Ventuno

«Che cosa stai ascoltando?» qualcuno mi scuote piano, afferrandomi per una spalla. Reprimo un moto di stizza. Odio essere disturbata quando ascolto la musica. Ad essere sincera odio essere disturbata, punto.

«Pink» replico con voce atona.

«Anche a me piace... Vabbè, ci vediamo in classe, mi pare di capire che non ti va di chiacchierare.» Alice. La prima della classe che s'interessa della sottoscritta. Se non fossi sveglia grazie a tre tazze di caffè cento per cento arabica giurerei di aver avuto l'allucinazione più colossale della mia vita. Alice considera solamente pochi eletti, accuratamente selezionati. La vedo allontanarsi, con il suo incedere caracollante. Si atteggia a perenne ragazzina. La sua media è tra le migliori degli ultimi decenni, in questo istituto. Una secchiona come poche. La sua vita sociale somiglia a un eterno giro sulle Kingda ka, lanciati a duecentosei chilometri orari, sospesi a un'altezza di centotrentanove metri. Sempre in corsa, inarrestabile. Senza paura. Deve primeggiare in qualunque cosa, persino nell'andare a pisciare, lei dev'essere quella che ci mette meno tempo, senza sporcare. La migliore. Sempre. Eppure a un'attenta analisi, osservandola bene, senza lasciarsi stordire dalla scia di costoso profumo che lascia nei corridoi della scuola, né dalle cosce lasciate scoperte dalla gonna dell'uniforme, sempre più corta, si riesce a percepire qualcosa di diverso. Di nascosto. Una parte di Alice nascosta agli occhi del mondo. Qualcosa che lei si impegna con ogni mezzo affinché non emerga. Nessuno deve vederla. Nessuno deve capire. Nessuno deve sapere. Una lieve folata calda sposta piano una ciocca dei miei capelli. Non ho bisogno di voltarmi per sapere perché.

«E' quasi giunto il momento, Aria. Lei sa di te, e tu devi sapere di lei. Alice è la reincarnazione della donna che hai visto sul rogo. Si trova qui per vendicarsi. Coloro che l'hanno condannata a morte sono sfuggiti alle sue ire per secoli e ora sono qui, in questa scuola. Il loro percorso di crescita animica li ha condotti in questo luogo, ma essi non sanno che è giunto il momento di saldare il conto in sospeso.» mi volto verso l'angelo, che mi osserva attento, con il suo perenne sorriso dolce dipinto sulle labbra rosso fragola.

«Dì un po', ce l'hai un nome?» chiedo cogliendolo di sorpresa. Lui abbassa il capo scuotendolo e scoppia a ridere.

«Certo che ce l'ho. Mi chiamo Ismael e sono il tuo angelo guida. C'è altro che vuoi sapere oppure ti basta il mio nome?» piega la testa di lato e mi scruta con attenzione.

«Cosa c'entro con Alice? Nel sogno lei mi sorrideva, prima di morire sul rogo. Perché?»

«Non era un sogno, Aria. Era un viaggio. Quelli che tu chiami sogni sono in realtà dei veri e propri viaggi. Puoi visitare realtà parallele, annullando lo spazio tempo. Ciò a cui hai assistito è avvenuto nel milletrecentoquaranta. E tu eri lì. Sei vissuta in quel periodo. Ma per ora non posso dirti altro. Tutto ciò che devi sapere è che devi placare la furia omicida di Alice, prima che commetta azioni di cui potrebbe pentirsi per sempre. I suoi aguzzini dovranno pagare, ma sarai tu a stabilire il prezzo.» annuncia con aria solenne. Lo squadro come se fosse impazzito del tutto. Abbasso lo sguardo sulle mie Convers, ancora sporche di melma sulla suola. Io sono solo una sfigata, sopravvissuta per miracolo. Che accidenti c'entro con questa tizia arsa sul rogo secoli fa?

«C'entri eccome. Ma per ora lascia che sia l'istinto a guidarti. Non posso dirti nulla. Non ora.»

