XVII. L'agguato
Smokey provava un fastidio irrazionale nel sapere che James Harvey era sepolto a sole tre file di distanza dalle tombe dei suoi genitori – ma in fondo, c'era poco di razionale in lei quando si trattava di quell'uomo.
L'acciottolato bianco del South Park Street Cemetery splendeva sotto il sole del mattino e la calura era resa a malapena sopportabile da un refolo d'aria fresca che preannunciava, di lì a poco, l'arrivo della stagione dei monsoni; allora la siccità avrebbe lasciato spazio a piogge torrenziali che per quattro mesi avrebbero regalato alla popolazione dell'arcipelago gioie e dolori in egual misura, nutrendo la terra ma causando anche tifoni e maremoti inarrestabili. Non era un caso che la maggior parte degli indigeni spendesse il proprio denaro per trasformare i figli in degli squamati: quando le isole venivano colpite da quelle temibili tempeste e quasi sommerse dalla furia dell'Oceano, poter respirare sott'acqua era l'unica garanzia di sopravvivenza. I membri della Brigata Alata spiccavano come lupi in un pollaio con le loro ali possenti: avere buone protesi e una certa abilità nell'usarle era un requisito fondamentale per essere ammessi nell'Accademia e per quanto ne sapeva lei nessun indiano era ancora riuscito a indossare la divisa grigia.
La tomba di Harvey era perfettamente inserita in quel cimitero di marmo: entrambi erano così imponenti, così sontuosi, così fuori luogo in quella città... Così tipicamente inglesi.
Smokey era nata a Calcutta, figlia di un mercante di spezie trapiantato nell'arcipelago per gestire al meglio i propri affari, e non aveva mai imparato ad apprezzare le consuetudini della madrepatria, che aveva visitato solo dopo essere entrata a far parte della Brigata; perciò quell'angelo ricciuto e raffigurato nell'atto di piangere sopra alla bara di Harvey le sembrava ridicolo. Era evidente che quel sepolcro era stato scelto da qualcuno che aveva in mente cimiteri risalenti ai tempi di Guglielmo il Conquistatore.
"Perché continuano a mettere questi cosi sulle tombe?" si chiese, osservando le vuote iridi di pietra colme di lacrime. "Che senso ha continuare a credere negli angeli? Siamo noi gli angeli, ora, e Dio ha avuto poco a che fare con la nostra creazione"
Era lì da quasi un'ora, ormai, intenta a leggere e rileggere il lungo epitaffio inciso sulla lapide del suo nemico, che blaterava di giovani vite stroncate dalla disgrazia e della ricompensa divina dopo la morte. Sulle labbra di Smokey affiorò un ghigno feroce: di giovani vite Harvey ne aveva distrutte molte, ma nessuna di esse sarebbe stata celebrata con altrettanta solennità.
Ricordò fugacemente il loro primo incontro, tanti anni prima, durante un ricevimento in casa del console: lei, ancora un attendente, era lì per accompagnare il maggiore O'Brien, mentre Harvey era stato appena eletto governatore del Bengala per la prima volta. Ricordava di aver avuto un'ottima prima impressione di quel signore distinto, basso e non particolarmente bello, ma dotato di un sorriso allegro e di una mente vivace; mai una volta aveva scorto la bestia dietro la sua espressione sincera e i suoi occhi bruni. Era solo l'ennesimo rampollo di buona famiglia spedito nelle colonie a far carriera, un politico promettente e carismatico che per sua stessa ammissione si era innamorato dell'India.
Nessuno aveva immaginato, all'epoca, che quelle parole nascondessero un significato più sinistro.
«Non sono qui per rivangare il passato» disse all'angelo all'improvviso. «Sono venuta solo per accertarmi che Lina avesse detto il vero»
Eppure avere la definitiva conferma della sua morte, invece di rasserenarla, la riempiva di rabbia:
"Dovevo essere io a seppellirti! Chiunque ti abbia scagliato quella pietra fatale mi ha tolto questo privilegio"
Calciò un po' di ghiaia sulla tomba, in un gesto di rivalsa infantile che però la fece sentire meglio, prima di voltare le spalle all'ultima dimora di James Harvey.
