18 ~ De Continentis Fundatione

Sophos appoggiò il libro sul tavolo sollevando una nuvola di polvere e si sedette a uno degli sgabelli in legno.
Il grosso tomo aveva una copertina azzurra molto spessa, che al tatto risultava liscia. Era decorata finemente da fili intricati che la percorrevano in ogni suo centimetro e richiamavano l'immagine di una folta foresta. Piccoli animaletti d'avorio erano inseriti nella pelle di cui era fatta la copertina e sul dorso, scritto con estrema cura, c'era il titolo: "De Continentis fundatione".
Il saggio aprì delicatamente il libro, facendo frusciare le pagine ingiallite dal tempo. Accarezzò le pagine di pergamena, sorprendentemente lisce, e cominciò a leggere ad alta voce il frontespizio.
«Che questo giorno possa segnare l'inizio di una lunga stirpe di eroi e di un Continente fondato sull'armonia e sulla cooperazione tra popoli. Ci impegnamo affinché le razze possano convivere e preservare la bellezza di questa terra. Ad maiora» lesse il vecchio. Sotto, in bella grafia, c'erano le firme dei quattro fondatori, quelli che dai posteri vennero chiamati Antichi: Takum, Coel, Ludow e Synth. Quattro giovani elfi che, con pochissimi mezzi, erano riusciti a raggiungere una nuova terra e a formare quello che poi era diventato il Continente. Erano partiti da Fartiah, un'isola vulcanica prossima alla sua fine, con una piccola barca a vela e delle scorte di cibo molto limitate. Dopo circa trenta giorni di navigazione, quando ormai le vivande si stavano esaurendo e loro stavano esaurendo le forze, avevano avvistato le prime scogliere della nuova terra.
Avevano pianto di gioia nel vedere in lontananza il profilo dell'enorme isola e si erano messi a gridare a pieni polmoni tutta la loro felicità.
Erano riusciti nell'ardua impresa di trovare un'isola dove potersi stabilire e ricominciare da capo la propria vita, lasciando da parte il proprio passato. A Fartiah, infatti, era scoppiato il finimondo: il vulcano su cui si era insediato il popolo elfico si era ribellato alla corruzione che nel corso dei secoli si era fatta strada tra tutti gli abitanti e vi aveva posto rimedio a modo suo.
A Fartiah era ormai diventato uso comune vendere i propri figli come schiavi, ridurre le proprie mogli a meretrici e compiere atti ignobili in nome del denaro. Persino le isole vicine si erano rifiutate di commerciare con quei barbari.
Una tremenda eruzione aveva sommerso ogni angolo dell'isola, aveva gettato lapilli infuocati su ogni lembo di terra e aveva cancellato in poco tempo migliaia di anni di evoluzione. Non c'era più nulla. Tutti erano morti, tranne i quattro giovani che erano giunti nel Continente. Essi sapevano cosa sarebbe successo, sapevano che tutto sarebbe andato perduto. Conoscevano numerose leggende che ricordavano di come, già una volta, in tempi remotissimi, il vulcano avesse posto rimedio alla depravazione degli elfi. Si erano perciò adoperati per salvare più gente possibile e avevano tenuto numerosi comizi per mettere in guardia la popolazione. Ma niente. Nessuno voleva credere a sciocche superstizioni riportate in vita da ragazzi ancora più sciocchi. Nessuno voleva lasciare quella ricca isola per delle stupide leggende. Nessuno.

