pensare, possiamo vederlo quando vogliamo, l'importante è che tu stia meglio ora. >>
Mi bacia dolcemente e guardandomi negli occhi mi ringrazia.

<<Per cosa? >>
Sono confusa.

<<Per aver condiviso questo fardello con me, in due è meno pesante. >>

***************

Questa oscurità che mi circonda sembra inghiottirmi, accendo la piccola abat jour arancione sul comodino, mi alzo al centro di questo letto che al momento mi sembra enorme.
Non sopporto questo silenzio che ora reputo quasi assordante, accendo la tv sul comò di fronte a me sperando possa sovrastare i pensieri che martellano la mia testa.

Non posso permettergli ancora di riuscire a sconvolgermi dopo tutto questo tempo, io l'ho sconfitto, ho ripreso in mano la mia vita.
Non è colpa mia se qualche innocente chiacchiera fra colleghi gli abbia fatto credere cose inesistenti, non mi incolpo più per aver condiviso pochi semplici aperitivi insieme dopo il lavoro, di norma questo non costruisce nella testa dell'altro una utopica storia d'amore, non è stata un'imprudenza aver accettato qualche ingenuo passaggio, perché non è sinonimo di un legame tenero.

C'è stato un tempo in cui tutto questo mi sembrava solo colpa mia, continuavo a ripetermi "se gli avessi sorriso di meno, se gli avessi parlato di meno, se non avessi accettato quei passaggi, quegli inviti per uno spritz".
Continuavo a tormentarmi rimproverandomi, ma non è colpa mia, mi ci sono volute molte ore di seduta dal dottor Marino, per crederci davvero.

Il problema è nella sua mente malata, avrei potuto anche non rivolgergli mai parola, ma questo non significa che lui non avrebbe creato tutto questo nella sua testa.
Non è mai colpa di chi subisce.

Mi maledico per non aver accettato la proposta di Alex di dormire insieme, non mi va di stare sola ora.
Potrei andare da Sara, ma non voglio svegliarla; Emma non credo sia rientrata, dorme spesso da Michele.

Nella piccola libreria in noce vicino il balcone, ci sono una marea di romanzi che aspettano solo di essere letti, sarebbe una bella distrazione, amo leggere e venire trasportata in mille vite diverse.
È la storia della mia vita, vedo una libreria, entro con l'intento di dare solo un'occhiata, mi lascio affascinare da tutti quei romanzi, mi dico "Emily, solo uno", esco fuori con almeno quattro in mano.

Prendo il telefono e inizio a giocare a quello stupido gioco dove devi allineare tre frutti uguali, quando all'improvviso mi arriva un messaggio.

Messaggio di Alex:
"Dormi?"

Risposta:
"No, perché sei sveglio?"

Guardo l'ora, sono le 2:30 passate, aspetto una risposta che non arriva quindi mi rimetto a giocare, dopo poche minuti leggo una sola parola nell'anteprima sulla parte alta dello schermo.

Messaggio da Alex:
"Aprimi."

Confusa vado alla porta di casa, guardo attraverso lo spioncino e vedo lui.

<<Questo è il bello di abitare vicini. >>
Mi dice un Alex in pigiama sorridente.

Entra richiudendo la porta alle sue spalle, prende la mia mano e mi sussurra all'orecchio : "andiamo a letto, voglio dormire con te fra le braccia stanotte."
Sorrido come una bambina e credo proprio che il cuore stia per esplodere.
Stesi sul letto mi accoccolo fra le sue braccia pensando a come sia misterioso questo senso di appartenenza che si sente fra le braccia di qualcuno che conosci da così poco, questo senso di casa che senti guardandolo negli occhi.

<<Rossa, perché eri sveglia? >>

Faccio spallucce, non mi va di riprendere il discorso o angosciarlo.

<<E tu? >>
Gli rivolgo la stessa domanda, imita la mia tacita risposta.

So che era preoccupato per me, per questo non voleva farmi dormire sola prima, ed ora per questo è qui.
Mi addormento al sicuro fra le sue braccia, stanotte i miei sogni non saranno tormentati da occhi freddi che mi scrutano da lontano, ma da occhi verdi che mi guardano con dolcezza.

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Ciao, spero vi sia piaciuto il capitolo.
Abbiamo visto più o meno cosa ha provato Emily in passato e vediamo momenti teneri fra loro.
Un bacio. 😘

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