Chaeyoung







Mi è venuta un po' comica la parte smut. Non lo so raga che ho nel cervello. Ed è un po' più corta del solito :)

Nonostante ciò: buona lettura.


Il nome di Chaeyoung era apparso sullo schermo proprio nel momento peggiore; Jimin era riuscito finalmente a trovare una sera libera per sé stesso: aveva preparato una ciotola di pop-corn, aveva aperto il divano letto per stendere meglio le gambe e avere più spazio, si era infilato in una coperta a forma di pinna di sirena che si era comprato mesi prima su wish e aveva sollevato il telecomando con l'intenzione di far partire la propria serata solitaria e rilassante, ma il telefono aveva cominciato a vibrare al suo fianco.

Chaeyoung era la sua migliore amica da tempi immemori e le voleva un gran bene, ma in alcuni periodi era la palla al piede più fastidiosa che potesse avere in vita sua. I periodi bui della sua bff erano stati essenzialmente due: la separazione dei suoi genitori quando avevano sedici anni e la scelta dell'università da prendere. Erano stati mesi infernali in cui lei non faceva altro che piangere, arrabbiarsi, chiamarlo di notte chiedendogli di andare da qualche parte e, da buon migliore amico, Jimin era sempre stato al suo fianco, senza chiedere nulla in cambio.

Crescendo, Jimin aveva pensato fossero stati momenti adolescenziali e che non l'avrebbe più dovuta sorreggere in quei momenti così assolutamente devastanti, ma si era sbagliato di grosso perché, poi, era arrivato Seokjin. Kim Seokjin era il peggior bastardo che poteva esistere sulla faccia del pianeta: l'aveva fatta innamorare, l'aveva illusa, faceva continuamente tira e molla, la tradiva una settimana si e l'altra pure, la ignorava per giorni e si faceva trovare sotto casa sua pretendendo che lei non fosse arrabbiata, che continuasse ad amarlo incondizionatamente. E lei lo faceva. Jimin le aveva provato a farle capire quanto quell'amore fosse tossico, quanto lui non la meritasse minimamente, quanto se né stesse approfittando di lei solo per avere qualcuno al suo fianco, nel suo letto, pronta a esserci quando si sentiva solo. Aveva provato a dirglielo così tante volte, ma era stato sempre tutto inutile: se era un periodo in cui si sentivano e si vedevano lei si arrabbiava, dicendo che Jimin non poteva capire, che Seokjin lo faceva per paura, che non conosceva quel lato di lui che lei aveva visto, nascosto; quando la lasciava o semplicemente spariva dalla sua vita piangeva e chiedeva scusa, diceva che aveva ragione e che non ci sarebbe più ricascata. E poi ci cascava, di nuovo, sempre.

Jimin le voleva un gran bene, forse era la persona alla quale voleva più bene al mondo, ma starle dietro non era semplice. Non voleva andare da uno psicologo, non voleva andare via per un po', non voleva tornare dai suoi; ogni cosa che Jimin le aveva proposto veniva scartata con dei banali "non ne ho bisogno", "devo farcela da sola", "vedremo". Ma era un ciclo dal quale non riusciva ad uscire e Jimin sapeva che non riusciva a fare nulla per lei, se non esserci.

Si sentiva egoista, ma Jimin era stanco di dover mollare ogni cosa per andare da lei a sentirla piangere.

Eppure, sebbene non avesse voglia di andare da lei a sentirla piangere, rispose al telefono.

«Chae-Chae, amore mio.» rispose, con voce dolce, protettiva «Che succede?»

Il pianto singhiozzante dall'altro lato della cornetta – e non le parole sbiascicate che gli disse – furono tutto ciò che servirono per fargli togliere la coda da sirena, fargli indossare un paio di jeans e farlo uscire con le chiavi dell'auto in mano, direzione la casa della sua migliore amica. Jimin era un buon amico e sarebbe andato da lei ogni giorno a qualsiasi ora, ma il fatto che le loro università fossero ad un'ora di distanza una dall'altra e che, di conseguenza, lo fossero anche i loro appartamenti, rendeva le cose estremamente pesanti.

