Capitolo 33 - Emily

Emily

Mi sciacquo il viso con acqua fredda, oggi devo ripetere le analisi prescritte dal ginecologo, mi chiedo come possa essere possibile che questa cavolo di nausea non mi abbandoni mai.
Sono passati quasi dieci giorni da quando ho saputo di essere incinta e fra quattro giorni è Natale, sono emozionata e me la sto facendo sotto per diversi motivi.
Ho intenzione di dire ai miei genitori alla Vigilia che diventeranno nonni e gli presenterò Alex.
Sono preoccupata della loro reazione, per non parlare del fatto che devo escogitare un modo per farli venire qui.

Non ho intenzione di tornare a casa e rischiare che quel pazzo li prenda di mira, qui saranno di passaggio.

Cosa dire di Ernesto, ha iniziato di nuovo a minacciare Alex, questo era prevedibile visto che non ha voluto sentire ragioni ed è venuto a vivere con me e Francesco in questo appartamentino.
Lo capisco ovviamente, ma così facendo ha complicato tutto.

Stranamente questi due maschioni vanno molto d'accordo, ad esempio ora sono seduti sul divano a parlare della partita di ieri sera, durante la quale nemmeno le loro urla mi hanno svegliata.
Mi ero rifugiata in camera con il mio PC per organizzare la cena del ventiquattro, troppo testosterone in salotto, mi sono ritrovata questa mattina sotto le lenzuola fra le sue braccia.
Da una settimana a questa parte mi faccio delle splendide dormite, l'unico aspetto positivo della gravidanza, questa cavolo di nausea molto meno.

Esco dal bagno ritrovandomi Alex davanti.
"Piccola, sei bianca come un lenzuolo, stai bene?"
"No."
Dico nervosamente, sto male e tutti gli odori mi danno nausea, lo stomaco brontola di nuovo e devo andare a fare per la seconda volta in due giorni le analisi.
Infilo il cappotto e uno sciarpone enorme, prendo la borsa e sono pronta.
I miei due cavalieri mi scortano letteralmente fuori dal palazzo, questa situazione mi stressa e non va bene.

Chissà come mai i laboratori di analisi sono monocromatici, tutto bianco, mi siedo e arriva l'infermiere, indossa i guanti azzurri e inizia ad effettuare il suo prelievo cercando di fare il simpatico con qualche battuta.

Non ho paura degli aghi, però preferisco non guardare.

Mi volto verso sinistra e osservo la finestra con visuale nei parcheggi sul retro della clinica.
La mia attenzione viene catturata da un uomo di spalle poco distante, giusto una decina di metri, ad un tratto si volta e i suoi occhi gelidi fissano i miei.
Inizia a girare tutta la stanza, mi mancano le forze e anche l'aria, la vista mi si annebbia e all'improvviso boccheggio.
"Sto svenendo."
Cerco di dire all'infermiere, poi diventa tutto nero.

In lontananza sento la voce di Alex chiamarmi, poco alla volta cerco di aprire gli occhi, ma faccio una gran fatica, la luce è forte dandomi fastidio, porto la mano davanti il viso.
Sono un po' confusa e guardandomi intorno riesco a capire dove mi trovo dopo alcuni istanti, lo sguardo preoccupato di Alex e Francesco, chini su di me, mi fa sentire al sicuro.
Questa sensazione è quasi una scossa, all'improvviso ricordo tutto.

"Ernesto è qui."
Riesco a dire con voce rotta, indico il parcheggio aldilà della finestra di questa piccola stanzetta.
Francesco corre fuori, ovviamente troppo tardi, mentre il mio ragazzo cerca di tranquillizzarmi stringendomi a sé, ma neanche le sue forti braccia riescono a darmi conforto.
Quegli occhi, quella sua solita espressione adornata da quel sorriso inquietante, hanno tormentato le mie notti per troppo tempo.
Istintivamente porto una mano sul basso ventre, questa volta non ho paura per me, ma per qualcuno di molto più importante.

Arrivati a casa, vado dritta in camera, vorrei restare sola, ci pensano già i pensieri e queste sensazioni sgradevoli che mi si sono appiccicate addosso e non riesco a scacciare, ad opprimermi.
Alex mi segue chiudendo dietro di sé la porta per avere più privacy, so già quale sarà il centro della nostra conversazione, sono sfuggita fin troppo, ora ho le spalle al muro.

