Cinque
Non riuscire più a dormire è sfiancante. Da quando sono tornata dall'ospedale la notte è diventato il momento in cui mi ritrovo a combattere con i miei demoni. Orrendi e spietati. Le scene dell'aggressione si ripresentano appena spengo la luce. Vedo quei dieci bastardi uno per uno. Li riconosco perfettamente. Vedo le loro facce sudaticce, le loro espressioni cariche d'odio, sento le loro risate sadiche, ascolto impotente le loro voci mentre mi coprono di insulti e mi dicono che una come me non ha un solo motivo per essere al mondo. Sento il loro calci contro le costole, le loro mani che mi afferrano per ributtarmi al suolo, mentre io cerco disperatamente di rialzarmi e fuggire. Sento le mie lacrime scorrere sul viso, bagnarmi le labbra e il mento. La mia voce grida di smetterla, che non ho fatto niente, chiedo perché diavolo se la stiano prendendo con me. Ma loro insistono, mi sollevano, mi riempiono di botte a turno e mi ributtano per terra, mentre il ghiaino mi perfora la pelle ovunque. Qualcuno mi tocca un seno e commenta con aria disgustata sul fatto che sia troppo piccolo. Dicono che faccio talmente schifo da non meritare nemmeno lo stupro. E continuano a colpirmi, ancora, e ancora...
«Aria, tesoro, svegliati. I traslocatori saranno qui a momenti, dobbiamo prepararci e fare colazione, o ci troveranno ancora in pigiama quando arriveranno.» la voce melensa di Amelia è la peggior sveglia del mondo, soprattutto se hai dormito forse un'ora.
«E tu lo chiami pigiama, quello? Hai del coraggio, lasciatelo dire.» lancio un'occhiata schifata al suo négligé color cipria, tutto pizzo e trasparenze. Vorrei vomitarle addosso. Mi copro la testa con il cuscino.
«Me lo ha regalato tuo padre, quindi se va bene a lui va bene anche a me, non ti permetto di fare osservazioni sul mio abbigliamento!» replica piccata. Com'era la filastrocca? Vediamo se mi ricordo "Justin, tesoro, occorre essere comprensivi con lei, poverina, dopo tutto ciò che ha passato!" Questa gallina palesemente bugiarda soffre di problemi di memoria a breve termine e di totale assenza di buongusto. Qualcuno dovrebbe farglielo notare più spesso, magari ne prende atto.
«ARIA!» tuona mio padre. Ecco la cavalleria. La difende a spada tratta in continuazione, non mi stupirebbe se si comprasse un ronzino su internet e un'armatura da un rigattiere, per impersonare meglio la parte. «PORTA RISPETTO AD AMELIA, CHIARO? Sono davvero stufo del tuo atteggiamento inaccettabile! Al prossimo richiamo ti sequestrerò il cellulare, mi sono spiegato?» Non posso resistere.
Cerco di trattenermi, mordendo le labbra con forza, ma la risata parte, senza che io possa fermarla. Non solo. Mi sollevo, ridendo a crepapelle, li fisso dritti negli occhi sbarrati, con i quali mi scrutano, inorriditi più che mai, e consegno a mio padre il mio cellulare.
«Tienitelo pure, non so che accidenti farmene, non ho una vita al di fuori di qui, chi vuoi che mi cerchi? Usalo tu, se ti va, non è per niente male, sai? La batteria ti dura un sacco se non esageri con i video di Amelia che si spoglia.» Lo schiaffo si sente in tutta la casa, spero di avere ancora la guancia attaccata alla faccia. Non dico una parola. Li guardo entrambi e mi alzo, diretta al bagno.
A metà strada mi fermo, mi volto e lancio un'occhiata carica d'odio a tutti e due, soprattutto alla giallona, che cerca invano di nascondere la soddisfazione che prova nel vedermi schiaffeggiata per difendere lei.
«O se ne va lei, oppure lo farò io. Stamattina andrò ai servizi sociali e la mia faccia parlerà per me. Falla vestire, stanno per arrivare i traslocatori.» chiudo la porta del bagno alle mie spalle e mi ci appoggio contro, scivolando a terra. Le lacrime cocenti bruciano la faccia, mentre la guancia colpita pulsa. Dio quanto odio quella maledetta stronza. La odio quanto i bastardi che mi hanno distrutto la vita.
«Mamma... Perché te ne sei andata?» sussurro, mentre il rombo del motore di un camion si arresta davanti al cancello di casa. Sono arrivati quelli che sposteranno la mia vita devastata da qui a mille chilometri di distanza.
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