Comunque sia, varie canzoni di Lady Gaga più tardi, alle due del mattino, Jimin parcheggiò sotto l'appartamento di Chaeyoung e dei suoi coinquilini, inserì il codice del portone che sapeva a memoria e salì al settimo piano senza ascensore, ritrovandosi davanti alla porta con il fiatone.

Suonò il campanello, rimase in attesa.

Quando la serratura scattò e la porta si aprì, come sempre, non si ritrovò la migliore amica davanti, ma uno dei suoi tanti coinquilini.

«Ciao Hoseok.» salutò stancamente il ventitreenne, osservando il volto sereno dell'altro.

«Chaeyoung piange da almeno due ore».

I coinquilini della sua migliore amica erano persone normali, studenti come loro, e per quanto si fossero affezionati alla ragazza non le volevano così bene da perdere tempo con lei. Nessuno poteva fargliene una colpa, anzi, alcuni di loro erano stati anche più gentili di quanto si sarebbe aspettato: Hoseok gli portava spesso una tisana quando se ne faceva uno per sé stesso, Taehyung la invitava ogni volta a ballare, quando usciva con la sua compagnia di amici, e Jungkook le portava spesso le brioche dolci che le piacevano tanto dalla panetteria sotto casa. Avevano capito fosse una persona buona e in difficoltà, ma nessuno di loro aveva intenzione di annullare la propria vita e i propri studi per una ragazza con la quale abitavano da soli sei mesi.

Hoseok si spostò dall'ingresso e lo fece passare, Jimin ringraziò e si fermò un istante davanti alla porta della cucina, adocchiando chi ci fosse all'interno: Taehyung se ne stava a torso nudo con una bottiglia di birra in mano, seduto al tavolo insieme a Jungkook, anch'esso con una birra davanti; la terza birra a metà fece pensare a Jimin che i tre coinquilini si fossero presi una serata libera dalle loro uscite per fare due chiacchiere insieme. Se Chaeyoung non fosse stata in preda ad una crisi, probabilmente, su quel tavolo ci sarebbe stata una quarta birra e Jimin sarebbe stato ancora sul suo divano, quasi alla fine del film.

«Ciao ragazzi.» salutò Jimin, alzando la mano velocemente.

Taehyung sollevò il mento, Jungkook si sollevò le maniche fino ai gomiti mostrando i tatuaggi: «Hey, vuoi una birra?»

I tre coinquilini della sua migliore amica erano i ragazzi più etero che Jimin avesse mai visto, l'esatto opposto di lui. Jimin era sempre stato lo stereotipo dell'omosessuale da telefilm: pieno di amiche, amante dei film d'amore smielati e dello shopping, pronto a fare pigiama party durante i quali parlava con le sue compagne di università di quali fossero i ragazzi carini nei loro corsi e quali, tra loro, ipotizzavano avessero il cazzo più grande. A colpo d'occhio, per come parlava, per come camminava, per come muoveva le mani e anche solo per la risatina che faceva, tutti lo davano immediatamente per gay: e avevano pienamente ragione.

«No, vado da Chae-Chae», fece un leggero sospiro, piegò la testa di lato e sbatté le ciglia più volte in direzione di Jungkook, «ma grazie».

Jimin era sempre stato bravo a non farsi prendere da amori impossibili. In università evitava di fissarsi su qualche ragazzo, così come sui mezzi pubblici o quando incontrava amici di amici. Usciva solo con gente nella cricca di locali gay che frequentava, così da non doversi scottare con gli eterosessuali carini che mai avrebbero ricambiato. Era sempre stato bravo, ma non riusciva comunque a rimanere impassibile davanti a qualcuno come Jeon Jungkook: capelli neri e mossi, leggermente lunghi che in quel momento teneva tirati alle tempie con un codino, una maglietta attillata bianca, a maniche lunghe, che ora teneva sollevate mostrando le braccia muscolose e tatuate. La cosa che più lo aveva colpito, di Jeon Jungkook, non era la sua bellezza, né quei sorrisi mozzafiato che faceva, era una cosa molto più bassa e carnale. Jimin poteva scordarsi di qualsiasi bel ragazzo etero – aveva avuto parecchie storie con omosessuali altrettanto attraenti -, ma quando si era accorto per caso che Jungkook, in casa, non portasse mai le mutande e mettesse sempre un paio di pantaloni della tuta, non riusciva a non fantasticarci su.

