Tredici
Fa freddo. Apro gli occhi e mi ritrovo sul treno. Possibile che un mezzo tanto lussuoso non abbia un maledetto riscaldamento? Mi guardo intorno, stringendo il torace con le braccia, massaggiandomi. Sento le dita intirizzite. Apro e chiudo le mani, nel tentativo di scaldarmi. Il treno è illuminato da una luce non troppo forte, sui toni dell'arancione. Le poltrone sono in tessuto bordeaux, con il poggiatesta in candido cotone bianco. Pareti e pavimento grigio scuro, mentre i grandi finestrini sono schermati da tendine avvolgibili color crema. Un insieme piuttosto ricercato, peccato che si siano dimenticati di riscaldare la carrozza. Un display attaccato al soffitto segnala la velocità a cui stiamo viaggiando. Mi prendesse un colpo: siamo a quasi ottocento chilometri orari. Sto correndo come un proiettile verso l'ignoto. Mamma dice che sono io ad aver stabilito di iniziare questo viaggio, in realtà non so nulla. Non ho la più pallida idea di dove sto andando tanto di corsa. E questo maledetto freddo sembra aumentare, dannazione. Un fruscio attira la mia attenzione. Proviene dal lato opposto del vagone, a una decina di metri da me. Mi volto, sperando di non trovarmi di fronte qualche mostro. Ho sempre sentito dire che la temperatura scende in presenza di creature demoniache.
«Sei davvero sicura di non sapere dove sei diretta, Aria?» Per la miseria. Ora capisco perché ho avuto un arresto cardiaco, devo aver già visto questo tizio e mi sono quasi incenerita il cuore. Sobbalzo. Un po' per la sorpresa, un po' perché mi chiedo come diavolo abbia fatto questo tizio ad entrare in un treno i cui vagoni sembrano sigillati.
«Non fare quella faccia! In questa dimensione possiamo apparire e sparire a nostro piacimento, l'energia cambia forma...» e scoppia a ridere, mostrando denti bianchissimi e fossette sulle guance. Oddio, per uno così potrei avere un tracollo sul serio. Lui per tutta risposta piega la testa di lato, alza il sopracciglio sinistro e sfoggia un sorrisetto compiaciuto.
«Chi sei tu?» chiedo con fare incerto, stringendo ancora di più le braccia attorno al corpo.
«Mi chiamo Alexandros, Aria. Per favore, molla la presa. Di questo passo rischi di spappolarti le costole.» e ricomincia a ridere. Fantastico, ci mancava solo l'adone greco che gioca a fare il maestro spirituale o roba del genere. Aggrotto le sopracciglia, offesa. La luce nel vagone si spegne all'istante.
«Tranquilla, imparerai a controllare i tuoi poteri. Ora che ne dici di riaccendere le luci? Potrei farlo io, ma è il caso che tu alleni i tuoi nuovi sensi e le nuove capacità, dammi retta. Ti piacerà, vedrai.» Strizzo gli occhi e la luce si riaccende. Fantastico.
«Tu sai dove stiamo andando? Io non mi ricordo un accidenti. Non è che per caso puoi farmi avere una coperta? Si gela, qui dentro.» replico ritrovando il dono dell'eloquio fluido e comprensibile.
«Puoi averla senza chiedere a me, Aria. A dire il vero potresti fare di meglio. Prova e vedrai.» lo fisso come se stesse sproloquiando, guadagnandomi l'ennesima risata divertita.
«Andiamo, prova. Non ti costa nulla.» mi incita, strizzandomi l'occhio. Non posso fare a meno di indugiare con lo sguardo, studiandolo attentamente. Avrà circa diciotto anni, sul metro e ottanta, capelli nero corvino, pelle olivastra e gli occhi più azzurri che abbia mai visto. La cosa del tutto singolare sono le sue labbra. Non rosee, ma violette. Quasi cianotiche. Eppure non sembra sentire freddo e non mi pare che abbia evidenti problemi respiratori. Cosa che invece potrei avere io, se non la smetterò all'istante di fissarlo. Chiudo gli occhi e immagino che il treno si scaldi. Subito. Non posso credere alla mia pelle che inizia a scongelarsi, come per magia, all'interno della carrozza inizia a espandersi un tepore favoloso.
«Visto? Non è stato poi così difficile.» commenta buttandosi di peso su una poltrona.
«Non hai risposto alla mia domanda. Dove stiamo andando? Fuori è tutto buio e stiamo correndo a una velocità inquietante chissà dove.» mi lamento, sedendomi di fronte a lui. Finalmente inizio a riacquistare la sensibilità di mani e piedi.
«Io non lo so, Aria. Lo sai solo tu. Devi guardare dentro di te con maggior attenzione. Vedi, il problema di quelli della tua dimensione è la superficialità. Una piaga dilagante, direi.» mi scocca un'occhiata eloquente.
«Non sono una persona superficiale! Insomma, vuoi capire che qui quella ammazzata di botte sono io? Ora non capisco quale delle due me sia reale, se quella stesa in quel letto d'ospedale, attaccata alle macchine o questa che gioca a fare la maghetta alle prime armi. Davvero, comincia ad incasinarmisi il cervello. Non so dove sto andando. Mi sforzo di capirlo o di ricordare qualcosa che secondo voi dovrei aver deciso, ma non ci riesco!»
«Rilassati, Aria. Goditi il viaggio. Scoprirai cose che nemmeno lontanamente immagini, ma sarà un processo graduale. Per ora sappi che solo tu sai qual è la tua meta. Quando sarà l'ora ricorderai qual è.» la sua voce è rassicurante e così dolce... Chiudo gli occhi.
Fa di nuovo freddo. Mi sembra di camminare lungo un tunnel di ghiaccio, in realtà il mio corpo è ancora immobile. Sono tornata all'ospedale. Sono sola, attaccata alle macchine, polsi legati, un tubo in gola. Solo una cosa è tornata a farmi visita: la cenere. In fondo alla stanza, sotto la finestra. Un altro mucchietto di cenere alla base del quale s'intravvede qualche brace incandescente. Che diavolo significa? Perché quella roba mi perseguita? La porta si apre. Alexandros si avvicina al mio letto. Indossa un jeans e una maglietta nera. Mi sfiora la mano.
«Stai tranquilla, Aria. Siamo in molti a vegliare su di te.» detto questo si volta e se ne va.
e va.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top