14 ~ Transfert
Il sole ormai era alto nel cielo quando Ardith si riscosse dal breve sonno in cui era caduta. Di malavoglia si alzò dal giaciglio per prepararsi qualcosa da mangiare.
Vide che su una mensola c'era ancora la pagnotta che aveva acquistato al mercato per pochi curuk. Ardith si alzò in punta di piedi e afferrò il pane, appoggiandolo poi sul tavolo d'ebano. Si guardò in giro, ma oltre a un uovo di gallina elfica non c'era nulla che fosse commestibile. Sospirò, perché le sarebbe toccato uscire di casa. Prese una tunica azzurra dalla cesta dei vestiti puliti e la indossò rapidamente. Afferrò la faretra e uscì di casa.
La luce accecò per qualche istante l'elfa, che si coprì gli occhi con la mano libera. Doveva essere ora di pranzo, a giudicare dall'intensità della luce. Sistemò la faretra a tracolla e cominciò a camminare guardandosi intorno.
Non molto lontano, in una radura erbosa, scorse delle piccole piante che potevano fare al caso suo. Gli elfi di Akraholt le chiamavano vidisons, ma il nome variava da città a città. Si avvicinò alle pianticelle commestibili e cominciò a raccoglierle, staccando delicatamente i gambi verdi. I vidisons erano molto sottili e finivano con una punta un po' più spessa e corposa. Ardith ne raccolse un bel mazzetto e, quando le sembrò di averne abbastanza, si avviò per ritornare a casa.
Quando arrivò alla quercia, raccolse da terra dei rametti secchi che le sarebbero serviti per avviare il fuoco. Entrò nell'albero cavo e appoggiò sul tavolo le erbette appena raccolte. Da un gancio appeso all'interno della quercia trasse una pentola in rame e la appoggiò sulla lastra in pietra che serviva per riscaldare i cibi. Mise i legnetti nella cavità in ferro battuto che si trovava sotto alla piastra e disse «Ardor». I legnetti presero immediatamente fuoco e l'elfa gettò tra le fiamme pezzi di legno più grossi.
Quando fu soddisfatta del calore emanato dalla pietra, prese del grasso di capra da una scatolina di metallo e lo gettò nella pentola insieme ai vidisons e a qualche ciuffo di erba cipollina, che aveva trovato vicino a casa.
Prese un mestolo di legno e cominciò a mescolare, fino a quando le erbette non si ammorbidirono per bene.
A quel punto, prese una ciotola e spaccò il guscio dell'unico uovo che aveva, versandone il contenuto nella ciotola. Sbatté tuorlo e albume e, quando il composto le sembrò abbastanza omogeneo, lo versò nella pentola. In pochi minuti, l'uovo arrivò a cottura ottimale e Ardith spense il fuoco.
«Exstinguo flammas» aveva sussurrato.
Rovesciò quindi la frittata su un piatto d'argilla e mangiò avidamente.
Finito il pranzo, riempì la pentola con l'acqua del catino d'argento e mise al suo interno il piatto sporco, appoggiando poi il tutto sopra alla piastra.
Raccolse da terra una cintura in pelle marrone che tempo prima lei stessa aveva fatto e se la strinse in vita, facendo arricciare la tunica azzurra. La cintura aveva il fodero per un coltello, per cui Ardith prese il suo preferito da una mensola e lo infilò nella custodia.
Controllò che tutto fosse a posto e, prima di uscire e dirigersi verso la casa del Grande Saggio per l'addestramento, prese con sé anche la sua inseparabile faretra.
Dopo circa trenta minuti di cammino, l'elfa giunse all'uscio della casa del nonno e lo chiamò a gran voce. Solo dopo qualche secondo il vecchio diede segno di essere presente.
«Ardith, sono qua dietro!» gridò lui in risposta.
L'elfa seguì la voce dell'anziano e lo trovò seduto su un ceppo di legno.
«Nonno, che fai?» chiese lei, incuriosita.
«Stavo meditando, nipote» rispose «Ero molto concentrato. Comunque, siediti anche tu». Così dicendo, le indicò l'altro ceppo di legno affinché si sedesse.
Ardith obbedì, ma un po' titubante chiese «E il mio addestramento?».
Sophos si alzò e disse «Il tuo addestramento inizia ora. Ti insegnerò a controllare la tua mente e solo così potrai avere il pieno controllo del tuo potere di Prescelta. Sarà molto dura, ma ne varrà la pena».
«Va bene...» disse lei, non molto convinta «Cosa devo fare?».
«Per prima cosa» disse il vecchio «Mettiti in una posizione comoda e fai in modo di liberare la tua mente».
Ardith slegò la cintura che portava alla vita e gettò a terra la faretra. Poi si sistemò, facendo frusciare più volte la stoffa della tunica e chiudendo gli occhi.
«Vedo che hai capito» disse Sophos, sorridente «Ecco, adesso cerca di diventare una formica. Abbandonati alla natura, fatti cullare dal vento e dai suoni degli animali. Rilassati, fondi i tuoi pensieri con quelli di una formica e vedrai che riuscirai a comprendere la tua piccola amica e a comunicare con lei. Piano piano, riuscirai a fare lo stesso con tutti gli altri animali e ti sentirai pienamente appagata. Lasciati trasportare e tutto sarà più facile».
Detto ciò, il vecchiò si allontanò in silenzio, lasciando Ardith da sola.
Il sole tiepido le scaldava la pelle e l'elfa si beava di quel contatto. Il vento, che prometteva pioggia, le muoveva i capelli castani, che ondeggiavano leggeri come farfalle. Il legno sotto di lei le pareva scomodissimo e Ardith continuava a muoversi in cerca di una posizione migliore.
Scosse la testa. Si stava sconcentrando e stava focalizzando l'attenzione su un elemento non importante.
Riaprì per un istante gli occhi e vide a due passi da lei che una formica si stava inerpicando su per lo stelo di una margherita. Tornò a concentrarsi sull'insetto e richiuse gli occhi. Immaginò di essere lei, di essere una formichina tutta intenta ad arrampicarsi su per il gambo di un fiore.
Poco a poco, cominciò a fondere e a confondera la propria coscienza con quella della formica, tanto da non sapere più chi fosse realmente.
Vide davanti a sé uno stelo verde lunghissimo. Stava facendo molta fatica a salire, ma doveva salire per poter vedere meglio la zona dall'alto. Era esausta, ma doveva andare avanti. Una zampetta dopo l'altra, continuava a salire sul gambo che cominciava a piegarsi.
Toc. Una goccia per poco non l'aveva colpita. Toc. Una goccia cadde di nuovo. Toc. Ora le gocce si facevano più frequenti e lei doveva trovare un riparo. Arrivò in fretta al di sotto dei petali della margherita, che le fornirono un rifugio provvisorio.
Ardith ritornò in sé e abbandonò la coscienza della formica, ma rimase in uno stato di trance che continuava a persistere. Le gocce cadevano sempre più fitte e diedero vita a un tremendo acquazzone di fine primavera. L'elfa rimase lì, con gli occhi chiusi, estasiata dalla sensazione di essere un tutt'uno con gli elementi naturali. L'acqua cadeva a rivoli lungo il suo corpo tonico e scendeva con impeto fino a toccare il suolo. I capelli erano fradici, così come la tunica, che era ormai aderente alla pelle della giovane. Il freddo le penetrava fin nelle ossa e la faceva rabbrividire.
Nonostante ciò, sotto quella pioggia incessante, sorrise.
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