12. Serata di Gala
Anche se l'alce sfama più bocche, il cerbiatto attirerà sempre più canne di fucile.
Era questa la frase che miss Rose ripeteva sempre alla piccola Arlina quando, da fanciulla, supplicava la zia di poter andare a giocare insieme ai figli del macellaio del villaggio, il signor Patel. I figli in questione erano due giovanotti di circa quattordici e quindici anni, scaltri e sbruffoni proprio come il padre, ma spassosi e scalmanati a sufficienza da attirare la curiosità di una devota bambina di 7 anni.
"Dovresti giocare con fanciulle della tua stessa età, Arlina..." ammoniva miss Rose, spennando energicamente un gallo sul bancone di uno striminzito cucinino, "...non si addice ad una signorina giocare a palla insieme a dei furfanti! Devi stare attenta, bambina mia..." proseguiva, asciugando il sudore sul grembiule gonfio, "...tu sei troppo buona. Vedi solo il bene. Ma imparerai crescendo che le persone sono più marce delle uova quando le lasci sei giorni al sole. Se ne approfittano! È così! Se ti vedono debole non perderanno tempo che... BAAM! Ecco che il cerbiatto è pronto in tavola, Arlina!"
Queste parole furono la prima cosa che le si balenò in testa appena varcata la porta della Gran Sala dell'Almack's Club. Di fronte al suo timido sguardo presero forma decine di donne attempate, imbellettate fino alla nausea con penne di sturzo, pizzi, lustrini e visiere in retina. Gli uomini, d'altro canto, ricurvi dentro i loro tight con la coda, sembravano agli occhi di Arlina goffe e grasse marmotte che, tuttavia, sorseggiavano con aria di sufficienza le loro coppe di champagne, come se ogni cosa, in quella sala li fosse semplicemente dovuta.
Cercò immediatamente con lo sguardo il signor McGartie che, tuttavia, non sembrava essere nei paraggi, e avanzò tentennando di qualche passo verso un cameriere che serviva flute di Chardonnay.
"Perdonatemi, sapete indicarmi il bagno?" chiese con un filo di voce, già nauseata dall'insopportabile atmosfera snob che si respirava in quella sala.
Si diresse quindi con grande fretta verso il corridoio indicatole dall'uomo, tanto che istintivamente alzò lievemente la gonna per avanzare più velocemente. Prima di abbandonare la Sala del ricevimento, tuttavia, guardò ancora una volta quegli uomini e quelle donne e un leggero senso di alienazione le invase i pensieri. Pensieri che svanirono in un attimo quando, ripresa la traiettoria, andò a sbattere con irruenza sul petto del signor McGartie.
"Oh cielo! Perdonatemi, Arlina." disse subito lui, rammaricato.
La giovane si ricompose, come riemersa dalle acque di un brutto incubo, "No! Sono io che vi chiedo scusa. Mi ero distratta un attimo e... e non..."
"Vi sentite bene?" interruppe Trevor, notando adesso goccioline di sudore sulla fronte, "Siete pallida.".
Lo sono davvero? Se è così, se il mio viso è impallidito e il mio battito è irregolare è solo perché per la prima volta in vita mia mi sono sentita un cerbiatto, signor McGartie. Proprio come quello di cui mi raccontava zia Rose da bambina. Un cerbiatto su cui stasera punteranno i loro fucili a canna proprio gli uomini baffuti e le signore ingioiellate da cui sono fuggita un minuto fa.
"Sto bene, state tranquillo." riprese lei, dopo qualche attimo di contemplazione, "È solo che credevo... credevo di non riuscire a trovarvi."
Trevor liberò un'espressione intenerita, "Pensavate sul serio che mi fossi dimenticato di voi?"
La guardò allora, come se la stesse guardando per la prima volta, e lasciò scendere giù dal petto un impercettibile sospiro.
"La luce che emanate stasera basterebbe a illuminare ogni strada di Londra, signorina Campbell. Siete... impeccabile." disse, serrando infine la mandibola.
Arlina sentì che quello sguardo avrebbe potuto attraversarle le ossa di netto, se solo Trevor lo avesse sostenuto per qualche secondo di più.
"Inoltre, noto con piacere che avete indossato il medaglione." concluse lui, spostando le iridi sul suo girocollo.
La giovane portò istintivamente le dita sul prezioso cimelio e accennò un sorriso.
