IV. A bordo dell'Argon
«Ehi, tu! Non sarai mica morta?»
Messalina sbatté le palpebre più volte prima di riuscire a mettere a fuoco un volto sporco di fuliggine chino su di lei. La sconosciuta rise sollevata e i denti bianchi brillarono come stelle sulla carnagione color caffè.
«Ah, ecco! Mi sarebbe dispiaciuto dover spiegare al capitano che la sua amica si era rotta l'osso del collo proprio davanti alla porta della sala macchine!»
Mess si guardò attorno, comprendendo che in effetti quella stanza doveva essere il cuore pulsante dell'Argon, in cui quattro fornaci stavano bruciando carbone a grande velocità, sputando scintille dorate e sbuffi di fumo denso e scuro; accanto a ognuna di esse vari barometri di cristallo indicavano la pressione interna e la velocità a cui la nave stava viaggiando.
Il volto a forma di cuore della macchinista si piazzò di nuovo di fronte a lei:
«Prima volta su una aeronave, eh?»
Messalina annuì, ancora frastornata:
«Sì, io... Io non ero mai uscita da Cloud Eden, prima.»
«Beh, sei stata fortunata! Non tutti riescono a imbarcarsi su un vascello come l'Argon»
Indicò le macchine alle sue spalle. «Guarda che spettacolo, sfioriamo i venticinque nodi!»
Lo sportello d'ottone di un altoparlante sul soffitto, che Messalina non aveva notato, si aprì e una voce gracchiante tuonò:
«Gitana, razza di imbecille, più fuoco al quarto motore! Quassù ci bombardano e io sto cercando di portare in salvo anche la tua pellaccia, corpo d'un kraken! Un giorno di questi creperemo tutti perché tu...»
La macchinista abbassò una leva e l'altoparlante si zittì; poi si sistemò i capelli ricci e nerissimi sotto la bandana lurida che le lasciava scoperto il viso, afferrò una pala e iniziò a gettare grossi cumuli di carbone in una delle fornaci.
«Un giorno di questi creperemo tutti perché si addormenterà sul timone!» brontolò, lanciandole un'occhiata esasperata. «Devi scusarlo, mastro Bell non tiene a freno il linguaggio, quando è ubriaco. E siccome non si separa mai dalla bottiglia, sono più le volte che impreca che quelle in cui azzecca il mio nome! Io sono Beatrix Euell, comunque – ma puoi chiamarmi Trix come fanno tutti.»
«Io mi chiamo Messalina Seymour» mormorò l'altra. «Ma puoi chiamarmi Mess.» aggiunse, rammentando il soprannome che Smokey le aveva affibbiato e realizzando che le piaceva molto.
Trix esitò un istante, poi riprese a parlare:
«Seymour... Come Robert Seymour, il sindaco di Cloud Eden?»
«È mio padre.»
«Accidenti, devi avere una bella storia da raccontare! Non vedo l'ora di poterla ascoltare!» fischiò tra i denti.
Non sembrava intimidita dal suo lignaggio e il suo interesse pareva genuino. Mess osservò di sottecchi, a disagio, le piccole ali di Trix: erano di pessima qualità e c'era da dubitare che riuscissero a tenerla sollevata in aria per molto; di contrasto le sue, lucenti e lussuose, stonavano nell'ambiente cupo della sala macchine.
Iniziò a sentirsi soffocare e, ricordandosi del consiglio di Smokey, si liberò della pesante giacca da viaggio facendola scivolare oltre le protesi, per poi ripiegarla e stringersela al petto; nonostante ciò, la temperatura nella stanza era così elevata da farla sudare copiosamente e si ritrovò a invidiare la macchinista, che indossava delle brache larghe e aveva il seno coperto solo da una leggera fascia di panno, agganciata alla base delle ali con dei lacci.
Ci fu un ultimo scricchiolio, poi l'Argon sembrò riassestarsi. L'altoparlante si aprì di nuovo, ma questa volta all'altro capo del tubo c'era Blackraven:
«Trix, siamo a posto. Abbassa i fuochi, stanotte non faremo tanta strada.»
«Sissignore!» trillò lei, affaccendandosi tra le sue macchine. «Posso sapere dove siamo diretti?»
Blackraven fece una pausa e quando riprese a parlare la sua voce suonò stanca:
«All'alba faremo vela verso Tortuga.»