Anche in quel momento, appena prima di dar le spalle a tutti, non riuscì a non far cadere l'occhio sul cavallo dei suoi pantaloni: i pantaloni della tuta grigi, leggermente abbassati, lasciavano intravedere le ossa del bacino e la forma della sua voglia sotto il tessuto.

Non si era di certo innamorato di lui a prima vista, neanche per sogno, ma era difficile rimanere impassibili davanti al cazzo in bella vista di Jeon Jungkook.

«Vado da Chae, buonanotte ragazzi».

Un coro di saluti ricambiati lo accompagnarono alle spalle mentre percorreva il corridoio e arrivava alla porta della sua migliore amica. Non bussò, aprì piano la porta: «Tesoro mio?»

L'ora successiva fu la solita: si misero nel suo letto matrimoniale, Jimin ascoltò l'ultima novità su Kim Seokjin, sul fatto che le avesse dato appuntamento e non si fosse presentato, che lei l'avesse chiamato e avesse scoperto che era semplicemente con un'altra. Non aveva avuto scrupoli a dirglielo, spiegandole che se aveva deciso di non presentarsi era per colpa sua, che era pressante e che lo faceva star male. Chaeyoung chiese per una buona mezzora cos'avesse sbagliato, come dovesse comportarsi per non dargli fastidio, perché se era così sbagliata lui continuasse a tornare. Jimin lottò a parole per farle capire quanto fosse stronzo e lei accettò la cosa, dandogli ragione.

«È colpa sua, non mia.» si lasciò andare in un singhiozzo, si asciugò il viso con l'ennesimo fazzoletto «È uno stronzo, ha chiuso con me. Ho fatto tutto per lui, tutto!». E Jimin avrebbe voluto tirare un sospiro di sollievo e dirsi che era finita, che finalmente aveva capito, ma sapeva che appena lui sarebbe tornato lei gli avrebbe ridato tutta sé stessa, annullandosi ancora e ancora.

«Dormiamo un po' tesoro?» chiese Jimin dandole un bacio tra i capelli e stringendola tra le braccia. Lei si mise semplicemente sotto le coperte, già in pigiama, mentre Jimin dovette togliersi i jeans e i calzini, rimanendo con la maglia con la quale era uscito. Non misero sveglie, decidendo senza dirselo di non andare a lezione il giorno dopo, e spensero semplicemente la luce. Si addormentarono entrambi in un attimo, tutti e due completamente esausti, abbracciati per un po' prima di staccarsi leggermente in dormiveglia.

Avrebbero dormito ore, ritrovandosi nel buio più completo grazie alle tapparelle abbassate ad ora di pranzo, se non fosse che la porta, circa un'ora dopo, si aprì di scatto: «Chaeyoung!»

I due si svegliarono di soprassalto, confusi, accecati dalla luce che venne accesa un istante dopo: Seokjin se ne stava alla porta con un mazzo di fiori in mano, i suoi preferiti, e il volto colpevole. La ragazza gli urlò di uscire, di andarsene, di non farsi più vedere, ma Kim Seokjin cominciò a piangere, si buttò in ginocchio chiedendo perdono, gli disse che l'amava con tutto sé stesso, che non viveva senza di lei, che era fatto male, che solo lei poteva cambiarlo.

Jimin era ancora confuso e mezzo rincoglionito quando Chaeyoung gli chiese di lasciarli soli per un attimo. Se fosse stato lucido le avrebbe detto di non credergli o, almeno, se ne sarebbe semplicemente andato a casa, sapendo che quell'attimo sarebbe finito in sesso di riconciliazione, ma lucido non era e l'unica cosa che fece fu uscire dalla stanza, chiusa dietro di lui un istante dopo. Jimin camminò ciondolando a destra e sinistra fino alla cucina, spettinato e con il volto rigato dalle pieghe del cuscino.

«Tutto okay?» una voce che conosceva bene precedette una risata.

«Eh?». Jimin mise a fuoco, vide Jungkook ancora seduto al suo posto, da solo, con una bottiglia vuota a fianco e il telefono in mano. «Perché l'avete fatto entrare?»

