Frammenti di noi
Calde lacrime rotolano sulle mie gote, mentre Jace mi osserva esterrefatto.
Il tremito del mio corpo è continuo; lui dimentica se stesso, il dolore che prova e si dedica a me: mi sommerge il volto in una pioggia di teneri baci e ripete con una cadenza che sembra una tormentata litania《 scusami, scusami, scusami...》
Eccomi spezzata dai ricordi, dal dolore lancinante che ho rifiutato di accogliere per troppo tempo.
È come se il guscio si fosse rotto, la mia effimera corazza caduta .
Jace si addormenta stremato avvinghiato al mio corpo inerme, io resto immobile fra le sue braccia, annichilita da questa nuova consapevolezza.
Nei mesi trascorsi qui alla villa, a Beacon, ero un robottino depauperato del lato emozionale, qualsiasi mio gesto era scevro di sentimento.
Mangiavo, dormivo, correvo come un automa, compivo azioni meccaniche; ora come se una patina si fosse dissolta dai miei occhi, caduta sotto l' incedere delle emozioni, sento tutto quello che avviene in me e vedo quello che muove gli altri.
Jace dorme; il mio corpo ha cessato di tremare, di essere sconvolto per l'immondo essere che sono, ma lui non lo sa. La forza del suo ingenuo amore oltrepassa l'inganno, supera i silenzi e mi ammanta. Fra le sue ciglia scorgo traccia del pianto di poc'anzi, una solitaria lacrima brilla ed io ivi assisto impotente.
Sposto il suo braccio dalla mia vita e poso i piedi sul freddo pavimento.
Accarezzo il suo volto che trattiene ancora alcune fievoli tracce della tempesta che ha attraversato, a causa mia. Sempre per colpa mia.
Scendo le scale reggendomi al corrimano, i miei passi sono incerti, il mio fisico non risponde ai comandi sommerso dalla valanga di emozioni che per mesi ho imposto alla mia mente di accantonare in un angolo recesso di testa e cuore.
La cucina della villa è un posto ospitale, amato ed io provo a raccogliere le idee, a cercare di capire cosa dovrò essere da domani, o forse, cosa potrò permettermi di essere.
Annichilimento dei sensi.
Tutte le emozioni che ho congelato dal mio arrivo qui, esplodono in una ridda, un caledoscopico tormento.
Ripenso al primo giorno alla villa ed i mesi a seguire: vivevo robotica macinando azioni depauperate di sentimenti.
Non è poi così vero. Mi sentivo viva, sensibile e come una corda di violino, vibrante, al tocco del suo musicista, alla presenza di Byron. Ma lui si è fatto assenza ed anche se tornasse non sarei la sua prima scelta, ciò che ami lo preservi, non lo corrompi o lo disintegri come ha fatto lui.
Come faccio io.
Stanotte Jace non è stato il mio calmante. Falso placebo si è erto giudice e giustiziere per il tempo di un momento, ha poi calmato gli spasmi della sua anima ma il danno è fatto. Ho ferito anche lui, di nuovo, senza volerlo.
In cucina accendo la macchinetta del caffè; nelle ultime ore sopra Beacon è calato un manto nevoso di misura esponenziale.
Rumori pesanti arrivano dalla porta d'ingresso: mi affaccio al soggiorno e scorgo il padrone di casa sostenuto in maniera drastica per la spalla da un imbarazzato Matthew Saltzman.
Fra i due una conversazione effimera finché uno non mi scorge.
Posa da ubriaco, incerta e traballante, mi si avvicina.
《 Piccola bambina spezzata,
la tua mamma qui ti ha dimenticata,
Soffri per un giovane amore, sciocchi tumulti del cuore...》
Mr Covenaugh viene verso di me, enunciando questi versi strascicati .
Una smorfia di compassione e dolore deforma i suoi tratti.
Matthew lo sorregge prima che caschi miseramente a terra.
《 Sono un poeta Matthew. Cosa ne dici, amico?》
Matthew ferma la caduta al suolo del proprietario della villa che stanotte deve aver fatto incetta d'alcool e dolore.
《 Ofelia, dimmi in che stanza portarlo? 》
Mi scuoto brevemente dall'intontimento causato dalle sue parole ed indico l'ultima porta in fondo al corridoio, io non ci sono mai entrata; guardo orripilata questo improbabile duo raggiungere la camera.
Torno al mio caffè.
Le parole di Mr Covenaugh erano così cariche di pathos e compassione per la sottoscritta.
《Ignorarlo. È ubriaco e stanco.
Me ne vado Ofelia, notte impegnativa. Lui si stava distruggendo, ho cercato di portarlo a casa il prima possibile.
