Quattro

«S'incazza.» dice mio padre, ignaro del fatto che io sia nascosta dietro la porta della cucina ad ascoltare.

«S'incazza per qualunque cosa. Non le puoi dire nulla che lei s'inalbera all'istante come se stessi minacciando di scuoiarla viva! Non è mai stata così! Era docile, remissiva, la polemica non era minimamente contemplata nel suo carattere, studiava tutto il giorno e passava il tempo libero a fare volontariato al canile. Ora è irriconoscibile! Parla come un alcolista infuriato con l'universo, si veste solo di nero, si è fatta tatuare una farfalla d'argento sulla clavicola e si è fatta delle ciocche rosa acceso. Una delle quali intrecciata con un nastro argentato. Non è Aria, non è mia figlia quella che è tornata a casa dall'ospedale, due mesi fa!» ringhia colui che mi ha fatto da padre e da madre negli ultimi sedici anni. Dopo la morte di mamma, avvenuta due giorni dopo la mia nascita, lui ha dovuto arrangiarsi e non ha mai voluto un'altra donna accanto. Fino ad ora. Ora sta parlando con Amalia, una bionda tutta tette e bon ton alla quale vengono le pustole quando mi sente alzare il volume dello stereo. Si fotta. Se voglio friggermi ciò che resta del cervello ascoltando Pink sono affari miei. Mi piace Pink. Mi rilassa. Ma devo ascoltarla con un volume tale da far tremare le fondamenta della casa. Se lei ha qualcosa da ridire se ne vada a farsi fottere, questa non è casa sua.

«Devi capirla, Marco. Erano in dieci e l'hanno mandata in coma. Dio solo sa cosa le passa ora per la testa, è il minimo che si senta arrabbiata con il mondo. Dieci ragazzi, ti rendi conto? Un'autentica spedizione punitiva nei confronti di una sedicenne che non uccideva nemmeno le zanzare perché era convinta che pure loro avessero un'anima!» replica Amalia, cercando di tenere bassa la voce melliflua, con scarsi risultati.

«Dai, Amy, lo vedi anche tu, è intrattabile. Ieri sera ha scritto fottetevi tutti sullo specchio del bagno, usando quel dannato rossetto nero. Non è la figlia che ho cresciuto da solo, affrontando difficoltà pazzesche. Se la vedesse sua madre...» si lamenta mio padre con tono lagnoso. Devo scrivere più in grande, la prossima volta.

«Sua madre è morta dopo averla data alla luce e da quanto mi racconti di lei era una persona poco incline a tollerare certi atteggiamenti. Rimane il fatto però, date le circostanze che hanno portato Aria a reagire così, che magari anche Amber avrebbe cercato di non attaccarla, bensì di comprenderla e sostenerla.» Questa gallina spelacchiata sta cercando di portarmi dalla sua parte, giocandosi la carta di mia madre. Si fotta. Si fottano tutti. Ora se becco una zanzara la polverizzo, e se non la pianta di fingersi quella che non è farò lo stesso con lei.

«Non possiamo esserne certi, Amy, e comunque Aria si sta comportando in modo inaccettabile. Ieri sono stato ai colloqui e per la prima volta in vita mia ho sentito i docenti parlare male di lei. Non lo accetto, aveva dieci dappertutto, dannazione, ora se prende sei è un miracolo! Devo fare qualcosa, Amy, prima che la situazione mi sfugga di mano. E qualcuno pagherà per ciò che è successo a mia figlia!»

«E che cosa conti di fare, posso saperlo?»

«Per prima cosa la iscrivo al Gold Moon Institute, al resto penserò con calma.»

«Ma Marco, quella scuola costa una follia, è praticamente impossibile per noi accollarci una spesa simile. E poi è lontana da qui! Aspetta un momento, vuoi trasferirti?» il tono allarmato di quella stronzetta mi provoca un brivido di piacere lungo la spina dorsale.

«Devo farlo, Amy. Devo portare via Aria da qui e darle una possibilità. Amber non mi perdonerebbe mai se non lo facessi, è morta per lei, capisci? Devo farlo.» mio padre parla con voce strozzata.

Silenzio.

«Allora verrò con voi. Non ti lascerò da solo a gestire questa cosa. Siamo una famiglia, Aria ha bisogno di una madre.» Se quella stupida troietta ossigenata con le tette di gomma pensa di sostituirsi a mia madre si sbaglia di grosso. Avrà quel che si merita.

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