«Tortuga» ripeté Messalina, pensierosa. «Dove si trova?»
Era seduta su una branda nell'alloggio dei marinai, in attesa che Trix si ripulisse: la macchinista le aveva promesso di presentarle il resto dell'equipaggio, ma lei era più interessata alla loro meta.
«In questo momento credo sia a un centinaio di miglia da qui in direzione delle Americhe. Ma non si può mai dire: Tortuga è un avamposto marino artificiale e si sposta in fretta» rispose la ragazza, infilandosi una camicia azzurra sopra il torso accaldato. Quel colore brillante creava un vivido contrasto con la carnagione bruna e gli occhi scuri.
«Un avamposto marino artificiale? Intendi una di quelle piattaforme mobili costruite in seguito al Crollo?»
«Esatto. In origine Tortuga era un'isola vera e propria, ma il Crollo la sommerse e i sopravvissuti si dovettero adattare a vivere perennemente per mare. Comunque gli abitanti sono rimasti sempre gli stessi: tartarughe e corsari.»
«Vuoi dire pirati.»
Trix la guardò male da sotto lo straccio con cui si stava asciugando i capelli, prima di infilarli in una bandana pulita, ma variopinta come la prima:
«Voglio dire corsari. I pirati attaccano le navi per tenersi il bottino; noi, invece, siamo al soldo di Sua Maestà!»
"Ciò non toglie che siete comunque dei predoni!" pensò Messalina, ma preferì non dirlo.
«Perché Blackraven vuole andare a Tortuga?»
«Non credo proprio che voglia andarci! Piuttosto, siamo stati raggiunti da almeno una palla di cannone e ci saranno delle riparazioni da fare: Tortuga è solo più vicina di Londra.»
«Quindi in realtà è a Londra che siamo diretti?»
La macchinista non le rispose, facendole cenno di seguirla mentre usciva sul ponte. La notte era rischiarata da decine di fiaccole poste a intervalli regolari lungo il ponte: evidentemente avevano ormai seminato gli inseguitori e il capitano non riteneva necessario procedere nell'oscurità più completa. Messalina lo individuò subito, chino su una fiancata insieme a Smokey e a un vecchio dalla barba bianca, che almeno a giudicare dalle roche imprecazioni che borbottava doveva essere mastro Bell, il nocchiere ubriacone. Da quella distanza non poté distinguere bene i suoi lineamenti, ma intravide un paio di lunghe trecce dondolargli sul petto quando l'uomo si sporse oltre la murata.
"Certo che questa nave è piena di personaggi bizzarri!"
Lyon si era tolto la giacca e aveva arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti per esaminare con più facilità il danno dell'Argon.
«Nulla di grave» lo sentì sospirare mentre lei e Trix si avvicinavano e colse il guizzo di un sorriso illuminargli i lineamenti, prima che posasse gli occhi su di lei.
Avvertì immediatamente il suo cambio d'umore: le labbra si strinsero e le iridi verde foglia si scurirono, diventando quasi nere, mentre Smokey si zittiva e faceva saettare lo sguardo tra di loro, incuriosita.
L'uomo piantò in asso i due ufficiali e si diresse a grandi passi verso di lei, afferrandola per un braccio e spingendola senza troppi riguardi verso la sua cabina sotto lo sguardo esterrefatto e confuso di tutto l'equipaggio.
«Toglietemi le mani di dosso, senza-ali!» ringhiò la ragazza, riuscendo finalmente a divincolarsi mentre l'uomo si chiudeva la porta alle spalle.
Lui parve non fare caso alla sua furia, appoggiandosi placidamente alla scrivania di legno che torreggiava all'interno della piccola camera da letto, assicurata al pavimento da robusti blocchi di ferro. L'arredamento della cabina era una perfetta commistione tra economia e comodità: i mobili erano semplici, costruiti per occupare il minimo spazio possibile. Lo sguardo di Mess fu rapito, per qualche istante, dai numerosi libri che riempivano la libreria del capitano.
«Vi consiglierei di abbassare i toni, miss. Sull'Argon non prendiamo alla leggera gli insulti al capitano.»
«È questa tutta la gratitudine che riuscite a mostrare per chi vi ha salvato la vita? O volete forse negare che se non fosse stato per il mio intervento non sareste mai tornato sulla vostra nave?»