"Ci vediamo all'inferno, bastardo"
Nonostante il giorno prima avesse professato un'assoluta sicurezza davanti a Paulina, Smokey era così nervosa che quasi si lasciò sfuggire di mano l'acciarino nel tentativo di accendersi la pipa mentre passeggiava lungo il molo. Avrebbe avuto bisogno di più tempo per riabituarsi a quella città e ai suoi ritmi impazziti, ma il tempo era proprio ciò che più le mancava: quella notte, o la successiva al più tardi, un altro bambino sarebbe stato inghiottito dal tempio di Kalì.
L'ultima ragazzina rapita era scomparsa un paio di giorni prima mentre aiutava il padre a scaricare la sua barca: l'uomo si era distratto a parlare con un cliente e quando si era voltato non l'aveva più trovata. Smokey aveva chiesto a Paulina il permesso di interrogare di nuovo i genitori, ma non ne aveva ricavato nulla di utile, dato che senza la divisa era solo una straniera con un occhio cieco e modi bruschi.
Nessuno si fidava di lei.
La nostalgia per l'Argon la colpì all'improvviso e il cicaleccio dei pescatori divenne insopportabile, perciò spiccò il volo con un salto e si innalzò sopra la superficie cristallina dell'Oceano. Fin da quando era piccola e le sue ali incomplete riuscivano a malapena a sollevarla dal terreno, svolazzare su quella immensa distesa blu le donava pace e buonumore. Suo padre aveva sempre voluto il meglio per la sua unica figlia e le sue ali avevano richiesto diciott'anni per essere completate: ogni anno, il giorno del suo compleanno, il miglior mastro artigiano di Calcutta arrivava a casa loro per innestare un nuovo pezzo, connettere un altro nervo biomeccanico, controllare come procedesse l'integrazione dei suoi muscoli con le protesi... Aveva sempre provato un misto di curiosità e diffidenza per quell'ometto calvo, pallido, che era insieme un fabbro e un medico, un macellaio e un artista. Aveva calato il bisturi sulla sua schiena di neonata, infliggendole la prima di una lunga serie di cicatrici, e poi l'aveva osservata crescere, adattando le ali allo scheletro slanciato e all'andatura nervosa, studiando le proporzioni giuste che le permettessero di mantenere l'equilibrio sia in cielo che sulla terra. A differenza dei suoi genitori, che avrebbero preferito una linea più aggraziata e femminile, il mastro artigiano non aveva battuto ciglio quando gli aveva chiesto di innestarle lame affilate invece che piume decorative; forse aveva già intuito che la sua sopravvivenza sarebbe stata affidata alle protesi in più di un'occasione.
"Chissà se è ancora vivo, se è ancora a Calcutta... Non ricordo neanche il suo nome. A che servirebbe poi? Busserei alla sua porta solo per chiedergli se si rammenta di quella bambina cattiva che gli rendeva il lavoro impossibile? O della fanciulla che gli domandò di smontarle le ali perché voleva a tutti i costi diventare una squamata?"
Rise di sé stessa. C'erano così tanti anni a separare quella ragazzina dalla donna che ora veleggiava pigramente un paio di miglia al di sopra del mare, cullata dalla brezza leggera che spirava da est, che le sembravano due persone distinte, i cui destini per un attimo si erano sfiorati e sovrapposti. Da un lato c'era Letitia, la ragazza di buona famiglia, la figliola viziata, con la sua ingenuità e gli improvvisi attacchi di malinconia; dall'altro Smokey, più adulta, più dura e più furba, che tuttavia continuava a farsi la stessa domanda di tanto tempo prima.
"Ma che diavolo sto combinando con la mia vita?"
Ruotò a mezz'aria e si abbassò finché le punte delle sue ali non sollevarono qualche schizzo d'acqua; la donna assaporò il gusto salato di quelle gocce quando le arrivarono sul viso.
