Diciannove

Arrivare a casa intera, dopo otto interminabili ore di lezione, mi ha costretta a dare prova di energie che non credevo di possedere. Al suono dell'ultima campanella sono scappata fuori staccando i miei compagni di un isolato. In un minuto. Mi chiedo come sia possibile. Li udivo gridare in distanza, sentivo le loro scarpe battere ritmicamente sull'asfalto, il loro respiro si faceva sempre più affannoso, nel vano tentativo di raggiungermi. Correvano, ma non erano in grado di prendermi. Ad un certo punto ho sentito passi e voci sfumare in lontananza, fino a smorzarsi del tutto. Ero salva. Inspiegabilmente.

«Che diavolo ti è successo? Perché stavi correndo in quel modo? Non dirmi che hanno tentato di aggredirti di nuovo!» mio padre, fermo all'ingresso di casa a gambe divaricate e braccia incrociate sul petto mi sbarra il passaggio. Alzo il viso e incontro il suo sguardo preoccupato, ma il tentativo di interrogarmi e conoscere il motivo del mio fiatone passa in secondo piano: la matrigna lo richiama in casa, pare ci sia un altro ragazzo scomparso. Il terzo. Avvampo. Inizio a temere che tutti e dieci i miei aggressori andranno incontro allo stesso destino. Quale sia non è dato saperlo, ma dubito che qualcuno li abbia prelevati senza lasciare traccia per portarli in un luogo del quale potranno conservare ricordi piacevoli. Ammesso che ci siano, dei ricordi. Una goccia di sudore gelido imperla la mia fronte e scende lungo la tempia destra fino al collo, facendomi rabbrividire. Entro in casa con passo stanco, depositando lo zaino di lato alla porta. La matrigna è seduta sul divano e gesticola animatamente, indicando il televisore e blaterando ipotesi farneticanti sul perché di queste sparizioni. Mentre mio padre cerca di arrestare il numero di teorie insensate della sua fidanzata con un gesto stizzito della mano e una serie di occhiatacce, le porte della casa iniziano a sbattere con violenza, una dopo l'altra. Sobbalziamo, guardandoci intorno con espressione smarrita, soprattutto data la totale assenza di correnti d'aria. Mi avvicino lentamente alla televisione, che si spegne sfrigolando. Del fumo denso e nero fuoriesce dalla parte posteriore, accompagnato da numerosi crepitii.

«Non è possibile che si sia guastato in questo modo, non è in corso un temporale, nessun fulmine, nessun cortocircuito! Perché diavolo ci si è bruciato il televisore? Io non ci capisco più un accidenti in questa casa, forse sarebbe il caso di chiamare un esorcista o roba del genere, prima di finire fritti allo stesso modo!» la matrigna cammina avanti e indietro trascinando le ciabatte di spugna e torcendosi le mani. Il rossetto rosso acceso viene raschiato via dai suoi incisivi, che mordono senza sosta le labbra. Con il volto paonazzo e lo sguardo spiritato si avvicina a mio padre, in cerca di un abbraccio, al posto del quale giunge un'occhiata torva. La vedo arretrare come se si fosse ustionata. Mordo le labbra a mia volta, ma per reprimere una risata.

«Ne so quanto te, Amelia, sono un impresario di pompe funebri, non un elettricista! Aria, chiama qualcuno, sarà il caso che controllino questo dannato impianto prima che ci arrostisca come ha fatto con quell'affare.» mio padre allontana Amelia con una gomitata, allontanandosi senza degnarla di uno sguardo.

«Cerco il numero di qualcuno che faccia servizio in caso di emergenze.» replico iniziando a cercare sul cellulare il numero di un tecnico. Il primo numero presente su internet assicura servizio ventiquattro ore, sette giorni su sette. Chiamo e spiego brevemente la situazione. L'operatrice mi assegna un codice di priorità elevata, garantendo un intervento tecnico entro trenta minuti. Ne sono passati dieci, quando qualcuno inizia a bussare insistentemente alla porta d'ingresso. Vado ad aprire esitante, quasi presagendo qualcosa di strano. Mi trovo di fronte Alexandros. Indossa un'uniforme da elettricista, regge una valigetta piena di attrezzi e mi fissa con un sorrisetto divertito.