Jungkook sollevò le spalle: «Colpa mia.» rispose semplicemente. «Continuava a bussare e urlava come un pazzo». Jungkook girò lo schermo del telefono e mostrò l'orario. «Sono le quattro di notte, volevo evitare che chiamassero la polizia».

«Forse sarebbe stata una buona idea.» disse Jimin avvicinandosi al tavolo e sedendosi alla prima sedia libera accessibile, esausto.

«Forse dovrebbe farlo lei, io vorrei tenermi quest'appartamento». Erano parole dure, forse, ma Jimin non riuscì ad obiettare. «Sai, l'affitto è basso, non possiamo permetterci qualcosa di più».

Il ventitreenne si passò una mano tra i capelli: «Scusa, hai ragione». Chaeyoung doveva risolvere i suoi problemi partendo da sé stessa, non potevano farlo gli altri per lei o non sarebbe mai cambiato nulla. Jimin si alzò e andò verso il frigorifero, come fosse casa sua, lo aprì e tirò fuori una bottiglia d'acqua fredda.

Era mezzo assonnato e lento nel fare tutto, nel prendersi il bicchiere, nel riempirselo, nel portarlo alle labbra appoggiato al bancone, il tutto dando le spalle a Jungkook. Il coinquilino della sua migliore amica, intanto, aveva sollevato gli occhi dal telefono, posando il suo sguardo sul corpo dell'altro.

Jeon Jungkook era interessato alle ragazze, su questo non vi erano dubbi, e mai aveva pensato ad avere una relazione romantica con una persona del suo stesso sesso: prendersi per mano, baciarsi, abbracciarsi davanti ad un film, pensare ad una famiglia, andare fuori a cena; non riusciva proprio ad immaginarsi con un ragazzo, non aveva mai avuto dubbi. Il fatto che trovasse il corpo di Park Jimin assolutamente eccitante era tutto un altro paio di maniche. Il fatto che lui se ne stesse in piedi, con i capelli spettinati, la voce rauca dal sonno e che non si fosse ancora reso conto di essere uscito in fretta e furia dalla stanza di Chaeyoung senza rimettersi i jeans sembrava piacere particolarmente all'altro ragazzo presente.

«Che hai intenzione di fare, ora?» chiese, senza staccare gli occhi dal suo sedere.

«Penso che me ne andrò a casa, quei due staranno già scopando».

Jungkook si morse il labbro inferiore, osservò l'intimo del ragazzo che mai aveva visto su un uomo: un paio di mutande stile thong – sebbene non avesse la minima idea del fatto che quello fosse il suo nome – che lasciavano in bella vista i glutei marmorei del più piccolo: «E hai intenzione di disturbarli ora?»

Jimin terminò il bicchier d'acqua e lo poggiò nel lavandino: «No, me ne andrò e basta».

Un sorrisetto divertito si creò sul corpo di Jungkook: «In mutande?»

Bastò quella parola a far rendere conto all'altro di come effettivamente fosse conciato: le piccole dita presero d'istinto il bordo della maglia e la tirarono verso il basso, si girò, così da non mostrargli il sedere, e boccheggiò rosso in volto: «Oddio! Scusa!». Jungkook scoppiò a ridere e scosse il capo. «Cazzo, non posso entrare...» un lamento susseguì quelle parole, i suoi occhi si fissarono in quelli dell'altro «Pensi che potrei dormire sul divano?»

Jungkook pensò velocemente a che fare, ma non riuscì a farlo così tanto in fredda da non sembrare palese. Rimase in silenzio un paio di istanti, ricambiando lo sguardo dell'altro con serietà. Jimin si sentì in soggezione, deglutì, si bagnò le labbra e deglutì di nuovo: «S-se non è un problema».

Jungkook si decise: «Te lo sconsiglio, è scomodo come letto».

«Oh, beh, m-ma non fa ni-», non fece però in tempo a dire altro perché il ragazzo più grande di lui di un solo anno si alzò di scatto, gli si avvicinò sorridente e gli poggiò una mano sulla spalla in modo amichevole «C-cosa?». Jimin si sentì scottare il corpo, si sentì improvvisamente eccitato nell'averlo vicino, nel sentire il suo braccio sulla schiena.

