SETTE

Entrarono in casa e trovarono l'appartamento vuoto, al buio.

-E Florian?- domandò Abel.

-Sarà andato a fare la spesa- borbottò Reik, e il suo tono gli fece temere che il suo compagno non fosse ancora del tutto tornato tranquillo.

Scrollò le spalle, tentando di organizzarsi mentalmente sulle cose da fare.

Mangiare, farsi una doccia, forse dormire. Svegliarsi, andare al lavoro. Gli sembrava di avere troppe cose da fare e troppo poco tempo a disposizione per riuscire a farle tutte.

-Mangiare- Iniziamo da questo.

-Sicuro Florian ha preparato qualcosa prima di uscire-

Abel aggrottò la fronte e si avvicinò all'angolo cucina. Trovò subito un contenitore, pronto per essere riscaldato al microonde, con dentro una zuppa di patate e würstel. Fece una smorfia e mise il contenitore nel microonde. -Stai imparando a conoscerlo meglio di me- si lasciò sfuggire e sedette sul piano da lavoro della cucina.

-Passiamo molto tempo insieme-

-Cos'è, una frecciatina?-

-È la realtà dei fatti. Anche da quando sono tornato al lavoro, comunque i miei ritmi rimangono più umani dei tuoi-

-Divertente- borbottò. Il microonde annunciò con un bip di aver terminato il suo compito.

Gli era già passata la fame.

-Sei geloso?-

Abel si mise il contenitore sulle gambe e accettò la forchetta che gli passò il compagno. Cominciò a mangiare distrattamente, seguito da lui, che rimase in piedi al suo fianco. -Perché mi fai questa domanda?-

-Ogni tanto fai delle osservazioni su me e Florian che mi lasciano un po' di incertezza a riguardo-

Scrollò le spalle. -Sono solo geloso del fatto che non riesco a passare con voi tutto il tempo che vorrei. Sono felice che vi siete innamorati-

Reik gli baciò una guancia e sorrise. -Ogni istante è prezioso, insieme-

Abel fece una smorfia. Non era sicuro che qualche istante fosse sufficiente a tenere viva e salda una relazione. -Vado a farmi una doccia- disse e gli passò il contenitore, tornando a poggiare i piedi sul pavimento.

Reik fece per aprire bocca, ma lui si precipitò in bagno. Non aveva il suo stile, il suo charme, non era bravo a interrompere i discorsi con il suo stesso tocco elegante, e lo sapeva. Chiuse la porta del bagno dietro di sé, facendole produrre un tonfo secco, davvero poco elegante e poco romantico.

Altro che baci in ascensore.

Scosse la testa e si spogliò, entrando subito dentro la cabina della doccia. Maledì l'acqua finché non riuscì a miscelarla con la giusta temperatura. Chiuse gli occhi, chinò il capo in avanti. L'acqua gli riempiva le orecchie e attutiva gli stimoli esterni.

Hauke.

Saul.

Ada.

Gesche.

Geert ed Elsa.

Telsa. Chissà come sta Telsa. Avrà saputo della condanna di Erich. Dovrei chiamarla, chiederle come sta.

Poggiò la fronte contro le mattonelle gelide della doccia. Percepì sulla pelle bagnata un improvviso mutamento termico. Sospirò, mentre sentiva la porta del bagno chiudersi, piano. La cabina della doccia venne aperta, poi chiusa di nuovo. Percepì le sue braccia intorno a sé e fu come se qualcosa gli si spezzasse dentro di colpo: venne sopraffatto da immagini frammentarie, ricordi fugaci e raccapriccianti.

Hauke. Hauke in forma di licantropo che soccombeva alla furia del demone. I suoni. Il sangue. La paura. L'angoscia. Il senso di impotenza.

Saul che si accasciava al suolo e Ada ferma, davanti ai suoi occhi con una pistola in mano.

Si girò nel suo abbracciò e lo strinse forte a sé.

-Mi dispiace- mormorò Reik in suo orecchio.

Si sollevò in punta di piedi e gli strinse il volto tra le mani. Aggredì le sue labbra con un bacio, che subito Reik ricambiò con altrettanta foga e disperazione. Abel si strinse di più a lui, prese ciocche dei suoi capelli tra le mani, lo spinse di più contro di sé, bevve i suoi respiri – che si erano già fatti brevi e caldi – e gli circondò la vita con una gamba, poggiando le spalle contro la parete. Reik lo afferrò per fianchi, gli morse le labbra, il mento, tornò a baciarlo e poi ancora fuggì dalla sua bocca. Gli baciò la fronte, prese il suo volto tra le mani e rimase a fissarlo negli occhi, così vicino che la vista di Abel gli restituì un'immagine sfocata, poco nitida.

