22. Ritorno a Grantown
"Le temperature sono calate."
Asserì il signor Walsh, riempiendo il bicchiere di Arlina con del succo di mela, "Un giorno vien voglia di andare in spiaggia e il giorno dopo di rintanarsi in casa con una tazza bollente di tè in mano."
"Oh, ma voi state solo descrivendo l'Inghilterra." replicò lei, sistemando il tovagliolo di stoffa sulla gonna.
Desmond sorrise e le adagiò delicatamente sul piatto un uovo alla coque, "Per fortuna ci siete voi a portare un pò di sole."
Arlina alzò all'insu il mento, ricambiandolo con una tenera espressione.
Quel reciproco scambio fu interrotto dall'apertura della porta, dalla quale si affacciò McGartie, radioso come non mai. Percorse velocemente la sala da pranzo e prese a sedere al suo solito posto, non prima di aver accennato uno sguardo complice alla giovane sgàil.
"Buongiorno, signorina Campbell..." le disse allora, sistemando il tovagliolo dentro al colletto.
"Signor McGartie..." ricambiò lei, marcando un piccolo movimento con il capo, segretamente imbarazzata per quel tono così tanto formale da stonare come non mai.
Ancor più adesso che, a conti fatti, i due sembravano stuzzicarsi furtivamente con gli occhi da quando il fatto era avvenuto.
Fatto che, dalle nozze di Stephanie, non aveva avuto modo di riproporsi. Probabilmente perché certi eventi, quando cadono sulla Terra come un fulmine a ciel sereno, meritano il giusto tempo per essere metabolizzati. Sarà che, poi, né Trevor né Arlina sapevano ancora quale fosse il modo più giusto per approcciarsi a quella questione. Come gestire quei nuovi equilibri e, soprattutto, come non invadere le volontà dell'altro. Perché, se da un lato la voglia di sfiorarsi ancora una volta vicendevolmente ardeva viva nei loro petti, dall'altro nessuno dei due era sicuro che quel fuoco fosse reciproco. Nessuno dei due aveva trovato abbastanza coraggio per confidarsi. Nessuno dei due osava al punto di ripetere ciò che gli scaffali di quella biblioteca avevano visto.
Eppure, tra le pause di un sospiro e il successivo e tra i sorrisi di uno sguardo e l'altro, un intero universo di cose poteva dirsi, se solo quei due avessero pensato meno e agito di più. Non che quel bacio fosse nato per rimanere vincolato ad una mera circostanza, questo non di certo. McGartie aveva da subito espresso con coraggio le sue intenzioni. Intenzioni che avevano preso forma e sostanza nell'esatto istante in cui si era, appunto, dichiarato alla giovane, esprimendole il suo amore.
Quest'ultima, nondimeno, aveva ben accolto quell'intima tenerezza, manifestando un trasporto che mai avrebbe pensato di essere capace di provare un giorno per un uomo. Tuttavia, se è opinione comune che il vero amore non chieda permesso, è altrettanto certo che due anime delicate, quando si sfiorano, hanno il timore di far troppo forte.
"Gradite del tè?" le chiese Arlina, perseverando in quello stato di estrema riverenzialità.
"Come?" sussultò lui, quasi distratto dai suoi occhi, "Oh, sì... il tè."
"Esatto, il tè."
Trevor cercò di trattenere invano un sorriso che, immediatamente, contagiò di riflesso la ragazza.
Mentre un breve stallo di imbarazzo si intrometteva tra i due, il signor Walsh, piuttosto frastornato, avanzò di un passo.
"C'è qualcosa che non va nella colazione di stamani?"
McGartie strinse la mandibola, cercando di ricomporsi, "Oh nient'affatto Desmond, è tutto delizioso. Come sempre. Siete d'accordo, miss Campbell?"
Arlina deglutì, rossa in viso, tradendo tutta la tenera giovinezza che spesso tentava di mascherare.
"Le uova sono squisite." sentenziò.
Il signor Walsh, allora, abbassò lo sguardo sul piatto notando come la sgàil non avesse ancora nemmeno rotto il guscio.