«Tu sai che fine hanno fatto i ragazzi che mi hanno aggredita? Perché continuo a trovare mucchi di cenere ovunque? E cosa significano tutti quegli oggetti in argento che stanno comparendo praticamente ovunque? E mi dici come mai ho l'impressione che mio padre sia in combutta con il tizio che passa dal treno a casa mia, travestito da tecnico per le caldaie? Sono stufa di tutti questi segreti!» mitraglio domande sorprendendo me stessa per prima. Ismael scuote la testa e allunga una mano verso di me. Sento le sue dita sfiorare il mio viso, mentre una sensazione di calma assoluta mi pervade, fino ad avvolgermi completamente, come se fossi stata chiusa in un bozzolo protettivo.

«Il momento è quasi giunto, Aria, a breve saprai, ma prima è necessario che alcune cose importanti accadano. Rimani in attesa. Abbi fede nelle tue capacità. Dovrai affrontare alcune prove, ma sono certo che uscirai vincitrice dalle sfide che ti attendono.»

La campanella mi scuote dal torpore. Sono seduta al mio posto. Come ci sia arrivata rimarrà un mistero irrisolto dell'universo. Sotto il mio polso destro un foglio, scritto con grafia perfetta, che viene sfilato in malo modo dalla prof, che sta raccogliendo i compiti in classe passando tra i banchi. Alice, seduta in prima fila, si volta e mi sorride, ammiccando. Non ricambio il sorriso. Proprio non me la sento. Sfioro la farfalla tatuata sulla clavicola con mano tremante. Per qualche arcano motivo mi sento vulnerabile, esposta.

Il fuoco.

Di nuovo questo maledetto fuoco.

Cumuli di cenere intorno a me.

Sono dieci.

Dieci.

Maledizione.

«Aria! Svegliati per la miseria! E' ora di cena! Possibile che tu non faccia che startene rinchiusa in quella stanza con le orecchie tappate dagli auricolari? Andiamo, tesoro! Ho preparato le tagliatelle alla boscaiola!» La matrigna ha fatto in modo di calmare mio padre, probabilmente tirando fuori chissà quali abilità amatorie. Troia. Con me non attacca. La odio. E mi fa schifo il pensiero che dorma al posto della mia mamma. Mi sollevo sui gomiti, stanca come se non riposassi da mesi.

Dieci cumuli di cenere fumante, disposti in cerchio, io nel mezzo. Intorno a me un sacco di gente con il capo coperto da un cappuccio azzurro. Indossavano una specie di tunica. Non potevo vedere i loro visi, non potevo guardarli negli occhi. Ero pietrificata, al centro di questo cerchio, con addosso uno strano abito azzurro, prezioso. Sul corpetto erano incastonate delle pietre. Un brivido percorre la mia spina dorsale, facendomi schizzare in piedi. Apro il cassetto del mio comodino con violenza, facendolo cadere sul pavimento. Il medaglione d'argento con le pietre azzurre giace al centro del cassetto, in mezzo alle mutande. Pietre identiche a quelle che rivestivano completamente il corpetto che indossavo nella visione. Richiudo il cassetto senza toccare il gioiello, incapace di smettere di tremare.

«Aria! Scendi, la pasta si sta raffreddando! E poi devi assolutamente sentire cosa stanno dicendo al telegiornale, sbrigati!» Nascondo il viso nei palmi delle mani, mentre la voce della matrigna mi perfora il cranio. Scendo le scale con l'andatura che doveva avere Anna Bolena il giorno della decapitazione.

«Sono spariti tutti, Aria! I dieci ragazzi che ti hanno aggredita! Scomparsi tutti quanti!» gracchia Amelia, posandomi un piatto davanti, mentre mi accascio sulla sedia. L'odore del cibo mi rivolta lo stomaco. La nausea acida mi sta abradendo l'esofago. Mi alzo di scatto e schizzo in bagno giusto in tempo, mentre il giornalista parla di collegamento tra le sparizioni.

Ci manca solo che mi accusino di omicidio.

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