Gli diede le spalle e l'acqua colpì la nuca, la parte posteriore del collo, bollente, come bollente percepiva ogni parte del proprio corpo. Il vapore aveva reso l'aria pesante, soffocante. I sensi si erano fatti confusi, come se ogni certezza, sensazione stesse evaporando a sua volta. Reik entrò nel suo corpo e Abel ansimò, reclinò il capo all'indietro, mentre il suo amante giocava con la sua bocca, muovendo le dita dentro e fuori, intorno alle sue labbra, mettendo infine a tacere i suoi gemiti con un bacio.

-Reik- mormorò senza fiato e tornò a poggiare la fronte contro le mattonelle che rivestivano il muro.

Si morse le labbra e soffocò un urlo, mentre il compagno insisteva nel leccarle il punto del suo collo dove ancora spiccava la cicatrice lasciata da Florian.

Il piacere lo colse e lo travolse come un'onda, fu così improvviso che le gambe cedettero, finì in ginocchio sul piatto doccia, con le orecchie e la mente piene della voce di Reik.

Ansimò e tremò, sentendosi ancora confuso, stordito, a causa dei lasciati dell'orgasmo. Tenne gli occhi chiusi e scivolò contro la parete alle sue spalle, sedendo sul piatto doccia. Reik chiuse l'acqua e si rannicchiò al suo fianco. Gli allontanò i capelli dal viso e gli baciò la fronte, di nuovo, e con una dolcezza disarmante.

Abel sorrise triste e poggiò una guancia su una sua spalla, abbracciandolo stretto. Si aggrappò a lui come un naufrago a uno scoglio. -A modo suo, Saul mi ha chiesto scusa. È questa la differenza, credo- mormorò – ed era certo che quella non fosse la frase giusta, la più romantica da rivolgere al proprio amante subito dopo aver fatto sesso.

Reik annuì, strofinando il mento contro il suo capo. -Lo so- disse soltanto e lo sollevò di peso, caricandoselo sulle braccia.

Uscirono dalla doccia e Abel gli fece capire di voler tornare a camminare sulle sue gambe. Quando si trovò con i piedi nudi a contatto con il pavimento, tuttavia ebbe un'incertezza, un tremore improvviso lo scosse da capo a piedi e tornò ad appoggiarsi a lui, a cercare conforto in lui. Reik lo avvolse in un ampio asciugamano e prese a massaggiargli e asciugargli la schiena.

-Mi manca Hauke- mormorò contro la sua pelle umida.

Un soffio leggero che lo riempì di terrore. Non voleva litigare ancora con lui, ma quelle tre parole premevano da settimane sulla punta della sua lingua, gli avevano guastato il sapore, reso amare le battute, confusi i pensieri, agitato il sonno. E forse era proprio a causa dell'eccessiva stanchezza che aveva accumulato che aveva finito per farsele sfuggire in quel momento – anche se era sicuramente il momento sbagliato per dargli fiato. Aveva appena fatto sesso con Reik e lo stava ringraziando per quel piacevole diversivo riempiendolo di frasi fuori luogo.

Sto impazzendo.

-Non devi dimenticarlo. Andare avanti non significa dimenticare- disse Reik, aiutandolo a indossare l'accappatoio, e poi ne prese un altro per sé.

La spugna spessa che rivestì i loro corpi gli fece perdere un po' la sicurezza che aveva acquisito a contatto con la sua pelle. Il contatto diretto con la pelle nuda, nella sua vita, era sempre stato qualcosa di altro rispetto al sesso. Era bisogno, coccola, conforto. Era una delle cose che più gli mancavano da quando aveva smesso di vivere nel Clan, ma sapeva quanto fosse considerato poco normale e morboso quel suo bisogno continuo di contatto fisico. Il sesso aiutava ad attenuarlo. Avere due amanti era un vantaggio, di sicuro. Ma poi c'erano momenti come quello, momenti in cui, appena finiva di fare sesso, sentiva lo stesso che il suo bisogno di contatto fisico non era stato appagato. Se ne era privato per tanto tempo, tentando di passare per un essere umano come gli altri, ma più il tempo passava, più la sua vita si riempiva di incubi, più gli risultava difficile rinunciare a quella parte poco umana di sé. Avrebbe passato ore, giorni, accoccolato accanto al corpo nudo di una persona che amava e di cui si fidava. Ne sentiva il bisogno. Senza sesso, solo coccole. Se ne privava da così tanto tempo da essersi quasi convinto di non averne bisogno, ma poi arrivava il suo inconscio a ricordargli che non era affatto così.

-Voi eravate gelosi di lui- mormorò, frizionandosi i capelli con un telo da bagno, per tenere le mani impegnate e non correre di nuovo in cerca della pelle del suo amante.

