10. Viaggio e turbamenti
Abbiamo viaggiato per nove ore senza sosta. La carrozza sembrava quasi slittasse sulla neve e, due o tre volte, ho immaginato volasse giù dallo strapiombo dei monti per quanto andasse veloce. Più che immaginarlo, in realtà, l'ho sognato. Ho rilassato il collo e con le gambe sono scivolata lungo lo schienale dell'abitacolo, lasciando che la stanchezza avesse la meglio sui miei occhi. Tuttavia, ho catturato dentro le pupille i paesaggi selvaggi e le valli che abbiamo passato, i pascoli di capre Bilberry, i tetti innevati delle casette di campagna e il mare in tempesta del canale Saint George, che separa l'Irlanda dal resto del mondo. Adesso che sbatto le palpebre e risalgo col busto, mi rendo conto che è nuovamente l'alba e che siamo già in territorio gallese. Me ne accorgo dai pontili in pietra scura che la carrozza sta attraversando, dai ruscelli di acqua gelida e scrosciante che bagna e nutre le famose praterie del Galles. È un posto magico e glorioso. Un luogo in cui è facile sentire riecheggiare le antichità del passato. In quanto a voi, signor McGartie, non vi vedo dall'inizio del viaggio. Non per chissà quale oscuro motivo, sia chiaro. È solo che il mio status non me lo permette. Alle sgàil non è concesso intraprendere lunghi viaggi insieme al proprio signore, si correrebbe il rischio di sforare le cinque ore di compagnia stabilite. Il regolamento parla chiaro. Per questo viaggiamo in due carrozze diverse. Ammetto che condividere il percorso con voi mi avrebbe certamente alleviato la stanchezza e il disagio delle crepe sulla strada. Tuttavia, di fronte a certi paesaggi, ho avuto il piacere di azzardare quali potessero essere i vostri pensieri ammirandoli, se anche a voi le distese di muschio aprissero il petto ad un sussulto, se i raggi del primo Sole vi tagliassero il viso arrecandovi un lieto tepore. Trovate che questo mio giocoso passatempo sia troppo fanciullesco, signor McGartie?
I cavalli si arrestarono di colpo e le due carrozze rimasero ferme per qualche istante. Arlina spazzò via i pensieri e cercò di sbirciare dal finestrino della berlina ma le fu impossibile decifrare il paesaggio circostante, una fitta nebbia mattutina era discesa in pochi minuti dal cielo.
McGartie aprì rapidamente lo sportello, tanto che la poveretta fece un balzo indietro, "Lieto di rivederla, signorina Campbell." fece allora lui, velatamente divertito per una tale reazione, "Su, scendete... o il latte si fredderà."
"Latte?" chiese lei, ricomponendosi dallo spavento.
L'uomo le porse una mano, aiutandola a scendere dall'abitacolo, "Vedete... ogni volta che mi reco a Londra, la fattoria del signor Bowen è una tappa obbligata. Non mangerete mai formaggi più prelibati di questi."
La ragazza iniziò a camminargli dietro, a passo svelto e con fare ancora perplesso, "Non mi avevate detto che ci saremmo fermati."
McGartie alzò un sopracciglio, continuando a guardare dritto, "Pensavate di intraprendere quasi due giorni di viaggio senza sostare? Invidio la vostra tempra."
Arlina rimase quindi interdetta e lo seguì entrare dentro una minuscola locanda che puzzava di vacche e fieno.
"Dottor McGartie! Che piacere rivedervi!"
Una voce grossa si diffuse da un angolo dello stanzino, lasciando subito posto all'immagine di un omone panciuto infagottato dentro un informe cappotto di feltro scolorito.
"Spero di non disturbarvi..." replicò Trevor, avanzando di qualche passo.
"Oh, non scherzate! Per un fattore come me, le sei del mattino sono come mezzogiorno!"
L'omone smorzò sulle labbra i sorrisi e osservò al di là delle spalle di McGartie la giovane, che avanzò imbarazzata.
"Piacere di conoscervi, signor Bowen. Il mio nome è Arlina Grace Campbell." fece quindi lei, sorridendo con garbo.
Il pastore la guardò come stupefatto, "Per l'amor del cielo, dottor McGartie... se mi aveste avvisato che un angelo sarebbe giunto stamani alla mia fattoria, avrei indossato perlomeno delle braghe nuove!" esclamò allora, scoppiando in una fracassosa risata.