Il genere umano ha questo dannato bisogno di annientarsi in qualcosa quando non si vede altra via di uscita. Perdonalo.》 Matthew mi dice queste parole andandosene.
Chiude la porta lasciandomi interdetta e pensosa.
Torno al mio caffè, stringo la tazza fumante fra le mani, cercando di assorbire un poco di calore. Volto il viso verso l'alba di un nuovo giorno.
Quanta neve.
La mia mano si posa decisa sulla porticina bianca decapata dello sgabuzzino, accanto al frigo. In quell'angolino angusto tengono le scorte delle bibite.
Accarezzo l 'impermeabile di Gonzalo appeso ad un gancio, a terra ordinamente scomposte quattro paia di stivali.
Ne afferro uno che dovrebbe essere del mio numero, più o meno, indosso sopra la maglia di Byron un giaccone verde militare, dimenticato da secoli, consunto ma pulito.
Esco.
L'aria mi fredda le guance , ispiro il gelo che provoca un sussulo e tremo brevemente.
Nelle tasche trovo dei guanti giganteschi.
Frammenti d'infanzia esplodono nella mia testa, davanti al paesaggio da favola ed invadono la mente: l' immensa massa di neve candida mi intenerisce, nonostante tutto.
Li infilo ed inizio a fare un pupazzo di neve; agli angoli del viso un acenno di sorriso.
Una palla di neve mi colpisce alle spalle, accompagnata da una risata argentina e fresca.
《Dovevi svegliarci.》urla Charlie, abbracciandomi da dietro.
Un Jace titubante ed uno Stephen ridente si avvicinano ammirando i tre pupazzi di neve che ho plasmato in loro assenza.
Inizia una feroce battaglia a palle di neve che ci vede tutti improbabili guerrieri, in abbigliamenti goffi ed arrangiati, per affrontare, alla mala peggio, il rigore invernale.
Un corpo caldo mi coglie di sorpresa in un confortante abbraccio.
《Mi dispiace, Jace.》Le mie parole un sussurro.
《"Amare significa non dover mai dire mi dispiace..." Me lo hai insegnato tu. 》
Fa riferimento alla celeberrima frase del film/libro Love Story.
Non ho il coraggio di dirgli che quelle otto parole, quella frase per me non ha mai avuto senso, anzi l'ho sempre trovata ingiusta e sbagliata.
Amare significa farsi umili, ammettere i propri errori ed essere capaci di fare un passo indietro.
Sorrido per alleviare la tensione.
Facciamo degli angeli nella neve inzuppandici definitivamente ma ridendo un sacco.
Rientriamo.
Il telefono fissato alla parete della cucina squilla insistente.
Rispondo sovrappensiero.
《 Pronto . Casa Covenaugh. 》
-Mi manchi. Mi manchi terribilmente!-
Impallidisco ed abbasso il volto a terra confusa. Un blocco di ghiaccio schiaccia i battiti.
Fingo di non aver udito le parole mentre il cuore si arresta al suono di questa voce tanto amata. Un battito dieci, cento.
Riapro gli occhi e simulo.
《Pronto? Pronto?》
Mi giro verso il gruppo che attende chiarimenti.
Riappendo la cornetta.
《 Hanno sbagliato.》taglio corto io.
Ho deciso di andare avanti.
Byron non posso vivere così, devo dimenticarti. Non posso amarti se non mi sei accanto.
Dopo una veloce tazza di caffè Stephen dichiara di voler portare Charlie a casa prima che si ammali.
Jace ed io fingiamo di raccogliere le nostre cose; appena escono raggiungo la dependance. Jace al seguito.
《Vorrei...》provo a spiegarmi.
《Non dire nulla. Ci vediamo più tardi vado a casa a cambiarmi.》mi interrompe lui.
Sfilo le forcine dall'elaborata acconciatura, mi immergo nella vasca e mi concedo un bagno.
Poi siedo sul letto, sola, e mi rendo conto di quanto male mi faccia tutto questo, cedo al pianto.
Per l'ultima volta. Questa è una promessa.
Mi rannicchio e lascio libero sfogo a tutto il dolore che ho trattenuto.
Perché ho deciso: da domani si va in scena...tornerò ad essere la ragazza ilare di un tempo, non perché così mi senta, ma ad i miei amici e chi mi sta accanto non trovo giusto scaraventare addosso la mia tristezza, il mio inconsolabile senso di colpa, il mio abbandono.
Stringo con forza le lenzuola tra i pugni e rinuncio a fingere per qualche ora, ancora.
Domani è un altro giorno.
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