"Non sono mai stata ciò che gli altri si aspettavano da me. Dovevo essere una dama e sono diventata un soldato. Dovevo essere un soldato e sono diventata un corsaro. Come la marea vado avanti e indietro, ma non mi muovo di un passo!"
Un'ombra, veloce quanto un lampo, le passò sopra la testa.
Smokey spalancò le ali, raddrizzandosi e scrutando attorno a sé per percepire il pericolo, voltandosi a scatti verso destra, il suo lato cieco. Se non fosse stata sospettosa per natura avrebbe pensato di essersi immaginata quel guizzo: l'Oceano sciabordava sotto di lei; il cielo era limpido, fatta eccezione per un paio di nuvole sopra l'isola; per miglia e miglia in tutte le direzioni non si vedeva nessun viaggiatore solitario né riusciva a scorgere il profilo di qualche aeronave all'orizzonte.
Calcutta era abbastanza lontana affinché Smokey non sentisse i consueti rumori del porto e di colpo l'aria aperta non era più corroborante: si sentiva esposta e indifesa, ma non riusciva a capire perché.
Poi uno schiocco distinto le fece abbassare lo sguardo, un istante troppo tardi: l'uomo che era emerso dall'acqua la colpì in pieno, trascinandola con sé e tentando di soffocarla premendole una mano guantata sul viso. Smokey si divincolò e lo morse con la furia di una bestia spaventata, piegando le ali per ferirlo con le lame seghettate: riuscì solo a colpirlo di striscio, ma fu sufficiente per liberarsi dalla sua presa e scagliarlo lontano da lei con un calcio bene assestato. Il suo avversario precipitò per qualche istante, poi frenò la caduta con un battito d'ali e riprese a darle la caccia. Mentre volava più veloce che poteva nel tentativo di riguadagnare la terra ferma, Smokey vide un secondo uomo emergere dall'Oceano e puntare dritto verso di lei. Imprecando, la donna si gettò in picchiata, tentando di sfuggire a quell'assalto incrociato.
"Calcutta è troppo lontana: mi abbatterebbero prima che io possa arrivare al porto. Devo liberarmi almeno di uno dei due!"
Presa quella decisione virò con un movimento repentino delle ali, piombando a peso morto sul secondo uomo: colpirono l'acqua con uno schianto assordante, aggrappati l'uno all'altro in un abbraccio mortale. Continuarono a lottare anche mentre i vestiti diventavano pesanti e le ali si agitavano a vuoto, sballottati dalla corrente: ciascuno dei due era deciso a riaffiorare prima dell'altro. Alla fine fu Smokey a vincere, serrando le mani attorno al collo dell'assalitore finché quello non fu costretto ad aprire la bocca e l'acqua salata gli riempì i polmoni fino a soffocarlo; distogliendo lo sguardo dai suoi occhi vitrei e spalancati, la donna poggiò i piedi su quel corpo che affondava e riuscì a darsi la spinta necessaria per spiccare il volo.
Sbatté le ali più volte senza però riuscire a prendere quota, svolazzando qua e là senza equilibrio, ancora in balia delle onde: alzarsi in volo a pelo d'acqua era una manovra complicata e dopo quello scontro lei aveva a malapena la forza per mantenere una posizione eretta. L'altro uomo le fu subito addosso: evitò abilmente le sue protesi letali, le afferrò i capelli per tirarla a sé e la colpì sull'occhio cieco. La testa di Smokey esplose in un migliaio di dolorose scintille e la donna si sentì mancare il fiato mentre a tentoni cercava i karambit infilati nella cintura: se solo non avesse indossato quella pesante giacca da viaggio, che le impacciava i movimenti...
Il suono di uno sparo lacerò l'aria.
La sua vista si fece sfocata, il cielo e il mare si confusero in un'unica macchia blu e lei si sentì cadere: il peso dell'assalitore la stava trascinando giù, di nuovo nell'acqua chiara.
