1 ~ Ardith
Si svegliò di soprassalto. Evidentemente aveva fatto un incubo ma, con stizza, si accorse di non ricordare nulla di quello che aveva appena sognato. Scacciò via dalla sua mente il turbamento che ciò le provocava e si apprestò a iniziare una nuova giornata.
Rassettò per bene il proprio giaciglio di piume soffici e decise di mettere un po' di ordine dato che la sera prima, rientrata molto tardi al suo rifugio nella quercia cava, aveva combinato un disastro. I tomi di magia, solitamente impilati ordinatamente sul terreno, erano tutti sparsi in giro per la stanza, mentre gli spartani vestiti da lei indossati il giorno precedente, rigorosamente rossi, erano buttati alla rinfusa su uno dei ceppi che fungevano da sedia. Le frecce che usava per la caccia, inoltre, erano uscite dalla faretra ed erano finite in ogni angolo nascosto, tanto che fece molta fatica a trovarle tutte.
Riordinato tutto alla bell'e meglio, si diresse verso il catino dell'acqua. Era d'argento e grande all'incirca quanto bastava perché ci si potessero lavare tranquillamente le mani e il volto. Era sostenuto da due radici della quercia, radici che inspiegabilmente erano riuscite a entrare, mistero della natura, all'interno della cavità dell'albero stesso. Si attorcigliavano tra loro e salivano fino all'altezza dell'ombelico di una persona: erano perfette per reggere il catino. L'acqua che lo riempiva proveniva dall'intricato sistema di distribuzione ideato dagli elfi stessi. Bastava tirare una cordicella e l'acqua di sorgente scendeva da una condotta di legno, per poi versarsi dolcemente all'interno del catino argentato.
Prese l'acqua gelida tra le mani e, con un gesto deciso, se la gettò in faccia. Dopo un breve istante di stupore per l'improvvisa sensazione di freddo, si sentì subito risvegliata dal torpore che la avvolgeva ormai dal momento in cui si era alzata.
Si infilò rapidamente i pantaloni, corti fini al ginocchio perché comodi per cacciare, e la casacca di lino, fresca e morbida. Nonostante i suoi indumenti fossero di un rosso molto vivace, colore che generalmente mette in allarme gli animali e li rende più sospettosi, era imbattibile nella caccia. La scelta di vestire di rosso, forse, era diventata una sfida con se stessa, per dimostrare quanto valesse nonostante fattori che, sulla carta, avrebbero potuto farla partire in netto svantaggio.
Raccolse la faretra, che con fatica era riuscita a riempire delle frecce disperse, e si avviò verso l'uscita. Scostò la pesante tenda che la separava dall'esterno e, per un istante, fu abbagliata dal sole che la colpì in pieno viso. Istintivamente si coprì gli occhi. Appena recuperata del tutto la vista, si voltò a sistemare la tenda in modo che potesse coprire bene l'ingresso. Guardò verso l'alto e vide delle ghiandaie tutte indaffarate a imbastire un nido per la nuova covata. Sorrise.
«Ardith!» squillò una voce. Si voltò di scatto e, immediatamente, venne stretta in un abbraccio da una ragazza esile. Aveva i capelli biondi e lunghi che le incorniciavano il volto delizioso e sulla testa portava una coroncina di margherite. Vestiva una semplice tunica bianca che le conferiva un'aria ancora più angelica e, all'altezza della vita, portava una fascia di seta nera, annodata con un fiocco sulla schiena.
«Oh, buongiorno anche a te Euthalia» disse ridendo «da dove viene tutto questo buonumore?».
Con gli occhi che le brillavano dalla gioia, l'angelica ragazza rispose «Ieri sera Zahir è venuto alla mia quercia e mi ha chiesto di andare con lui a passeggiare lungo il Fiume della Saggezza».
«Mmh va bene, e poi?» replicò Ardith, poco convinta dalle parole dell'amica.
«Beh, poi...»arrossì violentemente, si fermò un attimo, riprese fiato e continuò «Ecco, mi ha baciata».
L'altra abbracciò immediatamente Euthalia e disse «Ma è fantastico! Devi dirmi altro?».
La ragazza, ancora imbarazzata dalla rivelazione appena fatta, disse «Mi ha anche detto che è da quando avevamo cinque anni che sognava di baciarmi, ma non l'aveva mai fatto per paura di un mio rifiuto». Ardith fu entusiasta di queste parole e fremeva per sapere altro, ma l'amica di sempre rimase impassibile a ogni suo tentativo di indagine.
«Ehi, ma cos'è quella?» chiese Ardith, puntando un dito in direzione del collo dell'altra.
«Niente!» esclamò con un po' troppa enfasi Euthalia, poi correggendosi e avvampando ancora una volta «In realtà, me l'ha regalata Zahir, come prova del suo amore. L'ha fatta lui stesso».
Ardith prese tra le dita la piccola collana che l'altra portava al collo e la osservò con attenzione. Il pendente era d'argento e raffigurava due rami di ciliegio in fiore, tra di loro intrecciati, racchiusi all'interno di un piccolo cerchio su cui erano incise delle parole quasi illeggibili "Ut tunc te amabam, ita etiam nunc te amo".
Sorrise per il gesto dolce che Zahir aveva fatto per dimostrare il proprio amore.
«È un bravo ragazzo» disse «Spero ti possa rendere felice».
L'altra, incoraggiata delle parole dell'amica, la abbracciò e disse «Come farei senza di te ad ascoltarmi?».
Ardith, senza alcuna punta di ironia, rispose «Questo proprio non lo so, ma so che adesso, a malincuore, devo lasciarti. Il Grande Saggio mi aspetta».
Euthalia chiese «Ma Ardith, perché continui a chiamarlo così? È pur sempre tuo nonno! Poverino!».
E l'altra, ridendo, la salutò, per poi avviarsi con passo spedito in direzione dell'abitazione del Grande Saggio.
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