La giovane indugiò nella stessa direzione dei suoi occhi e scoppiò a ridere, sconfitta, portando una mano davanti la bocca, con Trevor che le seguì dietro, tanto che il povero Desmond fu costretto a dirigersi, borbottando, verso le cucine. Tanto si era imbronciato.
"Oh, povero signor Walsh! Ci avrà preso per pazzi!" esclamò allora lei, asciugando una lacrima.
McGartie estinse lievemente il riso e fece scorrere una mano sul tavolo, raggiungendo quella della sgàil. Adagiò il palmo sul suo, "Lo siamo, in effetti."
La giovane strinse quella presa, lasciando che le dita si intrecciassero. Un brivido elettrico le percorse l'avambraccio, "Sì, lo siamo." disse, adesso serissima.
"Arlina..." riprese poi lui, gonfiando il petto, "Credete sia il caso di parlare... insomma, intendo dire... di parlare di ciò che è successo l'altro giorn..."
"Intendete il bacio?" mozzò subito lei, ingenuamente diretta, "Nutrite dei ripensamenti?"
"Cosa?! No di certo!" esclamò, istintivo.
Ridimensionò, quindi, il volume della voce e, dopo una brevissima pausa, la guardò con una certa perplessità, "...Voi sì?"
Arlina schiuse le labbra, "Oh cielo, no! Voglio dire... no, certamente. Io... ecco, io lo rifarei." sentenziò, deglutendo, "In verità, siete stato il primo."
Mi avete guardata come si osserva un fiore appena colto tra le dita. Non so descrivere pienamente come quell'emozione vi abbia acceso gli occhi, ma so per certo che era un sentimento di bene e, al medesimo tempo, di estrema responsabilità. Avete pensato "Ecco, io sono stato il primo. Dunque sarò indimenticabile." e subito quel senso di protezione vi ha fatto raddizzare le spalle.
Del resto, ogni "primo" non si scorda facilmente. Il primo sussulto, il primo bacio... il primo Amore. Oh, quanto sono frivola e sciocca a dimenarmi in certe farneticazioni. Eppure è questo l'effetto che mi fate. Io con voi ho imparato ad alleggerirmi. E adesso che vi stringo ancora più forte la mano, la vita sembra davvero meno pesante.
"C'è una cosa che devo dirvi." riprese l'uomo, serrando con una certa tensione la mandibola.
La ragazza rimase a guardarlo con due occhi grandi come le finestre che spalancava al mattino dalla sua camera, attendendo che prendesse a parlare.
Tuttavia, un intenso rumore di suole contro al parquet, interruppe sul nascere quell'intima conversazione, costringendoli immediatamente ad allontanare le mani giunte.
"Miss Campbell..." disse il signor Walsh, aprendo le due ante della sala da pranzo, "Avete visite."
Arlina ruotò il busto, poggiando una mano sullo schienale della sedia, "Visite?" domandò, perplessa.
Alle spalle di Desmond, una figura infagottata dentro una grossa cuffia merlettata si palesò lentamente.
"Buongiorno, mia cara."
"Zia Rose!"
La sgàil scattò come una gazzella dalla seduta e raggiunse le braccia dell'anziana donna, difronte lo stupore attonito di McGartie, rimasto impalato a capotavola.
"Buon Cielo! Ma cosa ci fate qui?! Perché non siete in Scozia?"
Zia Rose la guardò con il timore negli occhi, lo stesso di chi sa di star per spezzare il cuore.
"Vostra madre, Arlina." disse, con una certa gravità nel tono, "Vedete, mia cara, vostra madre è molto malata."
La giovane schiuse la bocca, rilassando la presa delle braccia, come se avesse improvvisamente perso vigore, "Mia... mia madre?"
Trevor abbandonò la seggiola.
"La Cuscuta, Arlina. I dottori non hanno dubbi."
"La Cuscuta del Diavolo?" chiese lui, avanzando e intromettendosi nella discussione.
"Voi dovete essere il signor McGartie. Sono mortificata di essere stata tanto invadente. Ma ho pensato che sarebbe stato più saggio avvisare mia nipote di presenza che con una lettera. I lunghi viaggi non mi hanno mai intimorita, signore."