-Ne stai facendo una colpa a me e Florian?- e Reik accese il phon e cominciò ad asciugarsi i capelli.

Gli diede le spalle e continuò a guardarlo attraverso lo specchio affisso sopra al lavandino.

Avevano appena litigato e fatto pace e non voleva litigare di nuovo con lui.
Ho davvero sbagliato il momento. -No, non ho detto questo-

-Io penso che tu stia facendo proprio questo: stai cercando un cattivo. Qualcuno con cui prendertela ora e adesso. Perché la giustizia degli umani non ti è bastata. Neanche la condanna di Ada ti è bastata-

-Cosa vorresti dire con questo?-

-Che pure tu come me, come Florian, John, Klein, come chiunque altro come noi, vivi con un piede in due mondi. E anche se non vuoi ammetterlo con te stesso, sei umano solo nel corpo, non nella testa. Adesso vuoi sfogare la tua rabbia con la violenza. Verbale... ma sarebbe persino meglio fisica, l'istinto è quello. È l'istinto delle bestie. Vuoi litigare con me-

-No, non voglio. Abbiamo appena fatto sesso-

-Vero. Ma a te il sesso non basta mai-

-So anch'io che vivo le relazioni in modo morboso-

-Non penso sia questo- disse Reik e spense il phon, glielo passò e tornò a indossare gli occhiali.

Abel cominciò ad asciugarsi i capelli. -Vivo ogni relazione togliendo e togliendomi fino all'ultimo respiro-

-Va bene. A me e a Florian sta bene. Era ad Hauke che non andava bene-

-Infatti ha preferito Geert a me-

-Sì, e ti basta ricordare che noi eravamo gelosi di lui per cercare di darti una spiegazione più accettabile. Eravamo gelosi di lui perché sapevamo quanto amore ci fosse tra di voi, nonostante tutto. Era bestiale e non razionale pure la gelosia mia e di Florian-

-Sarebbe cambiato qualcosa nel tempo?-

-Chi può dirlo. Ma la sua morte ha cambiato tante cose. Tu hai deciso di prenderti le tue responsabilità da Erede del Clan e noi...-

-Avete ripreso a parlare al plurale?- lo interruppe e spense il phon, tornando a fissarlo dritto negli occhi.

Il desiderio di toccare la sua pelle per cercare conforto si era del tutto dissolto. Ma non aveva ricevuto conforto, non abbastanza. Stava diventando egoista? Pretendeva e quando non otteneva faceva finta che tutto andasse bene lo stesso, eppure era quasi certo di stare costruendo uno scudo intorno al proprio cuore e rischiava di porlo pure tra sé e i suoi amanti, esattamente come aveva fatto in passato con Hauke, con Saul, con Gesche, con chiunque. Forse si stava rassegnando a quella forma di solitudine di cui lui stesso era l'artefice. Aveva smesso di dare di sé già da tempo, convinto di non essere mai abbastanza, di non poter essere accettato davvero da chi sosteneva di amarlo.

E forse era geloso pure del rapporto speciale che Reik e Florian erano riusciti a creare, non solo del tempo che riuscivano a passare insieme senza di lui.

Sono geloso del noi che troppo spesso esclude me. Pretendo dimostrazioni d'amore e attenzioni continue, perché non voglio più rischiare di dare amore a chi non è disposto ad amarmi a sua volta e di accettarmi così come sono.

-Ne abbiamo parlato. Quindi so che Florian la pensa come me. La sua morte ha reso il vostro amore immortale. Qualcosa quasi di idilliaco. Non terreno. Con questo non potremo mai competere-

Sospirò, sentendosi ancora più confuso e demoralizzato di com'era stato prima di entrare in doccia. Stavano litigando di nuovo? Idilliaco? Immortale? Non avrebbe più potuto toccare Hauke neanche se lo avesse desiderato con ogni più piccola fibra di sé – tra tutti, Hauke era stato quello che era riuscito ad abbandonarlo davvero, per sempre e irrimediabilmente. -Non voglio che lo facciate-

-Ti resterà dentro in eterno. Non puoi dimenticarlo. È questo che devi accettare per continuare a vivere. Noi lo abbiamo accettato-

-Così come hai perdonato Saul?-

-Abel. Sono due cose diverse. Dacci tempo e datti tempo-

Annuì. Aveva ancora tante cose da dire, tante cose che avrebbe voluto urlargli contro.

Urlare per liberarsi.

Litigare.

Picchiarlo.

Continuare a vivere.

Come?

Sto impazzendo.

Aveva accumulato troppa rabbia, troppa frustrazione. Si sentiva come una bomba in procinto di esplodere, ma anche una bomba dimenticata nel tempo in un punto scognito del terreno, rassegnata a non esplodere più.

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