D'improvviso, dal nulla, una mano forte si chinò a prenderla per un braccio, fermando il suo volo: stordita e incredula, Smokey osservò il suo avversario schiantarsi contro l'Oceano e galleggiare per qualche istante, le ali aperte e lucide come quelle di un enorme, assurdo gabbiano, prima di affondare lentamente.
Solo quando alzò gli occhi sul volto del suo salvatore riuscì a dare un senso a ciò che era accaduto.
Bertrand de Ventadour non la guardava nemmeno: scrutava l'orizzonte con la mascella serrata e nell'altra mano stringeva una pistola ancora fumante. Con uno scatto delle ali Smokey si portò alla sua altezza, scacciando le sue profferte d'aiuto; rimasero muti a fissarsi per un tempo che parve lunghissimo, lei con i pollici infilati nell'impugnatura dei pugnali e lui con le dita ben salde sul grilletto.
Poi una ferita bianca si aprì sul volto del francese, illuminando la carnagione olivastra: Ventadour stava ridendo di gusto e ripose la pistola nel cinturone senza smettere di sghignazzare.
«Credevo di salvare un commilitone in pericolo e invece si tratta di una damigella in difficoltà! Com'è strana la vita, eh, ma femme formidable?»
Smokey scoccò un'occhiata alla giacca blu scuro che indossava, che da una certa distanza in effetti poteva essere scambiata per la divisa di un soldato francese.
«Cosa ci fate voi qui, Ventadour? Vi abbiamo lasciati sulla rotta per Marsiglia!»
«Ed è lì che sono andato, infatti. Poi sono venuto qui per fare da scorta a un ambasciatore che deve negoziare con il vostro console un trattato che ponga fine alle ostilità con le nostre colonie in Indonesia: l'Imperatore ha preferito darmi un incarico meno rischioso, dopo i pericoli corsi in Egitto»
Qualcosa nel suo tono di voce le diede a intendere che Ventadour era tutt'altro che felice per quella missione diplomatica; e l'ombra violenta che attraversò subito dopo lo sguardo dell'uomo le suggerì che forse quella era più una punizione per la sconfitta subita per mano di Lyon che un premio.
«Dunque ecco spiegato perché mi trovavo sopra il porto di Calcutta, intento a negoziare con il proprietario del molo – un ladro, un dannato brigante! – e a tirare sul prezzo per tenere ancorata lì la Victoire per un paio di settimane, quando da lontano ho visto uno dei nostri alle prese con due assalitori piuttosto accaniti e ho pensato bene d'intervenire. In effetti non capivo come i miei marinai, appena scesi a terra, avessero già potuto attaccare briga con qualcuno! Avete intenzione di spiegarmi perché stessero cercando di affogarvi?»
«Non sono affari vostri!» tagliò corto Smokey, voltandogli le spalle e dirigendosi con rapidi battiti d'ali verso Calcutta. Era nervosa, stanca e sarebbe tornata in caserma a mani vuote: poteva già quasi vedere lo sguardo colmo di dubbio e sgomento di Paulina... Un fruscio al suo fianco le comunicò che il francese non sembrava voler mollare la presa.
«Sparite, Ventadour!»
«Ho un'idea: perché non mi offrite una buona bevuta da qualche parte? Così potrete raccontarmi con calma in che guaio vi siete cacciata!»
«E perché dovrei?»
«Il me simble évident! È ovvio: vi ho salvato la vita. Non merito neanche una misera pinta di rum, dopo un viaggio noioso per arrivare in quest'isola umida e piena di zecche?»
Smokey gli lanciò un'occhiata infastidita: Ventadour manteneva la sua velocità senza apparente sforzo, dato che le ali erano proporzionate al fisico robusto e allenato.
Il bastardo non aveva ancora smesso di sorridere.
«Oh, e va bene! Ma solo una pinta e poi vi leverete di torno!»
«Come desiderate voi, ma femme formidable»
Come ho già accennato prima, io ADORO scrivere di Smokey 😍 e se poi aggiungiamo anche quel furfante di Ventadour il divertimento raddoppia!
Enjoy ❤️
Crilu
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