XXVI. Manik
Il South Street Park Cemetery aveva tutto un altro aspetto di notte: le pietre bianche e grigie che segnavano le posizioni delle tombe svettavano sul terreno scuro, simili a denti di qualche mostro addormentato appena sotto la superficie del cimitero. Smokey smosse le ali per evitare che l'umidità della notte le rendesse pesanti e lente e Ventadour, acquattato come lei nell'erba, sbuffò.
«Siete certa che lo troveremo qui? Non vorrei buscarmi un raffreddore per nulla!» si lagnò.
«Verrà» replicò lei, sicura. «Gli informatori del maggiore hanno impiegato due giorni per scovarlo, ma sono sicura che non si sbaglino!»
«Cosa vi dà tanta sicurezza?»
«Lina si circonda sempre dei migliori»
«Lina, eh?»
Lo udì muoversi, a pochi passi da lei, e anche nell'oscurità fitta di quella notte senza luna intuì che gli occhi del francese si erano fissati su di lei, meditabondi, alla ricerca di un varco per superare le sue difese.
«E così le major Terence si circonda solo dei più abili... Deduco che annoveri anche voi tra di essi.»
«Un tempo, forse. Oggi non più.»
«Era la vostra amante?»
«Non credo siano affari vostri. Ventadour, non ho mai ripetuto tante volte questa frase come negli ultimi quattro giorni! Volete spiegarmi perché vi interessa tanto ficcare il naso nella mia vita?»
«Non ho nulla di meglio da fare. Quando mi sono offerto di aiutarvi non immaginavo certo di essere trascinato in mezzo al fango, circondato da morti per di più! Cosa ci resta per salvarci dalla noia, se non un po' di educata conversazione?»
«Educata non è il termine più adatto per descriverla» borbottò Smokey tra i denti, lanciandogli un'occhiata infastidita oltre la spalla. «E poi voi non mi avete mai detto nulla sul vostro passato, quindi è una conversazione un po' a senso unico»
«Quindi ammettete di essere interessata al sottoscritto, almeno un poco?»
«Forse» lo accontentò lei, lasciandosi sfuggire un sorriso. Ventadour sapeva essere fastidioso, sì, ma iniziava a piacerle – e non aiutava il fatto che continuasse a invitarla nel suo letto, in maniera discreta ma costante. Smokey era tentata di accettare, anche solo per vedere quante delle promesse che scorgeva nelle iridi nere era in grado di mantenere.
"Questo non va bene" si ammonì. "È un francese, non dimenticarlo. Quando sarà tutto finito, prenderemo strade diverse e torneremo a essere nemici!"
Un movimento in fondo al cimitero attirò la loro attenzione. Muovendosi in silenzio e procedendo chini sul terreno Smokey e Ventadour si avvicinarono quatti alle due figure smilze e munite di pale e asce che si aggiravano circospetti tra le tombe. I due tombaroli si stavano guardando intorno, probabilmente alla ricerca di qualche sepoltura fresca da saccheggiare. Le protesi degli inglesi erano merce preziosa al mercato nero di Calcutta ed era più facile scavare il terreno già smosso; separare l'acciaio dai nervi e dalla carne dei cadaveri invece richiedeva tempo, motivo per cui i tombaroli in genere portavano via tutto il corpo per smembrarlo in seguito.
Dopo essersi scambiata col francese un gesto d'intesa, Smokey si gettò sul più basso dei due, inchiodandolo sul terreno mentre il suo compare, abbandonati i ferri del mestiere, si dava alla fuga. Smokey grugnì quando un pugno la raggiunse sulla mascella, ma non mollò la presa finché Ventadour non afferrò il ragazzo per le spalle, lo tirò in piedi e chiuse le ali, serrandolo in una gabbia di carne e acciaio da cui non poteva fuggire.
Era un giovane di circa venticinque anni, dal fisico gracile che nascondeva una forza insospettabile e dalla carnagione scura che lo aiutava a confondersi nel buio. Aveva un viso allungato e scavato dalla fame, su cui spiccavano gli occhi neri, mobili e colmi d'astio, e i denti gialli scoperti in un ringhio; i capelli, neri anch'essi, erano talmente lunghi da arrivare a sfiorargli la cintola. Indossava solo un paio di braghe larghe, di panno scuro, e una fascia attorno al torace in cui era nascosto un pugnale, che Ventadour gli sottrasse senza sforzo.
