13 ~ Addestramento

Un fischio prolungato svegliò Ardith. Aprì lentamente gli occhi e aspettò qualche secondo prima che questi riuscissero a mettere bene a fuoco. Nel sonno si era rotolata così tante volte che era finita nel punto in cui avrebbe dovuto essere Euthalia. Ma lei non c'era.
«Nonno» biascicò, ancora parzialmente intontita dal sonno «Dov'è la mia amica?».
Sophos, trafficando con il vecchio bollitore per l'acqua che stava ancora fischiando, si voltò verso di lei e la guardò.
«Buongiorno dormigliona» disse raggiante «Quella carissima ragazza si è svegliata parecchio tempo fa ed è andata da un certo Zauin».
«Zahir» brontolò l'elfa, tentando goffamente di mettersi in piedi.
«Giusto. Zahir» si corresse l'anziano «Pensa, ti ha anche preparato i biscotti. Prendi esempio da lei. È un'elfa da sposare». Le mostrò con il dito i dolci che l'altra aveva cucinato di prima mattina.

«Sì, certo» sbuffò lei, afferrando una manciata di biscotti e ficcandoseli in bocca.
«Ma Ardith, un po' di contegno!» esclamò l'anziano, indignato.
«Fì, fcusa» si scusò la ragazza, con la bocca piena di biscotti.
Il saggio sospirò, chiedendosi, ormai rassegnato, cosa mai avesse fatto di male per avere una nipote del genere.
«Dai, siediti così possiamo parlare con calma del tuo addestramento» disse, allungando una sedia in direzione della nipote.
«Cosa?!» disse lei d'impeto, rischiando di strozzarsi con i pezzi di biscotti «Quale addestramento?».
«Exstinguo flammas» disse Sophos, con il palmo della mano teso per spegnere il fuoco.
«Comunque» continuò «Devi assolutamente sottoporti a una dura sessione d'allenamento per poter imparare a controllare il potere che deriva dall'amuleto. È molto importante».
Detto ciò, prese una tazza di terracotta, vi gettò dentro alcune foglie e versò l'acqua calda del bollitore, facendo alzare una nuvola di vapore.
«Ecco, bevi» disse «Ti farà bene».

Ardith bevve dalla tazza a piccoli sorsi, nel tentativo di non ustionarsi la lingua come al solito. Di quando in quando, pescava uno dei biscotti fatti da Euthalia e lo inzuppava nella bevanda calda per ammorbidirlo.
Ancora assonnata, si rigirava tra le mani i biscotti e osservava molto interessata le piccole gocce di cioccolata che l'amica aveva messo: le adorava.
«Ehm» si schiarì la voce il nonno, facendola riemergere dai pensieri che frullavano nella sua testa «Posso continuare?».
«Certo, scusami» disse lei «Mi ero distratta un attimo».
«Bene» proseguì il saggio «Dovrai addestrarti al meglio per sfruttare il potere dell'amuleto. Non c'è da scherzare quando si ha a che fare con manufatti di questo tipo. Per questo motivo, la prima parte del tuo addestramento si svolgerà con me, mentre per la seconda parte dovrai recarti a Dumanfios, dal mio amico Dynames».
Ardith sputò la tisana che stava bevendo.
«Cosa?!» esclamò, cercando di asciugare il disastro che aveva combinato «A Dumanfios? Ma è a dieci giorni di cammino da qui! Come farò con te ed Euthalia? Non posso andarmene!».
«Una cosa alla volta» disse Sophos, con la pacatezza che lo caratterizzava «Una cosa alla volta. Prima concentrati su ciò che farai qua e più avanti ti preoccupererai della seconda parte».
L'elfa annuì, ritenendo che il nonno avesse ragione. In primis, avrebbe affrontato l'addestramento con il saggio e solo in seguito sarebbe andata a Dumanfios.
Una cosa alla volta, disse tra sé e sé per convincersi.