A malincuore dovettero abbandonare Fartiah e lasciare gli altri al loro destino. Presero la barca di Synth, l'unica ragazza del gruppo, e la rifornirono con quante più vettovaglie poterono. Fu un'impresa difficile​ poiché tutti coloro che vendevano cibo, sapendo che i quattro volevano partire di tutta fretta, avidi come non mai specularono su questo fatto e fecero pagare loro prezzi esorbitanti.
Nonostante ciò, in pochi giorni, l'imbarcazione fu dichiarata idonea a prendere il largo. Senza più ripensamenti, i giovani elfi salirono a bordo e spiegarono la vele. Non appena la barchetta si allontanò di qualche miglio dall'isola, si sentirono le prime esplosioni. Il vulcano stava già iniziando la sua opera di distruzione.
Un'enorme boato scosse terra, acqua e cielo.
Una nube di cenere e polvere si sollevò in aria e oscurò il sole, mentre folti stormi di uccelli fuggivano dall'isola gracchiando. Con uno scoppio improvviso iniziarono le prime colate laviche, che distrussero qualsiasi cosa si trovasse sul loro cammino. Da lontano, Fartiah sembrava quasi un ferro incandescente immerso nell'acqua per essere raffreddato. L'isola infatti era ricoperta da pietra fusa ed emanava sbuffi di vapore e cenere che contribuivano a rendere l'aria soffocante. Poco dopo, un'altra eruzione di inaudita violenza colpì di nuovo Fartiah, ma questa volta portò la distruzione anche nelle isole vicine.

Nel giro di pochi minuti, quando i quattro elfi ormai si erano allontanati abbastanza da quell'apocalisse, il vulcano cessò di eruttare materiali incandescenti. Ma era troppo tardi perché qualcosa si potesse salvare: ogni città, villaggio, casa, elfo, animale delle isole era stato ricoperto dalla lava e dalle ceneri roventi. Tutto era silenzioso.
Da lontano, i fuggitivi potevano osservare gli ultimi granelli di polvere fluttuare nell'aria satura e soffocante, granelli che volteggiavano e si depositavano su terra e mare. Diedero un'ultima occhiata nostalgica alla loro terra natìa e poi, senza troppi rimpianti, le voltarono per sempre le spalle. Non avrebbero più rivisto Fartiah.

«Ma nonno» chiese Ardith, stupita «Davvero nessuno aveva creduto a ciò che dicevano?».
«Sì, ma la maggior parte di coloro che li avrebbero seguiti erano bambini e i genitori mai e poi mai li avrebbero lasciati andare» rispose lui «E molti altri comunque non trovarono il coraggio di partire e lasciare l'isola. Dopotutto avrebbero dovuto affrontare un viaggio verso l'ignoto, dato che non avrebbero potuto contare sul sostegno delle isole vicine poiché i loro abitanti odiavano profondamente quelli di Fartiah. Li avrebbero sicuramente lapidati».
Ardith rimase in silenzio per qualche secondo, fissando gli occhi stanchi del vecchio.
«E poi cos'è successo? Come sono arrivati qua?» continuò lei, curiosa come sempre.
«A giudicare dal tuo stomaco che brontola, direi che è meglio se continuiamo dopo cena» rispose Sophos ridendo «Forza, torniamo su!».
Detto questo si alzò dallo sgabello e si avviò verso la scalinata. Ardith non poté far altro che seguire il nonno e rallegrarsi del fatto che lui fosse, nonostante l'età avanzata, ancora arzillo. Egli era tutta la sua famiglia e non avrebbe mai potuto fare a meno di lui. Salirono gli ultimi, faticosi scalini e richiusero dietro di sé la botola.

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Carissimi, sono tornata (solo per oggi) !
Era da un sacco che non pubblicavo, ma chiaramente la maturità mi tiene molto impegnata -.-
Gli scritti fortunatamente sono andati bene e ora mi aspetta l'orale, che per mia grande gioia sarà l'11 luglio. E perciò è probabile che prima di quella data io non pubblicherò altri capitoli. Vabbé, portate pazienza e "godetevi" questo capitolo bonus, diciamo così.
Ci si vede...

...prima o poi

P.S. Sto studiando Plinio il Giovane e sì, è normale che mi abbia influenzata, anche inconsciamente, nella stesura del capitolo

~Elisa~

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