Ebbene si, signor McGartie. In ultimo, ho deciso di indossarlo. Quando il cocchiere ha arrestato la corsa, ho afferrato la scatolina e l'ho fatto. Per l'intera durata del viaggio, tuttavia, giuro con tutta me stessa che ero risoluta a non usarlo per nessun motivo. E questo perché, sebbene abbia apprezzato il vostro pensiero, ritengo sia azzardato lasciarmi indossare un gioiello non solo prezioso per il mero valore, ma quanto più per il solo fatto di essere appartenuto a vostra madre. Alla donna della vostra Vita. Mi avevate detto che per voi sono l'unica che può indossarlo, ma tuttavia non comprendo ancora il reale significato di queste parole. Nonostante tutto però, eccomi qui. Al collo il vostro cimelio e nell'animo domande che iniziano vertiginosamente a prendere forma.
"Venite con me." proseguì poco dopo lui, "Voglio presentarvi a dei colleghi nonché amici fidati.".
Così facendo, porse cordialmente l'avambraccio ad Arlina, la quale, intimamente terrorizzata, lo cinse con la mano.
Ed ecco che la poveretta, tornando sconfitta nella tana dei lupi, iniziò ad abbozzare finti sorrisi a coloro i quali, vedendola passare, le rivolgevano uno sguardo famelico e invadente.
"Non esagero se vi dico che metà sala vi sta osservando..." le sussurrò Trevor, mentre avanzavano verso il centro.
Oh, signor McGartie, i vostri commenti non aiutano di certo.
"...Non li biasimo, del resto." continuò, sorridendo, "Quelle donne venderebbero l'anima al diavolo per avere un briciolo della vostra grazia."
"E degli uomini, invece, cosa mi dite?" rispose allora Arlina, continuando a guardare dritto.
"Gli uomini restano uomini, signorina Campbell. E poco importa se il più giovane abbia da poco superato i cinquanta. Notano una donna aggraziata e la desiderano."
"...E vale lo stesso per voi?" replicò immediatamente la giovane, senza pensarci.
Perdonatemi. Non so cosa mi sia preso.
McGartie non ebbe nemmeno il tempo di rivolgerle uno sguardo attonito e paonazzo che subito un uomo con un vistoso orologio da taschino puntato al petto lo prese sottobraccio, strappandolo alla presa delicata di Arlina.
"Il dottor McGartie è di nuovo in città!" esclamò, battendogli un palmo sul petto.
"Roger, amico mio!" ribatté con entusiasmo lui.
Dovevano essere buoni amici, pensò Arlina osservandoli.
"È da due anni che non ti fai vedere ai Congressi dell'Albo, pensavamo fossi morto!"
Trevor abbassò per un istante lo sguardo, "Beh, semplicemente non avevo niente di interessante da presentare Roger... sai come vanno le cose in questo mestiere."
"Già... o impazziscono loro o impazziamo noi, non è così?" ribatté, lasciandosi andare ad una risata scomposta che la ragazza trovò alquanto fastidiosa.
Le risate dell'uomo, tuttavia, si arrestarono presto nel rendersi conto proprio della presenza della giovane, ferma immobile, di fianco McGartie.
Con espressione esterreffata rivolse uno sguardo al giovane collega, "E questo gioiellino dove lo hai tenuto nascosto?"
La ragazza si sentì sprofondare, inghiottita dalle mille piastrelle di marmo Rosso Francia.
"Lei è la signorina Arlina Grace Campbell..." ribatté, imbarazzato per l'irruenza dell'amico, "Da questo Gennaio presta i suoi servizi come sgàil a NewBridge House."
"Nella... tua residenza?!" chiese l'uomo, sgranando gli occhi.
"È così." si inserì Arlina, con inaspettata risolutezza, avanzando di un passo, "Sono onorata di prestare i miei servizi al signor McGartie. Un uomo dalla cordialità ed eleganza che ad oggi, se permettete, stento a ritrovare facilmente negli uomini."
Trevor la osservò e per un attimo si chiese se quella affianco a lui fosse la stessa sperduta fanciulla che pochi istanti prima sguazzava dentro un vistoso attacco di panico.
L'amico sorrise, intimamente spiazzato, e si rivolse a McGartie, quasi a non voler intenzionalmente considerare la giovane.
"E quando, esattamente, hai sentito l'esigenza di accogliere in casa una sgàil?"
McGartie alzò lievemente il mento, "Ogni uomo attraversa periodi di stallo, amico mio. Soprattutto in epoche aride come la nostra."
Roger lo ascoltò parlare ma, d'un tratto, sembrò come se un lumino in testa si fosse accesso di colpo, divampando nella notte. Iniziò a digrignare i denti e, gonfio in petto, prese sotto braccio il giovane dottore, allontanandosi con lui di pochi metri.
"Trevor, amico mio, sei il solito figlio di puttana!" esclamò allora, tornando a battere energicamente i palmi sul petto di McGartie, "Un maledettisimo genio!" concluse, non prima di allontanarsi e alzare goffamente un calice di liquore in onore del ragazzo.