"Non dovete scusarvi di nulla." replicò l'uomo, "Ditemi solo come posso esservi utile in una tale circostanza."
L'anziana gli rivolse uno sguardo sorpreso, "Oh, vi ringrazio. Ma voi non potete far nulla, signore. In quanto a mia nipote..." disse poi, dirigendo lo sguardo sul viso impallidito della ragazza, "Lei partirà con me, quest'oggi stesso. Sono qui per riportarla in Scozia."
McGartie trattenne un respiro in mezzo al petto e lo stesso fece la sgàil, la quale istintivamente lo guardò.
"Immagino che non sia un problema per voi, se starà via qualche giorno."
Il giovane tese il collo, "Ovviamente no, madame. È giusto che vada a trovare sua madre."
"Finché c'è tempo." inchiodò zia Rose, con fare gelidamente schietto.
Arlina la fissò, con gli occhi lucidi, rimanendo muta e immobile.
"Andiamo a fare le valigie, cara. Non perdiamo tempo." proseguì infine, prendendola da una mano.
La ragazza le andò dietro, dirigendosi verso la porta. Ma, prima di sparire nel corridoio, rivolse ancora uno sguardo a Trevor, il quale le fece un lieve cenno col capo, il suo modo per dirle "Io sarò con voi".
Per tutto il viaggio, zia Rose aveva raccontato di come stessero crescendo bene i suoi fratelli, il giovane Eòin e la piccola Isobel, e di quanto, invece, fosse invecchiato tutto di botto il padre, il signor Donald Campbell.
Le parlava degli ultimi raccolti e dei recenti affari al mercato di Aberdeen, delle nuove vacche acquistate alla fiera di Tomintoul e di quanto fosse diventata grassa la signora Brown, la moglie del macellaio di Grantown-on-Spey.
Oh, tra tutte, quest'ultima era certamente una delle cose che più mancava ad Arlina. Grantown era una minuscola cittadina immersa tra le verdi valli del Cairngroms, nelle highlands scozzesi. All'inizio della primavera il fiume Spey raddoppiava la sua portata e fino a casa si poteva sentire, certe mattine, lo scrosciare energico dell'acqua contro le pietre argentee.
Non era di certo il luogo di villeggiatura più ambito per le vacanze estive dei ricchi signorotti di Edinburgo, ma per la giovane sgàil e per la sua famiglia quella città aveva quasi l'aspetto di un piccolo paradiso, fatto di ritmi lenti e vite semplici ma felici.
E se di felicità si parlava, Arlina iniziava a chiedersi se, una volta arrivata a casa, sarebbe riuscita a ritrovarla, così per come se la ricordava. Eppure, l'espressione di zia Rose, che di tutto continuava a chiacchierare tranne che della sorella, sembrava chiaramente anticipare ben altro.
Così, dopo essere giunte a Dublino, la carrozza si diresse verso il porto di Belfast che era già notte. Da lì avrebbero traghettato nelle Lowlands e, il giorno seguente, risalito verso nord-est le terre del sud fino a Grantown.
Il viaggio, tuttavia, sembrò ancora più lungo di quanto già non fosse. In effetti, il pensiero di sua madre aveva attanagliato l'animo della giovane senza un minuto di sosta. E se su tre frasi dette da zia Rose, Arlina ne seguiva una, allora poteva dirsi già un buon risultato.
"Siete fortunata, mia cara, a lavorare presso quella meravigliosa tenuta irlandese." aveva detto la donna, "Vedrete, cara nipote, che a Grantown le cose sono un pò cambiate."
E lo erano davvero. Il giorno seguente, poche ore dopo il tramonto, le due giunsero, stanche e infreddolite dal vento, nella fattoria Campbell. Quando la giovane discese dalla carrozza e mise piede sul terriccio, i suoi fratelli non le diedero nemmeno il tempo di guardarsi intorno che subito le saltarono al collo.
Sembravano felici ma, dopo un prima impressione, più che di contentezza si trattava di sollievo. Erano sollevati perché la sorella era tornata a casa e tutto si sarebbe sistemato, ecco cosa avevano pensato.