«Accidenti, che destro!» esclamò la donna, rialzandosi e spolverandosi di dosso la polvere del terreno.
Le pupille del tombarolo si dilatarono, coprendosi di una membrana semitrasparente, e le branchie sul collo si aprirono per la sorpresa:
«Voi!» sibilò, raddoppiando gli sforzi per liberarsi, artigliando il vuoto con le dita unite da membrane d'acciaio.
«Già, io» replicò Smokey, ironica. «Mi stupisce che tu ti ricordi ancora di me, dopo tutti questi anni: se gli uomini che ti ho messo alle calcagna non ti avessero descritto con dovizia di dettagli io non ti avrei mai riconosciuto... Ma del resto all'epoca eri solo un bambino.»
«Difficile dimenticare il volto di chi ha ucciso mio padre!»
Ventadour strinse la presa e il ragazzo ansimò:
«Porta rispetto alla signora!» intimò il francese.
«Oh, lui ha tutto il diritto di essere infuriato» mormorò lei, tranquilla. Solo uno sguardo attento avrebbe colto il dolore oltre il sorriso beffardo e la posa rilassata. «Credimi, Manik, al tuo posto mi sentirei tradita anch'io. Ma non sono stata io ad uccidere tuo padre: fu massacrato, insieme ai miei commilitoni, dai thogi che non ebbero pietà per colui che un tempo era stato loro fratello. Se cerchi un colpevole, ebbene, quello è James Harvey»
«Anche se fosse vero, Harvey è morto! Giace a pochi passi da qui... Tu invece sei viva! Ma ancora per poco, finché non riuscirò a metterti le mani...»
Le lunghe piume delle ali di Ventadour, seppure non fossero affilate come quelle di Smokey, premettero contro la pelle dell'indiano fino a far uscire stille di sangue.
«Ventadour, basta! Non ci sarà di nessuna utilità se lo uccidi!» sbottò lei, avvicinando il viso a quello del giovane. «Ora ascoltami bene, ragazzo. Ho visto la tomba di Harvey, sì, e dicono che sia davvero là sotto, anche se di questo sono meno convinta... Comunque sia, il suo culto malato non è morto con lui: Kalì continua a divorare bambini»
«Ho sentito le voci» ammise Manik con una smorfia. «Ho visto i fuochi ardere al largo di Calcutta. Cosa c'entra questo con me?»
«Che domanda sciocca! Tuo padre si vergognerebbe di te!»
«Tu non sai nulla di lui!»
«So abbastanza, invece!» rispose Smokey con severità, imponendo al francese di lasciarlo andare. Manik si sgranchì le membra intorpidite, ma non accennò né a fuggire né ad attaccarli: qualcosa, nel tono grave della donna, pareva averlo ammaliato.
«Parlava continuamente di te. Era per te e per tua madre che aveva abbandonato il rumal e detto addio alla confraternita: voleva donarti un mondo migliore, in cui i bambini non venivano sacrificati a una divinità. Per questo venne da noi, per questo ci mostrò la strada per arrivare a Kaluaduipa! Era un brav'uomo e ti amava profondamente... E tu invece di raccogliere la sua eredità cosa fai?»
Smokey allargò le braccia, scuotendo la testa:
«Depredi le tombe! Volti le spalle a ciò che tuo padre ha tentato di combattere! Dimmi, Manik, sei davvero così ansioso di penzolare da una forca? Se è così, ti offro un modo migliore per morire: noi andremo a Kaluaduipa»
«Siete pazzi!» esclamò il ragazzo, fissandoli terreo in viso. «Nessuno può arrivare sull'isola senza conoscere la via!»
«Che peccato che non ci sia nessuno disposto a mostrarcela!» commentò Ventadour con ironia.
«La partenza è prevista fra due notti. Se vuoi essere dei nostri e magari recuperare anche i resti di tuo padre, sai dove trovarci» tagliò corto Smokey, aprendo le ali e spiccando il volo in direzione della caserma.
Dopo qualche istante, Ventadour le si affiancò con rapidi battiti d'ali.
