15 ~ Moyris

Dopo un giorno di cammino, i due balordi erano arrivati a Moyris, non molto distante da Fandor. La forte pioggia li aveva costretti a trovare un riparo al più presto e perciò avevano deciso di fare una leggera deviazione e raggiungere la città più vicina.
Entrati di corsa all'interno delle antiche mura di Moyris, avevano cercato ospitalità in una locanda qualsiasi lì nella zona, ma tutte sembravano piene di elfi e stranieri.
Fortunatamente però, erano riusciti a trovare una bettola quasi senza clienti dalla parte opposta della città. L'insegna in legno del locale, malmessa, ondeggiava alle sferzate del vento e il suo sostegno in ferro cigolava fastidiosamente.

I due spinsero con forza la porta ed entrarono immediatamente, richiudendosela alle spalle con un tonfo.
I loro mantelli fradici facevano gocciolare acqua e stavano bagnando tutto il pavimento di assi, provocando l'ira dell'oste, un orco dallo spiccato accento delle Terre dell'Ovest.
«La mamma non ha insegnato niente a voi luridoni?» urlò in loro direzione l'oste, continuando a sfregare violentemente un panno sul bancone lercio di chissà quali schifezze «Mi state insozzando il locale!».
Lo zoppo si nascose impaurito dietro al capo, che alzò gli occhi al cielo per la seccatura.
«Perdonaci, siamo stati costretti qua dentro dalla tempesta» disse, stringendo i pugni e cercando di astenersi dal picchiare l'orco «Appena smetterà, ce ne andremo».
«Bah» rispose l'orco, scocciato dagli avventori «Basta che paghiate».
Il capo frugò nelle ampie tasche del mantello ed estrasse un sacchetto, che lanciò sul bancone. Il tintinnare dei curuk al suo interno fece voltare tutti i clienti.
L'oste sgranò gli occhi e aprì l'involucro con mani tremanti, rimanendo ancora di più stupefatto.
«Accomodatevi pure» balbettò l'orco imbarazzato, accompagnando i due compari a uno dei tavoli liberi «Vi porto la specialità della casa: ne rimarrete entusiasti».

I due lo seguirono e si lasciarono cadere su una delle grezze sedie del locale. Gli altri clienti li osservavano con curiosità.
«Beh? Che avete da guardare?» sbottò il capo, facendo chinare la testa a tutti «Fatevi gli affari vostri!».
«Aspettate qua» disse l'orco, servizievole, cercando di lisciare i due stranieri.
Il capo annuì e così fece anche lo zoppo.
L'oste si avviò verso il bancone, ma si bloccò improvvisamente e ritornò sui suoi passi.
«Dimenticavo, come posso chiamarvi? Ci tengo ai miei ospiti» chiese con finto interesse.
Dal fondo della locanda si udì un colpo di tosse.
L'orco si voltò di scatto, ma non riuscì a capire chi fosse stato.
«Quindi, signori?» insistette, mostrando un sorriso di denti praticamente marci che fece rabbrividire lo zoppo.
«Chiamami pure Serk, lui è Darfit» rispose il capo, impassibile alle moine del viscido oste.
L'orco si inchinò platealmente e andò rapido verso il bancone, tornando poco dopo con due boccali pieni fino all'orlo di un liquido dorato e un piatto pieno di carne al sangue.
«Spero sia di vostro gradimento» esclamò lui, cercando in tutti i modi di ingraziarsi i due.

Serk non disse niente e si limitò a un cenno con il capo, che fece indispettire il locandiere. Questi se ne andò a raccattare i piatti degli altri clienti, che protestarono animatamente in quanto molti di loro non avevano ancora finito di mangiare.
«Cos'è questo schifo?» osò dire Darfit, dopo molto tempo che non proferiva parola.
«Mangia e taci» rispose il compare, spingendo verso l'altro il piatto di carne sanguinolenta «Io non ho fame».

Tutto a un tratto si sentì un tonfo alla porta della bettola, che si spalancò di colpo facendo entrare acqua a secchiate.
Nella penombra della locanda, si riusciva a distinguere una figura a cavallo che stava ritta sulla soglia.
«In nome di Sua Maestà» disse imperioso il cavaliere «Consegnatemi il fuggiasco!».
L'orco uscì rapidamente dalle cucine e chiese, molto turbato «Che succede?».
«Un elfo è scappato dalle prigioni di Fandor. Si è macchiato dei più atroci delitti ed è un pericolo per tutti» rispose solenne quello a cavallo.
«Sono desolato» disse l'oste, gettando un'occhiata ai due stranieri «Qua non c'è alcun fuggiasco, conosco i miei clienti uno a uno».
Il cavaliere sbuffò e proclamò «Voglio fidarmi, ma se mai scoprirò che lei ha nascosto l'evaso, beh, subirà l'ira di Neferius. Questo è quanto». L'elfo uscì dalla locanda e si allontanò nella tempesta, sconcertando tutti i presenti.

Serk e Darfit si guardarono, preoccupati, decisi a scoprire cosa fosse esattamente successo. Il nome dell'Oscuro li aveva messi in allarme.
«Oste, abbiamo bisogno di una stanza per la notte» disse Serk deciso «Si è fatto tardi e abbiamo bisogno dormire molte ore».
«Sì certo, seguitemi» rispose l'orco, ancora non ripresosi dall'accaduto.
I tre salirono le scale scricchiolanti che conducevano alle stanze in affitto. Le stanze erano piccole e avevano due o tre materassi di piume ciascuna. Le assi del pavimento erano incrinate o rotte e spuntavano in più punti.
Per l'illuminazione c'era un'unica candela, ormai consumata dagli ospiti precedenti.
«Buon riposo» disse l'oste, congedandosi dai due e scendendo le scale.

Serk si gettò a sedere su un giaciglio e si levò il mantello, che era ancora un po' umido. Nella locanda faceva freddo, per cui aveva preferito tenere addosso gli indumenti bagnati. Ma al primo piano la temperatura era più alta e si poteva stare benissimo senza mantello. Si tolse anche la casacca nera che portava, mostrando le cicatrici sulla sua schiena dovute alle punizioni corporali inflittegli fin da quando era piccolo. Si distese con le braccia dietro la testa e cercò di rilassarsi, tentando di non pensare alle pulci che infestavano il saccone su cui avrebbe dormito. Darfit invece si coricò vestito, con il viso rivolto verso la parete, e cominciò a rigirarsi nervosamente a causa degli insetti pruriginosi.
«Notte, zoppo» disse Serk, guardando il soffitto.

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