"Mi hai portato un giocattolo?" chiese la più piccola, tirandole un lembo del cappotto.
"La mamma morirà, non è vero? Sei tornata per questo." disse poi il mezzano, con l'espressione sconfortata.
"Lasciatela stare!" esclamò zia Rose, spingendola verso casa, "Vostra sorella è stremata dal viaggio. Rimandate le domandale ad un altro momento!"
Arlina li osservò con aria frastornata e proseguì velocemente sul vialetto sterrato. Appena entrate, un aspro odore di alcool e muffa le investì il naso.
"Arlina, pensavo non ce l'avreste fatta."
La voce ferma del padre risuonò alla sua sinistra. Teneva in mano delle bende umettate con del vecchio gin, dovevano servirgli per far scendere la temperatura della febbre di sua madre, pensò.
"Padre..." rispose quindi, deglutendo, "Non ce l'avrei fatta per... per cosa?"
Donald assottigliò le labbra in un'espressione contrita di rassegnazione, "Non le resta molto tempo." asserì, "Ma vuole vedervi comunque."
Lo si riesce a percepire nell'aria quando la Morte sta per scendere silenziosa sopra un'anima. Quella sensazione di inquietudine si fa strada dentro al petto e non ti fa respirare. Ti divora il cuore e dopo non restano che brandelli. Questo fu ciò che provò Arlina, facendo ingresso nella camera di sua madre. Il letto sfatto e le lenzuola ammaccate da cui faceva capolino un piede, pallido e smagrito.
Avanzò lentamente, senza il coraggio di proferire parola. Senza nemmeno la forza di guardarla in faccia. Cosa avrebbe potuto dirle? Lei era stata via per così tanto tempo. A cosa sarebbe servito usare parole di conforto, se già la sua stessa presenza lì dentro era segno di qualcosa che non andava. Eòin aveva ragione, sua madre sarebbe morta. E più si avvicinava al lato del letto, più il suo viso scavato si faceva nitido, più quel pensiero diventava consapevolezza.
"Oh Arlina, figlia mia..." sibilò la donna, trascinando un braccio lungo il materasso, "...sei qui finalmente. Ti ho aspettata... hai visto?"
Gli occhi della sgàil si annebbiarono di acqua salina, "Madre..." sibilò, sedendo a lato e stringendole forte la mano.
"Ti ho lasciata bambina e ti ritrovo donna..." riprese lei, a fatica, "Proteggi i tuoi fratelli, mia dolce Arlina. Promettimi che lo farai..."
Una lacrima discese crudele dallo zigomo della giovane, "Certo madre... ve lo prometto."
"E promettimi... promettetimi anche che sarai felice."
"Adesso non pensate a me. Pensate... pensate a stare meglio, madre... a rimettervi. Parleremo di queste cose in un altro momento..." replicò, con una certa agitazione.
La donna, tuttavia, sembrò non rispondere. Solo i suoi occhi Arlina non avrebbe mai più scordato. Quegli occhi fissi e fermi come sassi sul fondo del mare. E quella mano, adesso fredda e stretta come non mai alla sua.
L'ho percepita. Ho percepito Morte passarmi accanto e portarmela via. Tuttavia, non era feroce. L'ha presa per mano e l'ha condotta in un posto migliore. Io, di questo, sono certa. Immagino che la perdita di una madre sia un evento traumatico che segna un figlio per il resto della vita. È solo che non credo di avere ancora piena coscienza di ciò che è appena accaduto. L'unica cosa che so è che questa non ricorda affatto la casa che ho lasciato anni fa, quando sono diventata una sgàil. La gioia è evaporata e i colori sono sbiaditi insieme alle chiazze di umidità di queste pareti. Ho lasciato una vita e, al mio ritorno, vi ho trovato solo morte. Morte e desolazione.
Non credo di avere la forza di riuscire a restare a lungo qui. Eppure... le responsabilità non possono attendere i miei capricci. Credo che questo soggiorno si rivelerà più lungo del previsto. Che Dio abbi pietà di mia madre e che vegli sulla nostra famiglia.
Possa anche la notte più buia non impedire al Sole di sorgere.
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