«Avete parlato bene. Non mi sorprenderò se domani quel giovane si presenterà alla caserma della Brigata Alata chiedendo di voi... Piuttosto, come fate a sapere che potrà esserci d'aiuto?»
«I thogi sono un culto che si tramanda di padre in figlio sin dalla più tenera età. Forse Manik non sa tutto, dato che era molto piccolo quando il padre abbandonò Kaluaduipa insieme alla sua famiglia, ma scommetto che ha già tentato di tornare là facendo affidamento sulle storie di famiglia. Lo capisco: quell'isola esercita su entrambi un fascino malato.»
«Il fascino della vendetta raramente porta a qualcosa di buono» borbottò il francese. «Non crederete davvero di poter trovare Harvey, laggiù? Tutti sono concordi nell'affermare che è morto e sepolto!»
Smokey atterrò con grazia nel cortile della caserma, allarmando un poco le sentinelle sonnacchiose che montavano la guardia sul tetto dell'edificio. In lei ribolliva una rabbia irrazionale, una furia cieca che emergeva ogni volta che qualcuno nominava James Harvey:
«Solo perché molta gente dice una cosa non vuol dire che sia la verità»
Ventadour scosse piano la testa:
«La vostra è un'ossessione» mormorò con evidente rammarico e Smokey colse nel suo sguardo un barlume di compassione che la fece infuriare ancora di più.
«Ossessione, vendetta... Che importanza ha, se serve a fermare quei bastardi e salvare altri fanciulli?»
Si diresse in fretta verso la sua stanza, ma la voce dell'uomo la inseguì su per le scale:
«Ha importanza, invece, se il prezzo è la rovina della vostra esistenza!»
L'Argon era avvolta da un manto d'oscurità e silenzio: nulla infrangeva l'immobilità della notte, se non lo sciabordare lontano dell'Egeo. Mess si stringeva le mani ferite al petto con lo sguardo fisso sulla direzione in cui aveva visto scomparire le navi della Nuova Armada. Avevano impiegato tutto il pomeriggio per sgombrare il ponte dai frammenti dell'albero di trinchetto e non avevano ancora finito. Nessuno di loro si era risparmiato per non far perdere la rotta all'Argon, ma senza la velatura aggiuntiva era stato impossibile mantenere la stessa velocità di prima e quindi l'aeronave procedeva con i motori al minimo, al fine di non sprecare carburante.
"In realtà stiamo andando alla deriva" si disse la ragazza e non poté impedire a nuove lacrime di sgorgarle dagli occhi e rigarle le guance sporche di sudore, sangue e polvere. Aveva le unghie spezzate per la fiera resistenza che aveva opposto quando avevano tentato di farla ragionare, impedendole di buttarsi da sola all'inseguimento degli spagnoli, e le braccia erano stanche dopo aver passato così tante ore a trasportare legname e corde. A intervalli regolari la figura di Blackraven o gli occhi duri di Sin si affacciavano nella sua mente e alla ragazza pareva che qualcuno le rivoltasse un coltello nelle viscere: già li vedeva scalciare e tremare nei loro ultimi istanti, con le iridi rivoltate e la bocca spalancata nel ghigno disperato degli impiccati.
Mastro Bell atterrò all'improvviso accanto a lei, ripiegando le ali con uno scatto secco e facendola sobbalzare:
«Allora?» sbraitò e le trecce bianche ondeggiarono mentre si chinava su di lei.
Mess inalò la puzza di whiskey del suo fiato e lo osservò con occhi spenti:
«Allora cosa?»
«Dove devo portare questa stramaledetta nave, ragazza?»
Quella domanda inattesa fu l'unica cosa in grado di strapparla all'intorpidimento dei sensi che l'aveva prostrata per tutto il pomeriggio. Indagò nelle iridi azzurre del marinaio alla ricerca di uno scherzo, ma mastro Bell pareva infuriato come al solito; una nuova ruga in mezzo alla fronte era il solo segno della sua preoccupazione.
«Perché... Perché lo state chiedendo a me?»
Il timoniere parve sinceramente sorpreso dalla sua confusione:
«E a chi altri dovrei chiederlo?»
«Non lo so!» sbottò Mess, irritata. «Di certo non all'ultima arrivata sull'Argon!»