"Come ti senti?"
Chiede apprensivo.

"Sto bene, anzi sai che ti dico, ora vado in agenzia a lavorare un po' per distrarmi, c'è la cena da organizzare, verranno i miei e..."
"Emily per quanto ancora vuoi scappare?"
Mi interrompe nervosamente.
"Non voglio turbarti ulteriormente, ma ho bisogno di sapere una volta per tutte cosa ti ha fatto anni fa quel maniaco."
Il suo sguardo non tradisce il suo tono, entrambi decisi, posso solo cedere.

"Lo sai che ci siamo conosciuti a lavoro, in pasticceria."
Fa cenno di sí con la testa.
"Mi sono incolpata per molto tempo, forse ero troppo socievole, forse ho fatto o detto qualcosa che lo ha portato a credere che avessi un interesse oltre all'amicizia."
Faccio una pausa per riordinare i pensieri e lui ne approfitta per prendere parola.
"É lui quello sbagliato, non tu. Non lo sei mai stata. Qualunque cosa tu abbia mai fatto oppure detto, nulla giustifica ciò che ha partorito la sua mente malata. "

" Lo so, ora lo so. Sono stata seguita da uno psicoterapeuta per diverso tempo. Mi ha aiutata tantissimo. "
Gioco con l'ultimo bottone della mia camicia nervosamente, giusto per tenere le mani occupate.
"I turni insieme, qualche passaggio a casa, qualche aperitivo, due risate, la normalità insomma.
Ma nella sua testa si stava creando una storia fra noi."
Mi rendo conto come le mie mani tremano, mi avvicino alla mensola, prendo distrattamente un libro a caso e lo sfoglio. Tutto pur di cercare di ancorarmi alla realtà per evitare di perdermi in quel ricordo.

"Assurdo."
Gli sfugge dalle labbra passando in modo frenetico una mano fra i capelli mentre si siede.
" Io ho iniziato a frequentare Paolo in quel periodo, da quel momento mi ritrovavo Ernesto ovunque. Mentre facevo la spesa, quando andavamo al cinema, nel negozio di abbigliamento mentre facevo shopping con le ragazze. "
Fisso un punto indefinito attraverso i vetri della finestra e saperlo lì fuori mi catapulta proprio nei miei ricordi.
"Le prime volte non ci fai caso, ma poi tutto inizia ad essere strano. Troppe coincidenze per essere solo questo e Paolo era più sveglio di me. "
Sospiro rumorosamente togliendo dal viso una ciocca di capelli sfuggita alla coda.
"Telefonate, fiori, aveva perso il controllo, la gelosia lo stava mangiando vivo nel vedere che mi stavo legando ad un altro. Precipitò tutto nel giro di un mese, iniziai a tenerlo lontano ma non era facile, questo lo fece diventare violento."
Deglutisco a fatica sapendo di dover rivivere proprio quelle ore.
"Quella sera c'era un ordine da finire, quindi feci più tardi del previsto, ricordo tutto come se lo stessi vivendo ora."

Flashback
"Ragazzi, avete finito qui in cucina?"
Il capo spunta dalla porta mogano, vedendo solo me aggrotta la fronte.
"Emily, sei sola?"
"Gaetano e Maria sono andati via ora, oggi tocca a me finire di sistemare. Dieci minuti e vado anche io."
Spiego tranquilla mentre finisco di lavare le stoviglie.
"Io purtroppo devo scappare, chiudi tu con la chiave di riserva?"
Sembra rammaricato.
"Ma certo. A domani."
Sorrido per tranquillizzarlo.
Il bip del telefono attira la mia attenzione, corro a controllare, oggi abbiamo litigato io e Paolo,  il suo messaggio di scuse mi fa sorridere. Digito velocemente una risposta e lo informo di aver finito.
Un rumore nei bagni attira la mia attenzione, inizio ad aver paura perché sono sola.
"C'è qualcuno?"
Mi do subito uno schiaffo mentale, sembro quelle ragazze che nei film horror fanno questa domanda stupida guardando nel buio, come se l'assassino fosse pronto a rispondere per farsi scoprire.
Vado verso il bagno e noto la scopa a terra, subito mi tranquillizzo, ecco scoperto il rumore di prima.
Inizio a chiudere tutte le luci e ad un tratto lo vedo, dietro al bancone, in cucina, butto un urlo dallo spavento facendo un passo indietro.
Ernesto mi fissa serio ed io inizio a spaventarmi, è diventato insistente ultimamente, tanto da chiedere al capo di cercare di far combaciare il meno possibile i nostri turni.
Quando lui lavora al mattino, io faccio il pomeriggio, se lui è al bancone fuori a servire la clientela, io sono in cucina.
"Mi hai spaventata."
Cerco di mantenere il controllo, ma i suoi occhi addosso mi inquietano molto.