«Quando inizia l'addestramento, nonno?» chiese.
«Questo pomeriggio, Ardith. Vai pure a casa, se ne hai bisogno. Ti aspetto qua, subito dopo pranzo» rispose l'anziano.
L'elfa si avvicinò al nonno, gli diede un bacio sulla guancia​ e raccolse le sue cose.
«Grazie» disse sorridendo mentre si avviava verso la porta «A dopo!».
Sophos non rispose, ma le fece un cenno di saluto con la mano. Ardith uscì all'abitazione e chiuse per bene la porta.

Finalmente fuori, pensò, inspirando a fondo. Aveva una forte repulsione per gli spazi chiusi, perché le sembrava quasi di soffocare e di essere in gabbia. All'aria aperta, invece, poteva respirare a pieni polmoni e riusciva a sentirsi viva.
Quella mattina, l'aria era particolarmente fresca e il cielo era parzialmente coperto di nuvole grigie. Ardith sentiva odore di pioggia, perciò si aspettava che da un momento all'altro piovesse.
Si avviò verso casa, camminando silenziosamente sui rametti scricchiolanti e sul terreno umido che affondava a ogni suo passo.
Gli animali della foresta, incuriositi da quella strana figura, uscivano per vedere chi osasse entrare nel loro territorio. Una volpe arrivò fino ai piedi della ragazza, girandole intorno per poterla esaminare. Poi se ne andò. Piccole coccinelle si rincorrevano in volo, danzando con eleganza nell'aria fresca e disegnando traiettorie ingarbugliate.
Un topolino passò di corsa, si fermò un istante e fece vibrare il nasino baffuto. Se ne andò anche lui.

L'elfa camminò per circa mezz'ora e finalmente giunse ad Akraholt. Arrivare in città le faceva sempre un certo effetto e la emozionava molto. Anche ora, Ardith si perse ad osservare ogni dettaglio della sua amata città. Le case avvinghiate agli alberi avevano delle enormi vetrate colorate che rappresentavano tutti gli antichi miti del Continente ed erano decorazioni di gran pregio, realizzate dai mastri vetrai che nella città non mancavano di certo. I ponti sospesi, che collegavano le abitazioni, ondeggiavano lenti e gli elfi che ci camminavano sopra non si preoccupavano delle oscillazioni, anzi, si facevano cullare dolcemente. Il Palazzo, inoltre, arroccato su un'altura ben visibile da lontano, era uno spettacolo che sovrastava la magnificenza di Akraholt. Era infatti costruito con blocchi di marmo bianco, levigato secoli e secoli prima in modo che fosse estremamente lucido. Il risultato era straordinario, poiché nelle giornate di sole l'intero castello brillava quasi di luce propria e rendeva orgogliosi gli abitanti della città. Le torri del Palazzo erano 31, più o meno grandi, in onore degli intrepidi Antichi che per primi avevano messo piede nel Continente. La Torre Maggiore, quella centrale, recava lo stemma della famiglia regnante in quel momento: era uno stendardo di forma rettangolare e vi era disegnata una ginestra su sfondo rosso, simbolo della famiglia Skoupa.
Il Palazzo spiccava su tutte le altre costruzioni, ma non stonava con l'ambiente in cui si trovava.
Le abitazioni che erano state costruite sul terreno, infine, erano molto più spartane di quelle sugli alberi, ma erano belle ugualmente, capanne di legno decorate da bellissime figure intagliate.
La casa di Ardith era quasi un'eccezione. Abitava all'interno di un'imponente quercia che tra i suoi rami nodosi ospitava molti animali selvatici. Era un albero cavo e dal tronco molto ampio, in quanto probabilmente era lì da millenni.

Ormai arrivata davanti a casa, Ardith scostò la pesante tenda che copriva l'ingresso e vi entrò. Appoggiò a terra la faretra. Aveva ancora addosso i vestiti di due giorni prima, per cui si spogliò e gettò gli indumenti sul pavimento. Si infilò sotto le coperte che le pizzicavano la pelle e lì rimase a guardare il soffitto, pensando a ciò che sarebbe successo con il suo addestramento.

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