Il ragazzo sorrise e accennò una veloce occhiata alla giovane, quasi per rassicurarla.
"Non sapevo aveste trovato mogl..." proseguì poi Bowen.
"Infatti non è così." mozzò subito McGartie, "La signorina Campbell è una sgàil."
Il fattore corrugò quindi la fronte, "E che vorrebbe dire? Parlate in modo semplice, dottore, che io sono un uomo di terra e le uniche cose che conosco sono le mie vacche e i miei maiali!"
Arlina cercò di trattenere una risata e decise di intervenire per porre fine a quel grottesco siparietto.
"Signor Bowen, può considerarmi al pari di una buona amica il cui unico interesse è di tenere compagnia al signor McGartie. Certamente potrà sembrarvi un mestiere alquanto curioso, tuttavia lo svolgo con lo stesso entusiasmo con cui voi preparate quei deliziosi formaggi erborinati che vedo su quel bancone."
Tale risposta sembrò non solo soddisfare l'uomo, ma addirittura fomentarne l'entusiasmo. Bowen prese sottobraccio i due ragazzi e li fece accomodare al tavolo, iniziando a posare davanti taglieri stracolmi di latticini. Mentre li serviva, raccontava di come un inverno talmente mite non si vedesse da almeno quindici anni e di come le temperature meno rigide gli avessero permesso di prolungare i pascoli ed incrementare i profitti stagionali.
"Ecco, bevete! L'ho munto mezz'ora fa, è ancora caldo." disse poi, passandoli due grosse tazze di coccio stracolme di latte, "Adesso, se non vi offendete, devo tornare alle mie vacche. Ma sostate pure quanto volete, signori, la mia locanda è una casa per tutti gli amici!"
Li salutò, quindi, e andò via, lasciando che due pareti di legno e un po' di muffa negli angoli fosse tutto ciò che li rimaneva intorno.
"È un uomo perbene, anche se spesso può risultare invadente e irruento." disse Trevor, osservando la giovane che sedeva accanto.
"Credete che io possa provare disagio per così poco? Vi ricordo che le mie origini sono umili tanto quanto quelle del signor Bowen." replicò quindi Arlina, bevendo un sorso di latte, "Mio padre è un piccolo contadino e, per quanto riguarda mia madre, quando non è distratta dai lavori domestici non ha paura di piegarsi la schiena andando ad aiutarlo nei campi."
Il giovane annuì, "Avete fratelli?"
"Una sorella. È ancora una bambina di cinque anni. Fu una gravidanza totalmente inaspettata per mia madre, in effetti."
"Inaspettata ma, immagino, gioiosa." intervenne lui, "Partorire figlie femmine è manna dal Cielo di questi tempi."
"Già, così pare..." replicò Arlina, improvvisamente incupita "Eppure è certo che mia sorella non diventerà una sgàil come me."
"Questo non possiamo saperlo..."
"E invece sì." troncò subito, tradendo un lieve tremolio della mano che sosteneva la tazza.
McGartie, abile osservatore quale era, si rese immediatamente conto che quella era tutt'altro che una reazione controllata, "Ho detto qualcosa che vi ha turbata, signorina Campbell?"
La giovane si ricompose e adagiò lentamente il bicchiere sul tavolo, "No, voi non avete fatto nulla, signor McGartie. Perdonatemi... è solo che, vedete... lei è una bambina così sveglia, così piena di potenziale. È per questo che non voglio che scelga la mia stessa professione."
"Credevo che foste orgogliosa del vostro lavoro, di ciò che siete." disse allora lui, lievemente confuso.
"Sono orgogliosa di come sto affrontando il mio destino, signor McGartie. È un'attitudine molto diversa. So bene che ciò che faccio è nobile per molti aspetti. E, non fraintendetemi, sono felice di portare un po' di sollievo nella vita dei signori per cui lavoro. Ma, allo stesso tempo, proprio a causa della nobiltà del mio lavoro, ho ben chiaro nella mente, come un'immagine nitida i cui contorni sono stati tracciati a carboncino, quale sia il compromesso per tutto ciò." rispose lei, con una certa amarezza negli occhi che solo adesso McGartie riusciva a intravedere con chiarezza.
"A cosa vi riferite?"