"No, non devi avere paura di me. Io ti adorerei come una regina se me lo permettessi."
Inizia ad avvicinarsi.
Fisso i suoi passi  e l'ansia sale, sento il cuore accelerare i battiti e il respiro diventare sempre più irregolare.
"Sto chiudendo tutto, sono stanca e le mie amiche mi aspettano."
Cerco di non dare adito alle sue parole e soprattutto di uscire di qui.
Mi avvicino al guardaroba, prendo il giubbotto di pelle beige e la borsa marrone, prendo subito le chiavi dell'auto.
Il mio telefono si illumina ed è proprio vicino a lui, i suoi occhi si abbassano e quando li riporta su di me, vedo rabbia.
Trattengo il fiato cercando di non badare alla sensazione spiacevole che sento addosso e al formicolio allo stomaco.
Deglutisco tremante e tento di oltrepassarlo e prendere il telefono, ma afferra la mia mano stritolandola, un gemito di dolore mi sfugge dalle labbra.
Cerco di tirare via la mano senza successo, alzo il mio viso e ciò che vedo mi terrorizza, la sua espressione spietata, furibonda mi fa capire che sono in pericolo.

"Io voglio darti tutto, invece tu che fai? Non solo non mi apprezzi e mi eviti, ma continui a vederti con quello."
Le sue urla penetrano i miei timpani e la pelle causandomi brividi, con una mano continua a stringere forte la mia e con l'altra fa pressione sul braccio, avvicina il viso ai miei capelli e inspira profondamente.
" Lo vedi, io vivo per te, per il tuo profumo, per il tuo sorriso, tu sei stata sempre gentile e mi hai fatto capire che non sono un emarginato."

"Ti prego, lasciami, mi fai male."
Esce solo un sussurro dalle mie labbra.
Con uno scatto molla la presa come se si fosse ustionato le mani, facendo un passo indietro ad occhi sbarrati.
"No, io non volevo, io voglio proteggerti."
Il suo tono è dispiaciuto.
"Ma ti comporti male, preferisci lui a me, come dovrei sentirmi? Tu, la mia fidanzata che dà corda ad un altro."
La sua voce si alza sempre di più.
Mentre si volta camminando avanti e indietro, tento la fuga approfittando della vicinanza con la porta.
Cerco di correre il più possibile senza voltarmi, anche se l'istinto sarebbe quello di farlo, ma non c'è bisogno, sento i suoi passi dietro di me.
Spingo la porta antipanico e continuo a correre con il rumore del mio cuore che assordante attutisce tutti gli altri suoni esterni.
Proprio mentre giro l'angolo sbatto ad un tratto contro qualcuno violentemente finendo quasi a terra, braccia forti mi afferrano e urlo con quanto fiato ho in gola.
Cerco di divincolarmi, il terrore si impossessa di me, ma una voce che conosco bene mi fa sentire al sicuro.

É Paolo.

Mi fiondo nelle sue braccia e l'unica cosa che rimbomba nella mia testa è che sono salva.
"Emily che sta succedendo? Stai bene?"
Chiede confuso e preoccupato.
"Ernesto."
Riesco a dire scuotendo la testa e indicando la strada.
Il mio ragazzo si volta e lui è lì che ci fissa e con passo spedito avanza.

"Lei è mia."
Urla a più non posso il mio persecutore.
Paolo si prepara allo scontro inevitabile, gli assesta due pugni in pieno viso facendolo finire a terra, è molto più forte e più muscoloso di Ernesto. Quest'ultimo si alza e cerca di venire da me, Paolo lo blocca e lo allontana, le mie urla fanno affacciare i vicini e ringrazio silenziosamente chiunque abbia chiamato la polizia appena sento le sirene."
Fine flashback.

Ciao a tutti, innanzitutto scusate per il capitolo molto, molto lungo, ma ho finalmente raccontato cosa successe con Ernesto.
Non manca molto al finale.
💖

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