Si disse mentalmente di non pensar male, di non farsi stupide fantasie da film porno gay. «Dormi con me, tranquillo». Più facile a dirsi che a farsi, però, quando l'eterosessuale sexy con il quale vorresti tanto passare una notte di fuoco ti invita a dormire con lui.

«Ma non c'è n'è bisogno, figurati».

«Che fa, stavo giusto andando a dormire.» Jungkook gli fece un grosso sorriso gentile «Vieni, ti faccio vedere la mia stanza».

Jimin si incamminò per il corridoio con il suo braccio sulla spalla, tenendo la maglietta verso il basso, trattenendo il respiro e continuando a ricordarsi come un mantra che il coinquilino eterosessuale della sua migliore amica lo stava invitando a dormire con lui per estrema gentilezza. Jungkook non voleva – purtroppo – scoparselo tutta notte, era solo un ragazzo gentile ed educato. Questo, almeno, era ciò che pensava Jimin.

E si sbagliava di grosso.

Jungkook tolse il braccio dalla sua spalla solo per aprire la porta della sua stanza, che mai Jimin aveva visto, e invitarlo ad entrare: «Prego, fa come fossi a casa tua».

La stanza di Jungkook era buia, ma una luce rossa in fondo illuminava ogni cosa, rendendola a primo sguardo simile ad una camera oscura o alla camera da letto di uno psicopatico. A primo avviso, ovviamente, di tutti tranne che per Jimin; gli occhi scuri del ventitreenne la videro in maniera completamente diversa: davanti a lui la perfetta location per un film porno. Il giovane si impose di non pensarci, accennò un sorriso: «Carina».

«Grazie». Jungkook chiuse la porta dietro di sé, si tolse la maglia subito dopo, rimanendo a torso nudo. Jimin deglutì e sviò lo sguardo.

«Che sonno!» esclamò forse un po' troppo esageratamente, fingendo uno sbadiglio «Beh, qual è il tuo lato del letto?»

«Quello più lontano».

«Bene, bene.» rispose Jimin; osservò velocemente la scrivania con il portatile appoggiato, gli scaffali pieni di libri che ipotizzò essere quelli scolastici, un paio di foto appese, vestiti buttati alla rinfusa per terra. Si avvicinò al letto, tenne lo sguardo basso e si infilò sotto le coperte velocemente. «Ok, buonanotte».

Jungkook non rispose, fece con calma, fece il giro del letto matrimoniale e si sedette dall'altro lato; si infilò sotto le coperte, si mise comodo a pancia in su e girò il volto verso l'altro. Scese il silenzio.

Jimin gli aveva dato le spalle, aveva chiuso gli occhi e tratteneva il lenzuolo al petto, provando a coprirsi più che poteva. Era nervoso e, soprattutto, era abbastanza eccitato dalla situazione. Provò a lasciar perdere tutte le sue fantasie e provò semplicemente ad addormentarsi.

«Ti stanno bene, comunque.» disse improvvisamente Jungkook, interrompendo il silenzio.

Jimin deglutì, pensò se rispondere alla frase che non aveva capito o se far finta di dormire, poi decise: «Cosa?»

Jungkook si tolse il lenzuolo da dosso, lo sollevò e scoprì la schiena coperta dalla maglia di Jimin, il suo didietro, l'inizio delle sue cosce; la luce rossa gli illuminava i glutei, gli occhi scuri del ventiquattrenne glieli guardarono con ardore. «Queste mutande, ti stanno bene». Ci fu silenzio. Jimin sentì il suo cuore battere più forte, non seppe bene che fare. Se fosse stato uno dei ragazzi conosciuti nei locali che frequentava si sarebbe già girato e gli sarebbe saltato addosso, ma era il coinquilino eterosessuale della sua migliore amica, giusto? «Ti stanno proprio bene».

Jungkook riappoggiò il lenzuolo sul corpo dell'altro, lasciando tutta la parte dietro scoperta; si avvicinò a lui, poggiando il gomito sui cuscini, rimanendo a mezzo metro da lui, così da poterlo ancora guardare per bene, godersi della sua vista colorata di rosso. «Hai un bel culo».

