Dieci
La strada sterrata che porta al lago a quest'ora è completamente deserta. Ho vagato per ore in cerca di una spiegazione, di un segno, di qualunque cosa mi aiutasse a capire. Il ghiaino scricchiola sotto le suole delle mie scarpe, risuonando nel silenzio assoluto. La mia casa s'intravvede in lontananza, so già che mi faranno un milione di domande. Manco da ore, ho spento il cellulare e ho marinato la scuola. Come minimo questa bravata mi frutterà una settimana di reclusione assoluta, ad esclusione della frequenza scolastica. Ovviamente verrò accompagnata e prelevata alla fine delle lezioni da uno dei miei carcerieri. Accendo il cellulare. Dodici chiamate perse e quattro messaggi, che non mi spreco nemmeno a leggere. Ad un tratto il telefono inizia a passare in rassegna le suonerie registrate. Suona, passando da una all'altra, senza che io riesca a fare nulla per fermarlo. Poi, come ha iniziato, si ferma, ma sul display iniziano a formarsi strane immagini. La foto di Boss, il mio gatto, scompare lasciando il posto a dei segni scintillanti, simili a lampi, che pian piano iniziano a formare la lettera A. Di nuovo questa lettera. Prima raffigurata sul ciondolo, ora sul display del mio cellulare che inizia a scottare, per poi spegnersi di colpo con un crepitio. Perfetto, sono senza telefono. Dovrò trovare il modo di spiegare come mai mi si è incendiato il telefono in tasca.
«ARIA! DOVE ACCIDENTI SEI STATA TUTTO IL GIORNO?!?» La voce di mio padre, dal tono inferocito, mi fa trasalire. Dannazione. Cammino lentamente verso casa, senza rispondere alla sua domanda. Gli passo accanto senza fiatare, entro e mi butto a peso morto sul divano: sono totalmente priva di energie. Mi sembra di aver spostato un treno a mai nude.
«Allora? Si può sapere dove diavolo sei stata?» tuona di nuovo mio padre, lanciandomi un'occhiata fiammeggiante. Mi volto verso il pianoforte che troneggia al centro della sala e faccio cadere sul pavimento uno dei tanti portafoto che vi sono allineati sopra. A quanto pare questa cosa della telecinesi funziona davvero. Mio padre si avvicina alla cornice, si china per afferrarla, estrae la foto ripulendola dalle schegge di vetro e si volta a guardarmi. Di nuovo la sensazione che sappia qualcosa che non vuole dire mi coglie alla sprovvista, talmente forte da provocarmi una morsa allo stomaco. Quello che sa non dev'essere per niente piacevole e temo mi riguardi molto da vicino. La matrigna esce dalla cucina asciugandosi le mani su uno strofinaccio e viene verso di me, con espressione furente.
«Ci hai fatti stare in ansia per ore, te ne rendi conto? Abbiamo persino chiamato al scuola e ci hanno detto che non ti sei nemmeno presentata. Che cosa ha fatto per tutto il giorno? Dove sei stata, si può sapere? Con quello che è successo ad Alberto come puoi fare una cosa del genere, eh? Ma che ti dice la testa?» Sbrocco. Schizzo in piedi e la guardo dritta negli occhi, sperando che il mio lampo di gioia nel notare che la sua ciocca grigia è ancora lì si noti a dovere.
«Stammi a sentire, Amelia, tu non sei nessuno per me, hai capito? Prova a parlarmi ancora in questo modo e giuro che la prossima volta non mi prenderò la briga di tornare. E la responsabilità sarà soltanto tua.» poi mi volto verso mio padre, mostrando tutta mia la rabbia repressa.
«Ti conviene fare in modo che non mi sia tra più i piedi. E' un consiglio.» Stringo i pugni nelle tasche dei jeans e le luci si spengono. Mio padre non fiata, abbassa lo sguardo e scuote la testa. Ho fatto centro. Sa qualcosa, qualcosa che devo assolutamente scoprire.
«Ma l'hai sentita, Marco? Non penserai che mi lasci trattare così da una ragazzina, vero?» strilla agitando in aria lo strofinaccio.
«Amy, per cortesia, lascia stare. Ne riparleremo.» replica lui, mentre il suo cellulare inizia a squillare. Si allontana, iniziando una conversazione piuttosto concitata. Riesco a sentire una voce femminile all'altro capo del telefono, una voce che mi sembra di conoscere. Le luci si riaccendono e sul divano appare un altro piccolo mucchietto di cenere. Amelia mi lancia un'occhiata carica d'odio.
«Di nuovo questa schifezza! Vuoi finirla con questa storia? Non ti basta quello che hai fatto oggi?» ringhia avvicinandosi per pulire, ma sotto la cenere appare un pezzo di brace incandescente. La matrigna caccia un urlo e si allontana, terrorizzata.
«Dubito di essere stata io, Amelia. Forse è il caso che tu te ne vada, come vedi persino le entità soprannaturali presenti in questa casa ti detestano. Vattene, finché hai ancora la testa attaccata al collo.»
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