15. Il fazzoletto

Anche il giorno di San Valentino era passato, insieme agli altri giorni grigi e rigidi di fine Febbraio.
In certe giornate come quelle, l'aria era talmente ferma che sembrava persino rischioso pensar qualcosa che i turbamenti sarebbero rimasti lì, a vagare fissi sopra le teste, senza andar più via. Eppure qualcosa su cui riflettere c'era sempre.

Prendete, per esempio, il signor McGartie. Si era chiuso, ormai da settimane, dentro la sua bolla dorata, fatta di scartoffie e di ore intere passate a scrivere chissà quali pensieri e divagazioni. Ogni tanto chiedeva a Desmond di portargli un tè, altre volte al giovane Luke il quotidiano del giorno, appena fresco di stampa.
L'odore di tabacco fuoriusciva da sotto la porta dell'ufficio e, di tanto in tanto, passando sul corridoio, Arlina riusciva a percepirlo.
Tuttavia, una inusuale mite mattinata di fine Febbraio, decise di uscire fuori da quell'ufficio, come se d'un tratto qualcosa avesse preso una rotta diversa, smontando ogni sorta di monotonia.
Percorse le stanze di NewBridge House, aggiustando velocemente col palmo un lucente ciuffo di capelli che si era spostato sulla fronte, e si arrestò davanti la porta della biblioteca. Tentennò solo pochi istanti prima di varcare la soglia.

"Buongiorno, signorina Campbell." disse, avviandosi verso il tavolino dove la ragazza aveva appena poggiato la sua consueta tazza di Earl Grey.
Arlina sembrò sobbalzare e per poco non sputò via il sorso di tè appena messo in gola.
Si sedette davanti a lei, come durante le prime settimane di quiete dall'arrivo della ragazza.

Cosa state facendo, signor McGartie? Buon Dio, sono giorni che non ci parliamo.

"Buongiorno..." rispose lei, quasi titubante anche solo di augurargliela una buona giornata.
Il giovane deglutì e spostò lo sguardo verso la finestrona a volta che dava su un ampio prato inglese, "C'è il sole stamattina. Immagino che l'inverno stia iniziando a congedarsi da queste pianure."
Arlina si limitò ad annuire, riprendendo tra le mani la sua tazza di tè bollente.
Non aveva più alcuna intenzione di combattere, nessuna voglia di sbattere ancora una volta la testa contro al muro che quell'uomo aveva deciso di alzare tra loro di punto in bianco. Stava solo cercando di capire perché mai, adesso, avesse deciso di mettere su una piacevole quanto sterile conversazione sul tempo, anziché discutere di quello che era successo, o meglio, non successo durante quelle interminabili settimane.
"E va bene..." disse allora lui, notando subito l'indisposizione di Arlina.
Incrociò con una certa signorilità le gambe e stirò bene gli avambracci lungo i braccioli della poltrona.

"Siete arrabbiata con me?"
"Ditemelo voi." rispose lei, netta.
McGartie alzò il mento, "Credo di sì.".
"E pensate di conoscerne anche il motivo?", la ragazza strinse i denti, adesso ancora più severa.
Trevor bagnò le labbra, "Vi ho trascurata."
Un ghigno si impose sul volto di Arlina, "Adesso parlate come se fossi uno dei vostri cavalli."
Scattò quindi all'impiedi e fece per andare via, ma Trevor la fermò tenendola da una mano, tanto che nella scomposta colluttazione pure la tazzina di tè si rovesciò sulla gonna della giovane.
I due rimasero immobili a osservare per qualche istante le gocce di tè nero che cadevano dall'orlo della veste.
McGartie teneva ancora dal braccio la giovane mentre, quest'ultima, fissava con le labbra semischiuse la macchia che si spandeva tra le trame di organza.

Il breve fracasso destò l'attenzione della servitù tanto che il signor Walsh non perse tempo a irrompere dentro la sala.
"È successo qualcosa?!"
"Non ora Desdmond!" urlarono all'unisono i due giovani, voltandosi in un lampo verso il poveretto che, frastornato, richiuse subito la porta davanti a sé.
"Avete intenzione di lasciarmi andare oppure volete che vi incarti la mano, così potete portarla via?" riprese allora lei, osservando la presa che ancora teneva salda Trevor.
Quest'ultimo allontanò subito il braccio, "Perdonatemi, miss Campbell. È solo che non voglio che andiate via. Non adesso."

