Undici

«Aria! Svegliati! Aria!» sento la voce di mio padre, urla come al solito, ma stavolta mi sembra distante, come se non fosse nemmeno in questa casa.

«Se finge stavolta mi vedo costretta a obbligarti a valutare la mia idea di rinchiuderla in collegio, Marco, stavolta è davvero troppo!» Anche la voce della matrigna arriva ovattata.

«Aria!» stavolta la voce ha una nota diversa. Paura. Che diavolo sta succedendo? Cerco di aprire gli occhi... Non ci riesco, sono paralizzata. Non posso parlare, il mio corpo non risponde.

«Amelia, chiama un'ambulanza, subito! Non sta fingendo, ha perso conoscenza!» mio padre alza la voce, riesco a percepire il suo panico, lo sento fluire attraverso i suoi polpastrelli sudaticci e tremanti che mi stringono il polso, alla ricerca del battito. Dice che sono svenuta, ma io sento tutto. E' come se fossi prigioniera del mio corpo. Un corpo che sembra sempre più lontano, immobile, sconnesso dalla mia mente, che invece mi sta portando altrove. Sono catapultata in una specie di film, del quale sono protagonista. Sono seduta a bordo di un treno, guardo fuori dal finestrino ma vedo scorrere solo ombre scure, che sfilano velocissime. E se fossi morta? E se stessi viaggiando a tutta velocità attraverso il famoso tunnel al termine del quale dovrei vedere la luce della quale tutti parlano? Sto per passare oltre? Ma ho solamente sedici anni... Quando mi sono addormentata stavo bene, perché sono morta?

«Benvenuta, Aria.» una suadente voce femminile mi distoglie dai miei pensieri. Mi volto lentamente, quasi temendo di dover affrontare qualcosa di orribile, come la conferma del mio decesso. Mia madre è in piedi di fronte a me. Lunghi capelli rossi incorniciano il suo viso, dall'incarnato più luminoso che io abbia mai visto. Gli occhi verdi scintillano e le labbra rosee si schiudono, incurvandosi in un sorriso dolcissimo. Sono morta sul serio, allora... Se il fantasma di mia madre è su questo treno assieme a me non vedo altra spiegazione. Sono morta. E non so nemmeno perché.

«Non sei morta, Aria. E non lo sono nemmeno io. Nessuno muore mai davvero, passiamo semplicemente ad un'altra dimensione, vibrando ad una frequenza diversa, che solo poche persone riescono a percepire.» la sua mano si avvicina al mio viso. E' calda, morbida, mi sfiora con una dolcezza che nessuno mi aveva mai fatto provare. Nemmeno mio padre.

«Tuo padre ti adora, Aria. E' solo che teme di mostrarsi debole. Dagli tempo, cambierà.» replica mia madre, leggendo i miei pensieri.

«Che cosa ci faccio qui se non sono morta? Dove stiamo andando?» chiedo con voce flebile.

«Vedi, tesoro, l'aggressione di cui sei stata vittima ha fatto sì che alcune capacità del tuo cervello, fino ad allora presenti solo allo stato latente, si risvegliassero all'improvviso. Puoi vedere cose che prima non potevi vedere, sentire cose che non potevi udire, puoi fare cose che fino a quel momento consideravi impossibili.» sorride ammiccando.

«Non hai risposto alla mia domanda.» replico scuotendo la testa.