Non era molto romantico, ma a Jimin non importava per nulla del romanticismo in quell'istante. Sentì indurirsi a sua voglia, sentì il corpo scaldarsi, sperò di essersi sbagliato. Non poteva fare il primo passo, non poteva rischiare di aver capito male le sue intenzioni, di farlo incazzare, di rovinare il rapporto con il coinquilino della sua migliore amica, di metterla nei casini.

«Grazie.» lo sussurrò senza voce. Avrebbe voluto dirgli di prenderselo, se tanto gli piaceva, ma si morse la lingua.

«Ho notato che mi guardi.» si avvicinò ancora un po', sollevandosi con il busto per guardarlo dall'alto.

Jimin strinse le mascelle, strinse ancor di più il lenzuolo al petto: «In c-che senso?»

«Non lo so in che senso mi guardi.» si ritrovò a sorridere nel buio, divertito dalla situazione «Ho solo notato che mi guardi, quando vieni qui». Rimasero un po' in silenzio, qualche istante. «Magari puoi dirmelo tu perché mi fissi in quel modo».

«Non ti fisso».

Una risatina bassa: «Ah no?»

«Te lo giuro.» mentì senza vergogna Jimin.

«A me sembra che stai sempre a guardarmi il cazzo».

Jimin si volle prendere a pugni in faccia, ma evitò di farlo davanti a lui, avrebbe avuto tutto il tempo a casa, il giorno dopo: «N-non è così è che...» ridacchiò nervosamente «Non è come pensi tu, non è per malizia s-solo...»

«Solo?»

«È che ho notato che non porti mai le mutande.» gli uscì di getto, strinse gli occhi con forza, si morse il labbro inferiore «E niente, cioè mi faceva strano e quindi mi veniva spontaneo, scusa, tranquillo i-io n-non...» deglutì rumorosamente «Non voglio fare niente con te».

Jungkook non ci credette nemmeno un secondo: «Peccato».

Jimin spalancò gli occhi nel buio: «In che senso?»

«Te l'ho detto che hai un bel culo...» fece un profondo respiro, si avvicinò qualche altro centimetro «Avrei proprio voglia di stringertelo e mordertelo». Jimin sentì gli angeli cantare nella sua mente. «Volevo proprio chiederti se potessi accarezzartelo...»

«Va bene».

Jungkook ridacchiò a bocca chiusa: «Non avevi detto che non volevi fare nulla con me?»

«Scherzavo». Jimin non si girò, non volle cambiare nulla di quel momento, rimase solo in attesa.

Jungkook guardò per bene il corpo del ragazzo nel suo letto, fece un profondo respiro, fissò lo sguardo sui suoi glutei, poi sollevò la mano e la portò sopra il bordo delle mutande, infilandoci sotto il dito. Il ventiquattrenne giocò a lungo con il tessuto, Jimin urlava internamente di smetterla e di metterlo a novanta, ma l'unica cosa che ottenne fu il palmo del ragazzo sulla propria carne.

La mano di Jungkook era enorme, aprì le dita e gli massaggiò un gluteo, poi l'altro, cominciò ad accarezzarli, a stringerli leggermente, a sentirne la morbidezza e, insieme, la tonicità: «Proprio un bel culo, cazzo». E con quel culo ci giocò a lungo, così come giocò con lo spacco dei glutei, così come girò intorno alla sua apertura con l'indice, così come scese e gli solleticò la parte sotto i testicoli. Jungkook si avvicinò ancora, rimanendo a pochi centimetri dal corpo bollette di Jimin, si abbassò con il viso vicino all'orecchio dell'altro e sussurrò: «Vuoi sentire che effetto mi fa il tuo culo?»

«Sì, ti prego.» e sembrò davvero una preghiera, sottomessa, roca, uscita con dolore dalla sua gola secca. Jimin si sentì davanti ad un miracolo, pieno di grazia e assoluta fede. «Voglio sentirlo». Ed entrambi sapevano di cosa stessero parlando.

Jungkook portò la mano dal gluteo al suo fianco, si avvicinò ancora e interruppe le distanze, poggiando l'erezione sul suo sedere. «Ecco, lo senti?». Jimin si rese conto che mai da quanto lo aveva conosciuto lo aveva visto eccitato, perché senza mutande altrimenti sarebbe stato fin troppo visibile, date le dimensioni.