La ragazza, allora, cercò di prendere un bel respiro e di far scivolare fin giù ai polmoni la furia che le si strozzava in gola. Così, come se nulla fosse accaduto, si ricompose e, nonostante la gonna bagnata, riprese a sedere, mantenendo drittissima la schiena contro al cuscino.
"Quello che sto cercando di dirvi..." proseguì lui, con tono più calmo, "...è che io non credo di essere abbastanza interessante per voi, non perlomeno al pari di quelle che erano le vostre iniziali aspettative. E so che spesso e volentieri vi ritrovate a trascorrere intere giornate da sola. Lo so bene e mi... mi detesto per questo. Ma, vedete, io sono un medico, sono un uomo di scienza, studio la vita da dietro una finestra e poco altro. Quindi sì, so di avervi deluso. E ne sono sinceramente rammaricato, credetemi. Ma, perlomeno, vi risparmio delle angoscianti chiacchierate che dovrebbero rientrare in quelle cinque ore giornaliere che il vostro codice impone."
La fronte della giovane si corrugò, "Angoscianti chiacchierate? Pensate davvero che le nostre conversazioni assumessero questo significato? Perché non è ciò che ricordo io, signor McGartie.", si sistemò meglio contro lo schienale, "Quello che ricordo, invece, è un uomo che aveva la sincera voglia di scambiare idee, opinioni... visioni di qualunque tipo. Un uomo che sorrideva alle mie battute e che si accigliava, controbattendo, se alzavo un parere diverso. Un uomo autentico...", deglutì e rilassò le spalle, "...senza filtri e senza paura di essere..."
"Di essere...?" aggiunse lui, malinconico.
"...vulnerabile." concluse lei.
Dalle labbra di Trevor un lieve respiro fuggì via e sembrò come se in cuore suo qualcosa si fosse alleggerito, rivelato.
"Come quella notte lungo il Tamigi." disse poi, d'un fiato.

Cosa? Lo avete detto davvero o forse l'ho solo immaginato? In un caso o nell'altro, se non fossi seduta, le mie gambe sarebbero già collassate tradendomi in una rovinosa caduta a terra.

"Io...", Arlina cercò di sopraffare lo stupore tentando di balbettare qualcosa, "Io... immagino... immagino di sì."
"Ero autentico in quella circostanza, per voi?" ribatté, allora.

Perché lo state facendo? Perché insistete su quel punto? Persino un cieco capirebbe che ritornare a quel momento mi getta in uno stato di immenso disagio. E voi, uno psichiatra, sembrate invece non curarvene. Siete crudele, ma se insistete, allora vi dirò tutto fuorché ciò che vorreste sentire.

"Autentico o meno, un uomo resta pur sempre un uomo. Lo avete detto anche voi, una volta." rispose, freddamente.
"Spiegatevi meglio."
"Intendo dire che, l'uomo che ho visto lungo le sponde del Tamigi non è poi tanto diverso da un qualunque uomo annoiato da una serata disastrosa passata a sorseggiare vino spunto fatto passare per chissà quale pregiato nettare. Un uomo, quindi, che si lascia andare a confidenze e a chissà quali altre divagazioni perché, in fondo, la vista di una bella Torre e il fruscìo di un fiume ispirerebbero anche i cuori più duri a romanzare una semplice passeggiata." caricò, allora, come se le parole fossero state scandite in un'unica emissione di fiato.

