Diciotto
«Ragazzi, schiodate i sederi dai banchi e piantateli sulle sedie, ma prima mettete i cellulari nella scatola sulla cattedra. Tirate fuori i quaderni di matematica, correggiamo gli esercizi assegnati per il fine settimana. Prima però vorrei che salutaste calorosamente la nostra cara Aria, che è finalmente guarita e può riprendere a frequentare le lezioni.» annuncia la prof Ruffetti, sistemandosi con gesto meccanico gli occhiali dalla pesante montatura rossa, in perenne discesa sul naso. Qualcuno dovrebbe informarla dell'esistenza dei naselli, o delle lenti a contatto. Quegli occhiali le ricadono sul labbro superiore almeno tremila volte in una lezione. Nessuno apre bocca, quando la Ruffetti spalanca la porta per farmi entrare, con un enorme e plateale gesto del braccio destro. La processione di compagni incazzati, che con passo lento e strisciante si avvicinano alla cattedra per depositare i cellulari nella scatola più odiata del globo rende l'umore ancora più funereo. Sono odiata quanto quella scatola, ne sono certa. Forse di più. Stringo i pugni, conficcando le unghie nella carne. Entro in quella stanza con lo sguardo inchiodato al pavimento scolorito dai milioni di passi che lo hanno calpestato in tanti anni. Raggiungo il mio banco e mi siedo senza rivolgere lo sguardo a nessuno. La tensione è palpabile, mentre ognuno prende posto in un silenzio carico di malcelato rancore.
«Siete pessimi. Questo atteggiamento vi costerà una bella verifica. Ad eccezione di Aria, ovviamente.» proclama la Ruffetti, mentre i miei compagni mi lanciano occhiate incendiarie. Qualcuno si passa un indice sulla gola, da lato a lato, fissandomi dritto negli occhi. Vorrebbero decapitarmi, darmi fuoco, ridurmi in polvere o chissà cos'altro. Solo perché esisto. Solo perché non ho il loro stessi interessi. Il fruscio dei fogli è l'unico suono a spezzare il silenzio surreale, mentre la prof distribuisce le schede delle verifiche, passando lentamente tra i banchi.
«Infilate astucci e libri negli zaini e metteteli in fondo alla classe. Se becco qualcuno a copiare si becca due fisso fino alla maturità. Sia ben chiaro sin da subito, perché non intendo ripetermi.» comunica scivolando con sguardo ammonitore su ognuno dei presenti. Questa verifica allungherà la lista delle cattiverie con cui i miei compagni hanno in mente di punirmi. La Ruffetti non se ne rende conto, ma ha appena scatenato la prossima aggressione contro di me. Potrei fingere di sentirmi male e darmi alla macchia, ma non intendo farlo. Non è giusto. Non ho fatto nulla per meritare il loro odio. La prof mi si avvicina, sento la sua mano tiepida indugiare sui miei capelli. Una carezza, la prima che ricevo da un estraneo. Alzo il viso, incrociando i suoi occhi. Non riesco a reggere lo sguardo, e come se dietro l'anonima prof di matematica, infagottata in un completo grigio che deve aver visto giorni migliori si nascondesse una persona molto diversa da quella che viene mostrata. Le sue labbra s'incurvano nell'abbozzo di un sorriso, un gesto che gli altri non possono vedere, essendo voltata di spalle, rispetto a loro. Se l'avessero vista sarebbe stata la mia fine. Mi chino verso lo zaino per estrarre i miei libri. Il rumore secco della zip fa sì che tutte le teste si voltino nella mia direzione. Occhi infuriati mi fissino scagliandomi addosso chissà quali maledizioni. Non me ne curo. Prendo il libro di matematica e faccio scorrere la zip dell'astuccio per prendere una matita, decisa a fregarmene delle loro minacce. La prof mi rivolge uno sguardo di approvazione. Un lampo fulmineo, che solo io riesco a cogliere. Curvo la schiena sul libro e inizio a completare qualche esercizio. Adoro la matematica. Sono rimasta affascinata da un testo di numerologia, scovato in biblioteca, anni fa. Dopo averlo letto mi sono convinta che dietro i numeri si nascondano poteri occulti e immensi misteri. Non a caso la farfalla che mi sono fatta tatuare reca un 5 stilizzato sulla testa. Il suono della campanella arriva due ore dopo. Le sedie si spostano rumorosamente, ognuno corre a riprendere il proprio zaino. Ricevo parecchi spintoni prima che ventun persone cariche di rabbia pronta a esplodere si risiedano al loro posto. Qualcuno mi infila un bigliettino nell'astuccio. Lo apro srotolandolo sotto il banco, certa di sapere cosa c'è scritto.
"Chiudi gli occhi e guarda. Puoi vedere i loro pensieri come se fossero le scene di un film. Ascolta. Senza timore. Non hai motivo di temere. Saprai difenderti."
Non ho idea di chi me l'abbia recapitato, sono scossa da un lungo brivido, mentre chiudo gli occhi e inizio davvero a vedere i loro pensieri. Rivolgo lo sguardo verso Kristian, uno dei migliori amici del primo ragazzo scomparso e ciò che vedo mi lascia di sasso. Il suo non è un banale odio adolescenziale, si tratta di qualcosa di più profondo, malvagio, insaziabile. Le scene sfilano veloci, troppo, ma riesco a percepire il male, capisco che ciò a cui assisto si svolge in un'altra epoca, vedo il buio più cupo in cui è sprofondata la sua anima. Un'anima che nutre un'insaziabile sete di vendetta nei miei confronti. Incrocio il suo sguardo, mentre un sorrisetto beffardo si dipinge sul suo volto. Mi scruta quasi a volermi perforare con lo sguardo, potesse uccidermi all'istante lo farebbe. Si limita invece a scuotere la testa, alzando un sopracciglio e allungando spavaldamente le gambe sotto il banco, fino a toccare una gamba della sedia del compagno seduto nella fila davanti a lui. Piega la testa di lato e inspira profondamente, infilandosi le mani nei jeans, si umetta le labbra con studiata lentezza e finge di non sentire, quando le prof di storia lo richiama per la terza volta.
«Polton, hai intenzione di seguire o vuoi farti una passeggiata in presidenza?» lo incalza la prof, trafiggendolo con un'occhiata e annientando i nostri timpani con la sua voce stridula. Lui si volta verso di lei, lentamente, con il suo solito sorrisetto idiota stampato sulla faccia. Percepisco la rabbia graffiare le pareti del suo stomaco, il suo sangue sfrigolare contro le arterie, corrosivo, malvagio. Lo guardo fare spallucce, mentre sfoglia distrattamente il testo di antologia, cercando di non far notare la tensione che lo pervade. Sospiro, rivolgendo lo sguardo alla prof che, ignara della sanguinosa guerra in atto, inizia il suo cantilenante monologo letterario. Riafferro il biglietto e lo srotolo nuovamente. Il testo è cambiato.
"E' solo l'inizio, dovrai essere forte."
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