«Buonasera, ero in zona quando ho ricevuto la richiesta d'intervento. Volete spiegarmi di cosa si tratta?» chiede fingendo di non conoscermi. Sto al gioco, arrossendo violentemente nel momento in cui, entrando, la sua mano sfiora involontariamente il mio braccio.

«Prego, si accomodi, le faccio strada e le mostro il problema.» chiudo la porta, percependo lo sguardo insistente di mio padre fisso sulla mia nuca. Mi volto di scatto, fulminandolo.

«Ecco qui, vede? S'è bruciato senza motivo!» gracchia Amelia, indicando il televisore con mano tremolante. Non mi sfugge il suo sguardo allupato, a quanto pare mio padre non è abbastanza, vorrebbe di più. Un'orribile sensazione urticante risale dallo stomaco fino alle narici, togliendomi quasi il respiro. Non posso crederci, sono gelosa! Di un tizio che nemmeno conosco! Alexandros si volta nella mia direzione e ammicca impercettibilmente. Perfetto. Lui lo sa. Che schifo. Sono l'ennesimo esempio del cliché più scontato che esista: la sedicenne alla prima cotta in piena crisi di possessività ossessiva. Sono patologica. Rimango in disparte e lo osservo armeggiare con il televisore. Rivolge alcune domande a mio padre che risponde con tono stranamente amichevole. Come se si conoscessero. Li osservo con più attenzione e non posso fare a meno di notare un sorriso, rivolto da mio padre ad Alexandros, che abbassa gli occhi compiaciuto. Amelia segue la scena in silenzio, fino a quando non le squilla il cellulare ed è costretta ad allontanarsi per rispondere. Sto per voltarmi e dirigermi in cucina per prendere qualcosa da bere, quando noto l'ennesimo mucchietto di cenere fumante, sistemato in modo da essere facilmente trovato. Mi avvicino e sfioro la polvere grigia, afferrandone un pizzico con i polpastrelli. La annuso. Non ha alcun odore. E' solo calda. Inizio a chiedermi se questa cenere non rappresenti una forma di minaccia. Sfrego le mani pulendomi dalla polvere, ma la sensazione di calore permane, anzi risale lungo il braccio sinistro, fino alla spalla, per poi raggiungere il viso. Alexandros mi fissa preoccupato, mentre mio padre assiste alla scena impassibile. Di qualunque cosa si tratti loro ne sono a conoscenza.

«Cos'è questa roba? Perché continua a comparire dal nulla?» chiedo rivolta a entrambi, mentre il calore lascia il posto a un leggero tremito della mano.

«Per ora non è il caso che tu sia messa a conoscenza di certe cose, Aria. Fidati di me. Quando sarà giunto il momento saprai.» Alexandros lancia un'occhiata a mio padre, che annuisce in silenzio, mentre la televisione, di punto in bianco, riprende a funzionare.

«Ma lei è un mago!» miagola Amelia, di ritorno dalla telefonata. Lo stomaco mi si contorce di nuovo, mentre qualcosa di molto simile a una scarica elettrica attraversa completamente il mio corpo.

«Era solamente una scheda malfunzionante. Ora è tutto a posto. La segretaria vi farà avere il conto. Vi auguro una buona giornata.» Alexandros si congeda stringendo la mano a mio padre e alla matrigna, a me viene destinato un sorriso divertito e una carezza leggera sulla spalla. Rabbrividisco.

«Nulla è come sembra. Ma non è ancora il momento per te di sapere.» sussurra prima di voltarsi e sparire dalla mia visuale.

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