"Ma cosa vuole da me? Non vede che sono esausta, disperata, sconfitta?"
Quasi leggendole nel pensiero, mastro Bell sghignazzò senza allegria:
«Oh, signorina bella, vedi di svegliarti in fretta! Abbiamo bisogno di una testa in grado di ragionare e darci delle indicazioni, noi. O forse preferisci rimanere qui tutta la notte a piangere per il capitano e quella mezzasega?»
Messalina si alzò in piedi con i pugni serrati e il viso rosso di rabbia e si lanciò sul timoniere senza pensare, strillando stizzita; mastro Bell, però, scartò di lato con insospettabile agilità e la mandò a ruzzolare sul pavimento.
«Non ti permetterò di parlarmi così» ansimò la ragazza, voltandosi sulla schiena e tirandosi a sedere. «Tu non sai nulla... Cosa mi può importare di dove va a schiantarsi l'Argon, eh? Avevo già un compito, tenere Sin al sicuro – e guarda come è finita! Io non so cosa si deve fare in questi casi, va bene? Io non so niente! Perché non decidi tu dove andare? Oppure, se proprio vuoi ricevere ordini, vatti a cercare un altro padrone!»
Per un po' tra loro ci fu solo il silenzio e, in mezzo al cielo buio, Mess si sentì sola come non lo era mai stata, nonostante l'equipaggio stesse lavorando a pochi passi da lei alla luce fioca di qualche lampada a olio.
«Prima di Blackraven, questa nave apparteneva a un irlandese di nome Cormac O'quinn» disse l'uomo dopo qualche istante. «Quando dovette venderla, in punto di morte, mi offrì il comando... Era la cosa più naturale, più logica da fare, ero il più anziano dopo di lui... Ma io rifiutai, preferendo mettermi al servizio di Blackraven, un ragazzino che ancora non aveva compiuto ventitré anni. Sai perché?»
«Perché eri ubriaco?»
Mastro Bell sorrise. Non era uno dei suoi soliti ghigni truci, volti a intimorire chi aveva di fronte; era un sorriso vero che gli illuminò il volto abbronzato, reso ancora più spigoloso dalle ombre che la luna e le stelle disegnavano sui suoi lineamenti.
«Perché l'esperienza serve a poco, da sola. Chiunque, dopo qualche anno passato per mare, può comprare una nave e farsi chiamare capitano; ma per essere un buon comandante ci vogliono anche una mente scaltra, coraggio, carisma e spirito di sacrificio. Bisogna saper prendere decisioni veloci e non guardarsi mai indietro, ché i rimpianti sono la rovina di chi fa questa vita. Bisogna essere disposti a perdere – perdere battaglie, navi, amici, fratelli, amanti... O le proprie ali. Io non possedevo queste qualità, ma Blackraven sì. E tu?»
Messalina guardò il timoniere a bocca aperta e per la prima volta le sembrò di vederlo davvero, quell'ubriacone burbero e dall'aspetto minaccioso.
"Quante volte mi sono chiesta perché Blackraven lo tenesse ancora a bordo? Perché non ho mai notato la saggezza e l'umiltà che cela dietro i suoi modi?"
Con la coda dell'occhio vide che gli altri membri dell'equipaggio avevano sospeso l'opera di manutenzione dell'albero per seguire la loro discussione e capì che anche loro erano in attesa della sua risposta.
"Hanno bisogno di qualcuno che li guidi, non che stia in un angolo a piangersi addosso" realizzò, con una punta di vergogna. "E io ho bisogno di loro allo stesso modo"
«Dunque?» brontolò il timoniere, scrollando le ali con impazienza. Il sorriso luminoso era sparito dal suo volto, ma ne rimaneva una traccia nel fondo dello sguardo e Messalina trasse da lì la forza per alzarsi in piedi.
«Fai vela verso Ovest. Andiamo a riprenderci Blackraven!»
Eccoci arrivati a uno dei punti più faticosi e insieme più soddisfacenti di questa storia!
Mess prende in mano l'Argon e il proprio destino e per la prima volta in vita sua è responsabile di qualcosa: resa solo da vedere se ne sarà all'altezza...
Enjoy ❤️
Crilu
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