Arlina assistette silenziosa a quello strano scambio di battute, percependo in cuore una sensazione tanto sinistra quanto nebbiosa.
"Cosa intendeva con tali parole quel vostro collega?" chiese allora grigia in volto, tornando vicino.
McGartie irriggidì la mascella, senza guardarla "Immagino fosse alquanto brillo, signorina Campbell. Vi porgo le mie scuse, vi ha messa in imbarazzo."
"No, non intendevo dire questo. È solo che..."
"Perdonatemi, adesso." la interruppe lui, congedandosi frettolosamente via dalla sala principale.
È una mia impressione o sotto al mio naso si stanno intrecciando avvicendamenti che, tuttavia, in assenza delle opportune consapevolezze, non riesco a carpire?!
La giovane rimase quindi sola e spaesata, di nuovo al centro degli sguardi indiscreti che, in pochi istanti, si fecero sagome e, poi, volti sempre più vicini.
"Perdonate, miss...?" chiese con voce roca una vecchia nobildonna con un enorme colletto di pelliccia.
"Miss Campbell." completò la giovane, mentre un fetido odore di tabacco le giungeva alle narici.
"Ho sentito che siete una sgàil." proseguì l'anziana, sorridendo compiaciuta.
Così, per circa una ventina di minuti, raccontò alla ragazza di come il povero marito non si fosse mai più ripreso dopo la battaglia di Culloden del 1746 e che, proprio per questo, la sua libido ne aveva risentito particolarmente. Il povero disgraziato (così lo appellava) sembrava aver perso oramai del tutto l'appetito per il gentil sesso e si chiedeva, quindi, se la giovane sarebbe stata disposta, per così dire, di tentare a riaccendere gli antichi ardori del vecchio coniuge, sotto le lenzuola.
"State... state parlando sul serio?" chiese con tono inorridito Arlina.
"Oh, cara... non pretendo affatto che voi abbandoniate la residenza del dottor McGartie! Vi chiedo solo di farci visita una... o due volte la settimana! Cosa ne pensate? Vi pagherei profumatamente!" rispose allora, tentando di afferrarle una mano.
"Sono una sgàil..." replicò la ragazza, scansandosi, severa "...non una puttana. Se state cercando divertimento per vostro marito, fossi in voi mi porrei innanzitutto delle domande sul mio matrimonio ma, se siete troppo pigra per farlo, e non ho dubbi che voi lo siate, quantomeno mi rivolgerei a un bordello, senza il bisogno di importunare così riprorevolmente una onesta donna cristiana."
La vecchia, sbigottita, alzò un indice verso la ragazza "Come osate parlarmi in quest..."
Una presa ferma, fortunatamente, cinse il polso di Arlina e, in un istante, l'immagine di Trevor si attestò tra le due.
"Miss Bouchard, è un piacere ritrovarla!" interruppe, repentino, "Tuttavia, adesso dobbiamo proprio andare! Mi saluti il dottor Fuller!" mozzò, tirando via dalla serpe la povera Arlina.
"Cosa state facendo?!" gli chiese, tenendo il passo svelto del giovane che continuava a tenerla da un braccio.
"Sto andando via da questo covo di matti e voi farete lo stesso, signorina Campbell."
"So difendermi benissimo da sola."
"Di questo non ho alcun dubbio." disse allora, arrestando la corsa, già giunti su un corridoio in penombra, lontano dal chiasso, "Il fatto, tuttavia, è che non vi ho portato qui con l'intento di vedervi duellare o controbattere alle oscenità di certe bocche. Speravo solo di regalarvi una piacevole serata di svago. Ma a quanto pare, la scelta di non presenziare agli ultimi due eventi avrei dovuto carpirla come un monito per saltare anche quest'anno."
"Adesso non siate troppo severo..." risolse lei, addolcendo l'espressione, "...del resto la notte londinese è ancora lunga."
"Cosa intendete?"
"Intendo dire che, da quando siamo arrivati nella capitale, ho visto solo carrozze e qualche smoking, signor McGartie. E non vi nego che apprezzerei molto avere l'opportunità di affacciarmi almeno una volta sul Tamigi, prima di fare rientro in Irlanda."
L'ho letto nei vostri occhi, sapete? Subito dopo la confessione di questo mio piccolo desiderio, ho intravisto sul vostro volto l'elettrica volontà di accontentarmi ad ogni costo. Abbiamo quindi preso la prima carrozza e, senza esitare, avete ordinato al cocchiere di portarci fino a Westminster. È una notte stellata, benché uggiosa ed io, signor McGartie, adesso posso davvero dirmi felice.
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