"Non potrò mai avere una mia vita, signor McGartie. E questo è tutto. Da un lato, ammetto che certe volte sia una consolazione l'idea di non essere costretta a sposare un uomo solo per beneficiare di un patrimonio e un tetto sopra la testa, sebbene un'eventuale unione possa portare ad avere dei figli, i quali restano pur sempre un dono del Signore."
"Parlate come se non vi fosse concessa la possibilità di sposare un uomo di cui siete innamorata." affermò allora lui, improvvisamente stranito.
Arlina inarcò l'angolo della bocca e si lasciò andare a un sorriso sconfitto, "Oh, signor McGartie, mi piacerebbe credere alle vostre parole. Purtroppo però il vero amore l'ho visto nascere solo tra le fasce più miserabili. Donne e uomini che decidono di stare insieme per sempre, nonostante gli stenti e la fame. Lì sì che c'è amore. Ma non parlatemi del resto, perché basta salire di poco la scala sociale per iniziare a vedere solo matrimoni d'interesse e doti cospicue alla mercé dei mariti."
"Quindi ne fate una questione di classe?" intervenne il giovane, adesso crucciato, "Bisogna vivere da miserabili per essere felici, dal momento che i ricchi sono solo dei frustati rinchiusi in unioni di convenienza?"
"Potrebbe essere." confermò Arlina, fermissima sulla sua posizione.
McGartie spalancò leggermente la bocca, "Credevo che foste un'eterna romantica."
"E lo sono, signore. Proprio per questo non riesco a sopportare il destino che le donne sono costrette ad accettare pur di ottenere una posizione in questa società." sentenziò lei.
"Per cui, di conseguenza, sostenete che io, in quanto nobile, non potrò mai avere una vita coniugale felice e sincera." concluse il giovane, portando leggermente indietro il busto.
Arlina deglutì, irrigidendosi all'istante.
Ho davvero detto questo?
"Non ho detto questo." risolse allora, con fare irruento e turbato.
"Oh sì, l'avete detto." replicò Trevor, osservandola con velato divertimento.
Arlina divenne in fretta paonazza in viso, tanto che il colore delle gote poteva quasi confondersi con quello dei prosciutti appesi dietro le sue spalle, "Insisto, signor McGartie. Non intendevo assolutamente e categoricamente offendere la vostra person..."
Il giovane scoppiò allora in una fragorosa risata, iniziando ad addentare un mignolo e a dondolarsi sulla seggiola.
"Vi prendevo in giro, signorina Campbell. Stavo solo scherzando." disse, quindi, sorridendo.
Arlina congelò sul volto un'espressione smarrita e rimase in silenzio, probabilmente adesso ancora più in imbarazzo rispetto a un attimo prima.
McGartie si ricompose, riavvicinando il busto verso la dama, "Tuttavia, nel caso voi aveste ragione, spero che facciate il tifo per me quando verrà il momento di cercare moglie." concluse, rivolgendole uno sguardo ironico.
Un lieve sorriso si schiuse fra le labbra di Arlina, "Temo che non avrete difficoltà a trovarne una."
"Oh, ma io non devo trovarne una. Devo trovare l'unica." ribatté lui, sprezzante.
La ragazza allora gonfiò quasi in modo impercettibile il petto, spingendo sul corsetto e raddrizzando la schiena, "Sono... sono certa che sarà così, signor McGartie." replicò, portando gli occhi verso le mani, adesso incrociate sulla sottana, "Quanto a me, auguratemi buona fortuna. Che io possa avere per sempre la grazia di incontrare altri gentiluomini come voi, quando il mio mandato presso Newbridge House sarà concluso."
"Nutrite davvero tale considerazione della mia persona, signorina Campbell?" disse dunque lui, facendosi serio.
"Certamente. Avete il dono di riuscire a farmi dimenticare qualsiasi malinconia, persino in mezzo al fetore di letame."
Trevor si schiuse a un tenero e incontrollato sorriso. Sembrò quasi essere commosso per una simile disarmante confessione. Sgranchì quindi le spalle e si gettò contro lo schienale, come se avesse bisogno per un attimo di attutire il colpo di un'affermazione tanto affettuosa.
Perché mi state guardando così? Il vostro sorriso si è dissolto e sembrate improvvisamente crollato nella più profonda e miserabile tristezza.