Jungkook si attaccò al corpo dell'altro, lo tenne per i fianchi e cominciò a strusciarsi su di lui, tra le sue natiche, lentamente, a fondo, come se già pensasse di essere dentro di lui. Pelle separata solo dal tessuto dei pantaloni della tuta e da uno spacco sottile delle mutande invisibili di Jimin, ora con il volto affondato nel cuscino, la bocca aperta per respirare a fondo, gli occhi chiusi nel godersi semplicemente tutta l'eroticità del possente ragazzo dentro di lui. Voleva che lo prendesse, che lo facesse suo subito, con forza, con quelle braccia tatuate, che lo mordesse con quelle mascelle dure, che le sue mani mascoline lo trattenessero con forza.

Le labbra di Jungkook gli sfiorarono il lobo: «Non mi hai risposto, Jimin». L'altro continuò a non farlo, continuò a respirare in affanno, andando a fuoco. «Lo senti? Lo senti che effetto mi fai?». Jimin si chiese se, semplicemente, non fosse un sogno erotico e se, in realtà, non stesse dormendo accanto a Chaeyoung. Si disse di non dire mai il suo nome a voce alta, così da evitare di farlo anche fuori dal sogno, sempre che lo fosse e non fosse semplicemente il suo giorno fortunato. «Cazzo, potrei venire solo strusciandomi sul tuo culo».

«No, ti prego». Gli venne spontaneo rispondere, lasciando intendere che volesse altro, che volesse di più.

«Non vuoi?» Jungkook gli ridacchiò all'orecchio «E se nel frattempo facessi così?» la sua mano si spostò dal fianco all'erezione nascosta dalle mutande. Il palmo di Jungkook cominciò a strusciarsi sulla sua lunghezza, cominciò a toccarlo sopra il tessuto: «Non vorresti se facessi così?»

Jimin sarebbe venuto anche solo guardandolo farsi la doccia, quello era il problema. «Oppure puoi scoparmi e basta». Ma preferiva un bel rapporto completo, già che c'era.

Jungkook non sembrò proprio d'accordo: «Ma se ci venissimo nei vestiti non sarebbe terribilmente più erotico?»

«Cos'è un fetish particolare?» girò il volto completamente in estasi dalla goduria, guardando per la prima volta – finalmente – lo sguardo dipinto di rosso dell'altro, nell'oscurità. «Se mi venissi dentro penso sarebbe ancora più erotico, sai?»

«Non sono d'accordo.» Jungkook sorrise malizioso, assottigliò gli occhi e cominciò a toccarlo velocemente, sempre da sopra le mutande. Jimin si mise il cuore in pace, lasciò perdere i tentativi di convincimento e diede per perse le sue povere mutande, immaginandosele già piene di sperma lì a poco. La bocca di Jungkook smise di muoversi per parlare e si poggiò al suo collo: cominciò a leccarlo, a morderlo, a succhiare e a leccarlo di nuovo, mentre si strusciava su di lui da dietro e lo toccava con foga. Jimin sollevò la testa e abbassò la spalla, lasciandogli più spazio, godendosi delle cure dell'altro senza dover fare nulla; si lasciò andare completamente, ai brividi lungo la schiena, al calore che provava, all'eccitazione.

Il più grande si staccò da lui all'improvviso, ma Jimin non fece neanche in tempo a girarsi per capire cosa stesse succedendo: la mano di Jungkook lo prese per la spalla e lo fece sdraiare, facendogli aderire la schiena sul materasso. Il ragazzo possente gli prese le gambe, gliele divaricò e si mise sopra di lui. Jungkook continuò a strusciarsi, ma questa volta facendo incontrare le loro erezioni separate dai vestiti; teneva le braccia teste, il busto sollevato e Jimin poté godere della visuale dal basso della sua stazza, dei suoi pettorali, delle spalle, del tatuaggio che non aveva mai visto sulle sue costole.

Il ventitreenne sollevò le gambe, le divaricò ancora di più, cominciò a muoversi sotto l'altro, insieme, quando l'erezione di Jungkook veniva spostata verso l'altro Jimin scendeva, e viceversa, così da farle strusciare tra di loro ancor più forte.