«Permettetemi di correggervi: senza il vostro intervento io sarei tornato sull'Argon senza che questa venisse presa a cannonate dall'esercito di vostro padre! Anche se mi avete salvato la pelle – questo non posso negarlo – vi siete già dimenticata che siete stata voi a buttarmi giù dalla terrazza?»
«E voi vi siete dimenticato di essere venuto a rubare in casa mia?»
Inaspettatamente, Lyon scoppiò a ridere, rivelando nuovamente quell'espressione gioiosa e malandrina che l'aveva affascinata durante il loro ballo.
«Un ladro e un'aspirante assassina: che bella coppia che siamo!»
«Non dite assurdità!» soffiò Mess, indignata, imponendosi di non lasciarsi abbindolare di nuovo.
Veloce come era apparsa, l'ilarità abbandonò il viso di Blackraven:
«Giusto. Immagino che anche l'idea di conversare con uno come me vi disgusti, miss, perciò vedrò di sollevarvi da questo disagio il più in fretta possibile. Avrei preferito che non aveste scelto proprio l'Argon per fuggire da Cloud Eden, ma ormai è fatta e non c'è modo di farvi tornare indietro: ripagherò il mio debito con la promessa di scortarvi fino al primo porto sicuro — non un miglio in più, è chiaro? Dopo di che sarete sola e libera di ammazzarvi nella maniera che più vi soddisfa. Ovviamente avrete a disposizione una delle nostre cabine.»
Alzò una mano per imporle il silenzio, anticipando la sua istintiva risposta.
«Non ho finito. Per il tempo che rimarrete su questa nave voglio che vi atteniate a poche, semplici regole: sì, sarà un'impresa titanica per voi, me ne rendo conto, ma l'alternativa è essere gettata fuori bordo. Per prima cosa, non sfidatemi: se vi ordinerò di fare una cosa, voi la farete senza fiatare, perché altrimenti potreste mettere in pericolo non solo voi, ma anche la vita di uno dei miei.
Seconda regola: non intralciate i miei marinai. Questo significa che non dovrete distrarli né con le vostre moine infantili, né con chiacchiere inutili, né con qualche acrobazia fuori programma.
E al fine di preservare la mia sanità mentale, non vi è permesso fare domande inopportune.»
«Permesso? Permesso?» sibilò Mess, agitando le ali fino a farle cozzare contro le spoglie pareti di legno della cabina, tanto che le due lampade ad olio che illuminavano la stanza ondeggiarono con un cigolio sotto il vorticoso spostamento d'aria.
Il petto sembrava scoppiarle per la foga con cui avrebbe voluto replicare a quelle scemenze, ma qualcosa nell'espressione di ghiaccio dell'uomo la convinse che non avrebbe esitato ad attuare la sua minaccia di gettarla oltre il pontile dell'Argon. Tacque, con il volto arrossato dall'ira e gli occhi accesi dalla competizione; vedendola così apparentemente docile Lyon sorrise, ben sapendo che ci sarebbe voluto qualcosa in più di una serie di limiti per domare quella ragazza.
"In questo siamo simili, io e te" pensò, osservandola camminare per la cabina con andatura sussiegosa, le ali compostamente ripiegate contro le scapole. Si rimproverò subito per il calore che quel pensiero gli aveva suscitato: Messalina Seymour era già una complicazione senza che lui si lasciasse attrarre dal suo carattere ribelle.
La ragazza si voltò un attimo prima di uscire sul ponte, appena rischiarato dalle prime luci dell'alba.
«Posso almeno sapere cosa avete sottratto a mio padre?»
Un ghigno divertito si allargò sul volto di Lyon:
«Questa, miss Seymour, è ciò che io chiamo una domanda inopportuna.»
E rise di cuore nel vederla sgusciare via come un coniglio spaventato di fronte a una volpe.
Questo capitolo, come i prossimi, è un po' di passaggio: volevo prendermi un po' di tempo per introdurre i vari e pittoreschi membri dell'equipaggio dell'Argon 😂
E soprattutto, per descrivere bene Tortuga, una delle ambientazioni che preferivo quando leggevo i romanzi di Salgari 😍😍😍
Enjoy ❤️
Crilu
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