Prologo


Il vento soffiava leggero tra i fili d'erba alta e portava con sé il profumo dell'estate che ormai era alle porte. La valle risuonava dei canti dei pettirossi e dei cardellini che se ne stavano appollaiati sui ciliegi in fiore e zampettavano lieti sui rami robusti. Qua e là si riuscivano a distinguere nitidamente le querce maestose che dominavano da secoli la Valle degli Elfi, abitata da creature in armonia con la natura fin dai tempi più remoti.

All'improvviso, un lampo di colore spezzò la perfezione del verde incontaminato che sarebbe stato in grado di riempire gli occhi a un qualunque osservatore fosse passato di lì. Rosso fuoco su verde foglia, un netto contrasto. Il lampo non si fermava, anzi, continuava a schizzare da una parte all'altra della valle, come impazzito. Ad un tratto si fermò all'ombra di un enorme olmo ma, non contento, saltò e si avvinghiò al tronco rugoso dell'albero, per poi arrampicarsi con grazia felina fino al più alto ramo. Da lì era possibile dominare tutta la vallata. Si guardò intorno come per cercare qualcosa e , all'improvviso, trasse una freccia dalla faretra, la incoccò sull'arco e scagliò il suo dardo letale. Un istante dopo ai piedi dell'olmo cadde un uccello, trafitto mortalmente. Scese allora dell'albero e raccolse con rispetto l'animale morto. Tolse dolcemente la freccia dalla carcassa, la ripulì con una foglia di tarassaco e la ripose nella faretra. Si inginocchiò poi a terra, appoggiò l'animale sull'erba fresca e incominciò a cantare tristemente, tracciando segni in aria con le mani. Fatto ciò, estrasse dal fodero un coltello affilato e si mise a ripulire l'animale. Con la legna e l'erba secca raccolta lì vicino formò una sorta di piramide.

Guardò il cielo: ormai era quasi il tramonto e stava cominciando a rinfrescare. Tornò a concentrarsi su ciò che stava facendo. «Ardor» sussurrò. E, subito, il mucchietto di sterpaglie che aveva accatastato prese fuoco. Prese un rametto sottile, ancora verde, e, con il coltello usato per scuoiare l'uccello, lo scortecciò per bene fino a renderlo ben liscio. Infilò la carne sul rametto e la avvicinò al fuoco per poterla cucinare a dovere. Piano piano, il grasso dell'animale stava colando sulle fiamme, tanto da sfrigolare ogni volta che ne colpiva una. L'odore aveva attirato animali selvatici, che da una distanza di sicurezza osservavano la scena con l'acquolina in bocca.

Quando la cena fu accettabilmente cotta, cominciò a mangiare. Nel frattempo, si era fatta notte e le costellazioni dell'Orsa Maggiore e del Cigno erano brillanti più che mai. Volse lo sguardo al cielo stellato, che considerava una delle cosa più affascinanti della natura, e pensò che tutto sommato poteva ritenersi felice anche solo osservando la volta celeste. Finì la cena e si alzò. Coprì le ultime braci rimaste con della terra e, dopo aver controllato che tutto fosse a posto, si avviò verso la città.

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