"Finite il latte, signorina Campbell. È tempo di rimetterci in marcia se vogliamo arrivare in tempo per il Galà."
Il giovane uomo si mise in piedi e, insieme, si avviarono silenziosamente verso le carrozze.
Era come se qualcosa si fosse accesso e immediatamente spento un attimo dopo, lasciando solo le tracce di scie di fumo e lapilli.
Salendo sull'abitacolo Arlina si chiese più e più volte se avesse accidentalmente detto qualcosa di sospettosamente offensivo nei riguardi di McGartie, ma nonostante le numerose interrogazioni che la sua mente le sottoponeva, non riusciva a darsi una risposta soddisfacente. Il giovane le accennò quindi un lieve saluto e richiuse lo sportello, allontanandosi verso l'altro mezzo. La ragazza allora scivolò sul lato opposto del sedile e sbirciò nervosamente dal finestrino, cercando di scrutarlo in una qualche reazione esplicativa. Tuttavia non lo vide salire e ciò le bastò per decidere di persistere ancora nell'osservare con attenzione la seconda carrozza, stringendo tra i pugni un lembo della gonna.
Il suo sportello, a quel punto, si aprì nuovamente, con lentezza stavolta, lasciando che la figura di McGartie comparisse di nuovo ai piedi della scaletta.
La guardò, quasi con fare punito e sommesso, "Anche per me vale lo stesso, signorina Campbell. La vostra presenza allieta... allieta le mie giornate. Mi rende felice sapervi qui, nella mia vita. E se è vero che un inverno così mite non si vedeva da tempo, deve essere certamente un po' pure merito vostro."
Arlina rimase attonita a fissarlo, con occhi sgranati e collo teso. Si limitò a deglutire e ad abbozzare un lieve movimento del capo, lasciando che l'uomo ricambiasse all'accenno e richiudesse in fretta lo sportello, scappando infine verso la berlina ferma davanti.
Rimase paralizzata nella sua posizione ancora per qualche minuto, rallentando poco a poco la frequenza del respiro e fissando in assoluto silenzio il sedile di fronte. Poi, dopo una lunga apnea, riemerse dal sogno e gettò via tutta l'aria possibile, a pieni polmoni. Scivolò col busto lungo lo schianale, portando una mano sul petto e, per la prima volta, si sentì accarezzata da una sensazione di sollievo e comprensione.
Signor McGartie, le vostre parole, così semplici e delicate, hanno dato per un attimo ristoro al mio cuore. Non credo voi possiate comprendere a pieno quanto io sia grata di essere arrivata in casa vostra, nel vostro mondo, nella vostra quotidiana irresistibile monotonia di vita. Mi ritengo tale poiché siete il primo uomo che mi ha fatta sentire una sua pari, se non indispensabile. Forse, in fondo, avete di me un'opinione addirittura superiore a ciò che realmente sono, alle mie capacità, le mie virtù. Eppure voi, guardandomi con gli stessi occhi blu con cui mi avete guardata un istante fa, siete riusciti a farmelo credere davvero. È così, signor McGartie, voi riuscite a farmi accettare di fronte al tribunale di cui io stessa sono severa giudice. Mi fate sentire rara, quale grande potere avete avuto su di me. Ed io, d'altro canto, non posso fare a meno di assecondarlo, questo potere, ed accoglierlo. Così come adesso accolgo questa strana sensazione di timore che mi assale al pensiero della serata che sta per giungere. Se fossi coraggiosa e riuscissi a parlarvi francamente, vi confesserei che nutro una certa emozione per il Galà. Un'emozione che si accompagna a braccetto all'estrema paura di non essere abbastanza per un tale contesto. E c'è dell'altro. Credo che l'emozione percepita sia da ricercarsi anche nella vostra presenza, nell'idea di accompagnarmi a voi in una serata tanto prestigiosa. Forse è solo l'isteria del momento a generarmi tali pensieri, o perlomeno questo è ciò che mi auguro. Perché, signor McGartie, se dovessi pensare sul serio che sensazioni del genere abbiano origine da turbamenti di altra natura, allora sì che il terrore avrebbe la meglio sulla mia condizione. Ma di questo voi non ne verrete mai a conoscenza, e così deve rimanere. Un pensiero taciuto che dovrà morire prima ancora di poter essere detto a voce.
Possa anche la notte più buia non impedire al Sole di sorgere.
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