Mi avete guardata e siete rimasto in silenzio per qualche tocco di lancetta. La vostra espressione, poi, lentamente è virata su di una più frastornata e, a tratti, umanamente mortificata.
È stato in quel momento, proprio al mutare del vostro viso, che ho capito che non erano state le mie parole a sconvolgervi, bensì le lacrime che, a mia stessa insaputa, scendevano sulle guance mentre le proferivo, quelle parole. Mentre raccontavo una visione distorta della realtà a cui io, per prima, non credevo affatto.
Ero partita convinta di ferirvi, quando invece, a dire certe sciocchezze, ho finito solo per ferire me stessa.
Non penso affatto che voi siate il solito uomo, signor McGartie. E non credo nemmeno che colui che ho sentito fino alle ossa quella notte, fosse solo un uomo annoiato in cerca di una qualche distrazione.
Ma, come sempre, è più facile raccontarci una comoda bugia che una fastidiosa verità, non è così? Lo fate voi e lo faccio io.
Eppure io in quella notte ci ho creduto. Voi mi chiederete "In cosa avete creduto?" ed io non saprei nemmeno rispondervi. Eppure ho sentito per certo nell'aria che per un istante, un solo istante, ci fosse qualcosa a cui credere, qualcosa che ne valesse davvero la pena. È stata solo una mia sensazione o anche voi avete provato lo stesso?
Mi sento così stupida, signor McGartie, come stupide mi sembrano adesso queste lacrime che si fanno sempre più copiose.

Trevor, dopo un lieve tentennamento, si fiondò subito verso la poveretta, seduta ancora su quella poltroncina che adesso rappresentava l'unico sostegno che la teneva dritta.
L'uomo, quindi, rimasto in ginocchio ai piedi della sedia, tirò fuori dal taschino del gilet un fazzoletto di cotone finemente ricamato.
"Prendete..." le disse, con estrema tenerezza.
Arlina accettò senza pensarci quell'aiuto e portò subito la stoffa sugli occhi arrossati e bagnati, "Mi dispiace, non... non so cosa mi sia successo..." sillabò.
McGartie la guardò con più attenzione e, ponendo una mano sulla sua, indirizzò il fazzoletto a raccogliere una lacrima che strisciava lungo la gota.
"È successo che sono un vero idiota, signorina Campbell..." commentò allora, come se parlasse a sé stesso, "Un idiota come pochi."
La giovane abbassò lentamente lo sguardo e lo osservò così come si osserva un uomo che si è già perdonato.
Trevor, tuttavia, non accettò quello sguardo così bonario. Sentiva di non meritarselo, non certamente stavolta.
Si rimise, allora, in piedi e la guardò con un velo di tristezza.
"Chiederò al signor Walsh di prepararvi un bagno caldo, signorina Campbell. E un vestito stirato e pulito. E se dopo questa giornata deciderete di...", deglutì e premette il palato sulla mandibola, "Se deciderete di andare via..."
Arlina alzò subito lo sguardo verso lui.
"...Io lo potrei capire. E non troverete alcuna opposizione da parte mia. Voglio solo che voi siate serena. Davvero."

Detto questo, la guardò ancora una volta, costernato e con uno strano dolore negli occhi. Poi, raggiunse la porta e la aprì lentamente, come se volesse sfruttare quel tempo per pensare a qualcos'altro da dire. Ma non lo fece. Non aggiunse altro e andò via.

Ho sentito i vostri passi allontanarsi sempre più fino a non sentire più niente. Ed è proprio così, signor McGartie, a me sembra di non sentire più niente adesso. Solo il silenzio di questa stanza. Nemmeno l'idea di essere circondata dai libri, i miei amati libri, mi conforta.
Mi avete offerto la possibilità di andare via. Avete detto che capireste.
Quindi è davvero così che finisce?
Non ho mai letto alcun romanzo, alcun saggio terminare più tristemente di così.
Eppure, forse hanno ragione quelli che sostengono che la vita è ben diversa da quella che si ritrova sui libri. Le storie che leggo regalano sempre una speranza. La prospettiva che, qualunque peripezia possa seguire, l'eroe la farà sempre franca. Ma io non mi sento né un eroe né un personaggio secondario. Mi sento solo una stupida comparsa destinata a un fondo pagina.
C'è il vuoto nei miei pensieri. La testa mi gira e penso di aver nuovamente rovinato tutto. Forse avete ragione, forse dovrei semplicemente andare via. Forse dovrei fare le valigie stasera stessa. Salutare il giovane Luke e il vecchio e caro Desmond e fuggire appena la carrozza imbocca il vialetto.
Forse dovrei allontanarmi dalla vostra vita e allontanare la mia da voi.
Forse, a volte, le storie sono solo storie che non hanno un lieto fine.

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