Episodio 1: Travaglio

Josephine urlava e spingeva da ore al centro della stanza spoglia, mentre le levatrici la incoraggiavano con frasi sommesse, carezze e ogni altra cura possibile. Trasportato da quel fatale e inesauribile dolore, il suo spirito aveva ormai trasceso la dimensione della coscienza. Altro non avvertiva se non il ritmo incessante dei tuoni che squarciavano la notte, sferzando la sua anima dolente come i mille aghi che ogni secondo le trapassavano il ventre.

Urlava, spingeva, respirava. Erano state ore interminabili. Le sue ultime ore. La sua ultima prova d'amore.

Sapeva che non sarebbe sopravvissuta. A dirla tutta, aveva deciso di non sopravvivere. Gli esseri come lei, i warlock, conducevano un'esistenza schiava dell'equilibrio tra ordine e caos. Possedevano un innato potere oscuro, un'inesplicabile magia che si dimenava nelle loro viscere come un fuoco interiore perpetuo, insopportabile per chiunque non nascesse da seme e utero warlock. Per quanto dotati d'incredibili poteri, non potevano consacrarsi né alla vita né alla morte senza perdere del tutto la ragione o venire dilaniati dalla loro stessa forza.

Dopo un'esistenza condotta tra stenti, emarginazione, sanguinose scoperte di distruttivi poteri sovrannaturali, vite stroncate per mancanza di controllo su di essi, vergogne e amenità varie, Josephine aveva infine trovato la pace in due occhi azzurri come il cielo d'estate e in un sorriso serafico che faceva capolino da una folta barba. Perciò, compiendo la sua prima e unica libera scelta, aveva deciso di consacrarsi alla vita, donando la propria a un nuovo essere. Avrebbe anche realizzato il desiderio di suo marito, la sola persona a cui tenesse davvero.

Francis, durante il periodo trascorso insieme nella tenuta di Galcana, le aveva donato redenzione e serenità, le aveva fatto assaporare il gusto dell'esistenza e aveva riempito le sue giornate di gioia. Doveva ricambiare quell'animo così gentile e così avventato, identico al suo, seppur privo della sua dannazione, in qualunque modo conoscesse. Purtroppo, non ne conosceva alcuno che non comportasse morte e distruzione, a parte il sacrificio.

Mentre il bambino cominciava a far capolino tra le gambe divaricate, un tuono squarciò il silenzio della notte, accompagnato dall'urlo lancinante di Josephine: «Balthier! Dove sei?»

Un'altra spinta, un'altra deflagrazione celeste. La porta d'ingresso cominciò a tremare sotto vigorosi colpi d'ascia e la voce profonda di Francis risuonò al di là dell'uscio: «Amore, non farlo! Lascia che muoia!»

Sebbene si fosse ripromessa di nascondere il suo destino al consorte, poco prima dell'inizio del travaglio Josephine aveva ceduto a un sussulto di onestà, oppure al desiderio egoistico di condividere la paura di morire. Fatto sta che aveva rivelato a Francis la terribile verità sulla genesi di un warlock mezzosangue: il potere che sosteneva la loro esistenza era troppo esigente e crudele per lasciar sopravvivere un infante impuro, a meno che esso non acquisisse un supplemento di forza vitale dalla madre, prosciugandola.

Stordito e terrorizzato dalla notizia, Francis aveva reagito rimanendo in silenzio e chinando il capo come al solito, per poi borbottare uno stentato assenso. Josephine era entrata in sala parto augurandosi che, una volta assorbito l'impatto della perdita imminente, la ritrosia inespressa del marito si sarebbe arresa all'immensità del loro amore. Ma fu soltanto l'ultima di un'infinita serie di vane speranze.

La donna strizzò gli occhi e una grossa credenza grattò rumorosamente il pavimento, trascinandosi da sé di fronte all'ingresso.

«Vattene, idiota!» urlò, rabbiosa.

Spinse più forte che mai e invocò la fine di ogni incubo, demone e fantasma. La fine di ogni dolore che aveva inferto e subito. La fine di ogni reminiscenza nel sonno e nella veglia.

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