Il mare in tempesta
Il sole è appena sorto.
Il nervoso epidermico mi pervade; mentre ci allontaniamo da Beacon, Adam prova a dirmi che le previsioni ci sono avverse, ma io ho solo bisogno di mettere un po di distanza tra me ed il resto del mondo.
Che poi i pensieri sono lì intrappolati nella tua testa, perché , per quanto fuggi , come scappi da quello che hai dentro?!
Alzo il volume e lo ignoro; Adam è un amico indulgente, sempre presente; guida per tre ore, il temporale infuria feroce. È un 'idiozia, ma solo quando siamo lontani lo capisco. Ciò nonostante voglio stare lontano da Beacon oggi.
Passiamo la notte in una pensione scadente. Adam è un grande da quando sa di me e Marissa, mi lascia fare le peggio sciocchezze. O meglio mi impedisce di farne.
Perfino stare in questo motel da quattro soldi che sa di stantio mi infastidisce. Mi sento perennemente un leone in gabbia.
Decidiamo di rientrare, in realtà Adam vorrebbe il placarsi della tempesta prima di rimettersi in viaggio, io sento l 'urgenza di tornare.
Siamo ad un paio d 'ore da casa quando Stephen mi chiama allarmato: Kallie ha perso i sensi e scotta, lui non sa cosa fare, lo ascolto perplesso.
Non dico nulla ad Adam, siamo fermi ad una piazzola di servizio , il vento sferza secchiate d 'acqua sull' auto rendendo quasi impossibile proseguire.
Gli chiedo le chiavi dell 'auto e guido io fino a casa, risentendo la paura in crescendo nella voce di Step.
Salto giù dall' auto, scarico il mio bagaglio e piazzo tutto nell'atrio. Corro al primo piano: in camera di Step.
Stephen è in ginocchio davanti al suo letto, toglie e rinfresca una pezza bagnata dalla fronte di lei.
Resto un attimo inebetito dalla scena.
Entro.
Kallie giace inerme, pallida, il respiro affrettato e febbricitante, le labbra secche e dischiuse. Strattono Stephen fuori dalla stanza e mi fa un breve resoconto: la sera precedente lui era uscito, ma siccome voleva invitarla era passato alla dependance, lei ritornava da una corsa, era fradicia, non sa dirmi da quanto lei fosse fuori, sembrava stravolta ma lo aveva comunque esortato ad uscire, e lui era andato via. Si sente in colpa.
Rientriamo. La stanza è afosa e Kallie troppo coperta. La sollevo tra le braccia, le chiude debolmente attorno al mio collo, appoggia la testa al mio petto esausta, scotta un sacco, non pesa niente.
La porto in camera mia, l'adagio nel mio letto , in fresche lenzuola di cotone.
Mi prendo cura di lei come faceva mamma con noi, soprattutto con Stephen; da piccolo, era spesso malato. Ed io assistevo impotente.
Ogni tanto la scuoto e la obbligo a bere dell' acqua in cui ho sciolto qualcosa per farle calare la febbre, se rimane così alta fino a stasera dovremo avvisare un adulto.
Mando Step fuori, so che anche lui è preoccupato, ma non voglio nessuno ci raggiunga a casa; va al Glam un paio d' ore.
Siccome anche Marissa mi da il tormento gli chiedo di coprirmi con lei e spengo il cellulare.
Kallie alterna momenti di incoscienza a momenti di sopore: una lucidità confusa in cui mormora parole senza senso.
Talvolta stringe l' orlo del lenzuolo in maniera convulsa.
Il tempo passa.
《Come sta? 》mi chiede Stephen; oramai è sera.
《Riposa, la temperatura si è abbassata. 》
《Step come hai potuto lasciarla andare a correre sotto il diluvio di ieri?》mentre lo dico sono più nervoso di quanto dovrei, e me ne pento.
《È colpa mia...Solo colpa mia!》la voce di Kallie ci arriva flebile.
La raggiungiamo entrambi, sta cercando di alzarsi.
《Non fare sforzi! 》le dico.
L' aiuto a sistemarsi meglio.
《Mi hai fatto prendere un colpo , bambolina stamani sei svenuta, ero nel panico, per fortuna dopo un 'ora è arrivato Byron.
Come vedi ha preso in mano la situazione.》le dice Stephen.
《Ma a cosa diavolo pensavi: andare a correre sotto quel diluvio?》le chiedo arrabbiato.
È mortificata mentre una lacrima segue la gota fino ad annullarsi sul pigiama , in silenzio.
Scendo in cucina a prenderle qualcosa; sono un idiota non dovevo urlarle contro.
Mi impongo controllo. Conto mentalmente.
Torno di sopra e li guardo: Step ha un debole per lei, non l' ho mai visto così preoccupato per qualcuno che non fosse della famiglia.
Le tendo la tazza e le ordino di bere. Stephen va di sotto.
Ne beve un po poi riprendo la tazza dalle sue mani e l 'appoggio sulla scrivania.
Mentre sono girato si è alzata.
《Ma dove credi di andare?》le chiedo.
Mi avvicino mentre si affloscia al pavimento come una bambola di pezza ; la sostengo per le ascelle e la tiro a me, affondo il viso nei suoi capelli che sanno di mughetto e la riadagio sul letto, rincalzandole le lenzuola.
Chiude gli occhi ancora esausta. Il sonno la cattura.
Giace immobile a labbra dischiuse , la treccia le si è allentata.
Passo un paio d'ore a guardarla, a vegliare il suo sonno agitato.
Trascorre un tempo imprecisato.
Kallie sbatte le palpebre, mi punta i suoi occhioni addosso indagatori, confusi.
《Come stai? 》 le chiedo.
Si porta una mano alla gola.《Decisamente meglio》sussurra .
Le tocco la fronte che finalmente è fresca.
《Non hai più la febbre!》
Guarda la radiosveglia che lampeggia e segnala le ventitre.
Ha un sussulto.
《Mi dispiace davvero tanto.》 tira fuori un filo di voce e stringe le coperte tra le mani.
Scuoto la testa.
《Dovresti riposare...》mi dice.
《...Disse la malata al dottore.》 e rido.
《Dai spostati!》salgo sul letto sopra le coperte, accanto a lei. Mi giro per guardarla negli occhi.
《Ora dormiamo》e così dicendo spengo la luce.
Adatto la mia vista al buio e la osservo , poi cedo anche io al sonno, esausto.
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