«Non posso risponderti, tesoro. Non ho idea di dove tu sia diretta. Chi sale su questo treno ha una meta ben precisa, ma solo la persona interessata la conosce. Solo tu sai per quale motivo hai iniziato questo percorso. Io sono qui perché ho percepito la tua presenza, il viaggio ti porterà in varie dimensioni, inclusa quella in cui io vivo. Spero che ovunque tu sia diretta ti attenda tanta gioia, ma soprattutto ti auguro di trovare ciò che stai cercando. Ti lascio questo, ovunque ti troverai ti basterà toccarlo e io sarò accanto a te, se dovessi aver bisogno di aiuto. O anche solo per parlare. Ti voglio così bene, piccola mia...» si avvicina, posa nella mia mano un oggetto simile al ciondolo che ho trovato a casa. Le pietre azzurre scintillano in modo quasi accecante, chiudo gli occhi. Ma madre mi stringe in un abbraccio, mi bacia una guancia e sparisce, lasciandomi nello sgomento più totale. Non so dove sto andando e perché. Non so nemmeno se tornerò. Riapro gli occhi e attorno a me non c'è più nulla. Non vedo niente. Ho freddo, solo tanto freddo.

«Da questa parte, fate presto!» la voce di mio padre sembra lontana chilometri.

«Da quanto tempo ha perso conoscenza?» chiede una donna. Sento che mi stanno scoprendo, mi sollevano la maglietta. Sembro un fantoccio, non posso muovermi, difendermi, parlare. La mia voce risuona solo nella mia mente, un disperato grido d'aiuto che nessuno può sentire.

«Non lo sappiamo. L'abbiamo trovata così stamattina, ieri sera stava bene.» risponde mio padre in modo concitato. Il buio si sta dissolvendo, riesco a vedere la scena come se fossi uno spettatore. Vedo una dottoressa che ausculta il mio cuore, mentre un paramedico mi misura i parametri vitali.

«Ha subito traumi cranici di recente?» chiede la dottoressa, rivolta a mio padre, mentre scambia una rapida occhiata con il paramedico, che abbassa lo sguardo. Conosco quell'espressione. Non presagisce nulla di buono, solo guai.

«Sì, circa sei mesi e mezzo fa. E' stata in coma per tre mesi a seguito di un'aggressione. Perché me lo chiede? Che sta succedendo a mia figlia?» mio padre è in preda al panico, mentre Amelia rimane impassibile in un angolo della stanza. Non può fregargliene di meno. Sento il suo odio. Spera che io muoia.

«Sua figlia è di nuovo in coma. Dobbiamo portarla in terapia intensiva.» Vengo sollevata con cautela e caricata sulla barella. Mio padre vacilla, è costretto ad appoggiarsi alla parete per non cadere, mentre un lampo di diabolica soddisfazione scintilla negli occhi di Amelia.

«Come può essere in coma?» chiede mio padre, disperato, barcollando dietro alla barella sulla quale sono stata bloccata con delle cinghie protettive.

«Sono necessari accertamenti per capirlo, ci raggiunga in ospedale.» Ma a quanto pare io non sono collaborativa quanto pensavano. Il mio corpo inizia a sobbalzare, scosso da una violentissima e inspiegabile crisi epilettica. Dalle mie labbra fuoriesce una schiuma biancastra. Non respiro.

«Non respira! Dobbiamo intubarla subito!» grida la dottoressa, mentre il paramedico le porge un kit per intubazione. L'ho visto fare un sacco di volte, nelle puntate di dottor House. Ora tocca a me. E fa davvero schifo. La dottoressa blocca il tubo con del cerotto e inizia a insufflare aria con un Ambu. Ma la voce della matrigna sovrasta il suono ritmico del palloncino che gonfiandosi e sgonfiandosi mi impedisce di morire.

«Marco!» strilla con voce terrorizzata.

«Che diavolo vuoi, Amelia?» ringhia mio padre fulminandola con lo sguardo.

«Guarda sul letto di Aria!» tutti si voltano a fissare il mio copriletto in patchwork. In mezzo al letto un piccolo mucchietto di cenere dal centro del quale si leva un sottile rivolo di fumo. La dottoressa scuote la testa, frastornata, e spinge la barella fuori dalla stanza, seguita dal paramedico, mentre mio padre rimane inchiodato al centro della stanza a fissare la cenere, con occhi sgranati, sotto lo sguardo allucinato di Amelia.

Non si accorgono che sto andando via.

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