«Sicuro che non vuoi scopare?» chiese Jimin, un'ultima volta, giusto per assicurarsene.

«Sicuro.» Jungkook rispose veloce, senza voce, completamente eccitato, mentre guardava i loro bacini muoversi. «Voglio solo sborrarmi nei pantaloni per te». Jimin lo prese come un complimento e lasciò perdere di nuovo, portò le mani al suo petto, lo accarezzò, lo graffiò appena, poi si appese alle sue spalle.

I loro corpi si muovevano lentamente, come in una danza, Jungkook affondava su di lui e si risollevava, era un'onda di erotismo che si infrangeva sul corpo di Jimin. Le loro erezioni coperte erano dure, sfregavano tra di loro, eccitate, incontrandosi e scontrandosi con foga.

Jungkook cominciò ad ansimare con voce roca e Jimin sentì di avvicinarsi al paradiso nel guardarlo: un fascio di muscoli, sudore, la bocca aperta e la fronte crucciata in quel che stava per diventare un orgasmo; le braccia tese, i nervi del collo in tensione, i suoi movimenti verso il basso, l'erezione ben visibile sotto i pantaloni. Voleva venire insieme a lui, ma sapeva di essere un po' più lontano da quel momento.

«Ti prego, almeno le dita.» lo avrebbe scongiurato, se fosse servito.

Ma non servì: Jungkook tolse una mano dal materasso, la avvicinò alle labbra e si infilò in bocca indice e medio; leccò le dita a fondo, con foga, con eccitazione, e quando furono abbastanza bagnate le portò sui glutei dell'altro. Cercò per poco, trovò l'ingresso e le infilò piano, a tempo dei suoi affondi.

Jimin buttò indietro la testa, decisamente più appagato; sentì il corpo vibrare, sentì solo piacere, ogni volta che arrivava fino in fondo e colpiva il punto che tanto gli dava piacere sentiva girargli la testa, un piacere incommensurabile. Avrebbe davvero voluto sentirlo dentro di lui, ma non se ne preoccupò più. Lasciò che ogni parte della pelle bruciasse, che gli ansimi di Jungkook arrivassero alle sue orecchie come una canzone eccitante, che le sue dita gli dessero piacere insieme allo strusciare della sua erezione sulla propria.

Jimin cominciò ad ansimare con foga, prese con forza gli avambracci tatuati del maggiore, lasciò che l'altro si occupasse dei suoi bisogni. Il piacere cresceva ogni istante, ogni affondo, ogni movimento delle dita dentro il suo corpo, finché sentì di arrivare.

«Continua, cazzo, sì sto per venire.» sembrò di nuovo pregarlo, sembrò un fedele della nuova religione che aveva scoperto: Jungkook. E il suo nuovo Dio continuò, andò più forte, ansimò con più foga, spinse le dita più in fondo e si abbassò sul corpo dell'altro. La bocca di Jeon Jungkook ritrovò il collo salato del ventitreenne, lo leccarono in un mugugno di piacere.

Tutto si fece più veloce, verso il culmine del piacere, urlarono totalmente appagati, arcuando la schiena e separandosi di nuovo. Si fermarono entrambi, all'improvviso, boccheggiando in un orgasmo divino, mentre il seme della loro perversione notturna non sporcò le loro vesti.

Jungkook estrasse le dita e si buttò al suo fianco.

Rimasero a respirare in affanno, in silenzio, per parecchi minuti, riprendendosi dalla foga e facendo passare il momento.

Jimin sospirò: «Mi sento appiccicoso».

«Già.» rispose Jungkook, sorridendo. «È figo, no?»

Jimin non rispose. Osservò il soffitto per un po' poi chiese: «Ma ti piace pure scopare o...?»

«Mah, dipende dal mood».

«Ah». Rimasero in silenzio ancora qualche istante. «Ma se ogni tanto scopassimo ti andrebbe o...?»

«Se nel frattempo piango va bene?»

«Vado a lavarmi, va».

Jimin si ripromise di non entrare mai più nel letto di Jeon Jungkook.

Due settimane dopo si ritrovò a novanta con Jeon Jungkook che piangeva disperatamente dietro e dentro di lui.

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