QUARANTA
Era l'alba. L'aria frizzante strisciava sulla pelle ricoprendola di brividi, aveva il sapore del fiato trattenuto, degli occhi che si muovevano sotto le palpebre, i muscoli che si stiracchiavano, il corpo che si rigirava nel letto implorando altri cinque minuti. Eppure, lì, in fondo al "letto", le piante dei piedi erano già sudate e lasciavano presagire un'altra giornata di fuoco, di caldo, di estate. Estate.
Abel non ricordava di aver mai vissuto un'estate tanto travagliata, ma era pure vero che facilmente dimenticava il peso degli avvenimenti che sconvolgevano la sua vita, lasciandosi alle spalle ricordi poco piacevoli – sicuramente –, ma ormai rassegnato ad affrontare qualcosa sempre di peggio.
In picchiata verso il fondo.
Ed era grottesco avere di quei pensieri già alle prime luci del giorno, con il cielo che gli faceva da coperta, una coperta lattiginosa, rischiarata nel bordo inferiore da lunghi fasci color oro, vibranti di vita, di speranze e aspettative.
La luce nascente del sole accarezzava i palazzi che sorgevano ai lati della strada, abbracciandoli nella parte superiore, rendendo i colori ancora più accesi. Gli piaceva quella zona di Idstein, anche se era particolarmente turistica.
Il suo sguardo venne catturato da tre edifici, gli uni incollati agli altri, tra cui spiccava quello del mezzo, dai muri ocra e le assi di legno di un rosso acceso. Campeggiava, in alto, la scritta Hotel, di un blu intenso, mentre in basso poteva vedere il portone sbarrato, e un cartello affisso sull'anta di sinistra. Non ebbe tempo di leggerne il contenuto, poiché il semaforo scattò con il verde e Roberto riprese a guidare verso il covo.
Distolse l'attenzione dal paesaggio e la concentrò davanti a sé. Riusciva a scorgere di già la via che conduceva fuori dalla città, verso la loro destinazione, e il suo stomaco si contrasse. In bocca il gusto si fece amaro.
Aveva fatto sesso con Lottie. E ne aveva goduto davvero. Forse per via del fatto che non aveva nutrito alcuna aspettativa sulla cosa, nè sul dopo. Era stata una scopata fine a se stessa. Niente sentimenti. Ma il senso di colpa era arrivato inesorabile, lo stesso, a reclamare il conto per le sue azioni.
-Mi stai facendo deprimere- borbottò Roberto, e spinse sulla radice del naso gli occhiali, battendo appena la stessa mano, subito dopo, sul volante.
-Ho sonno-
-Sei spento-
Sbuffò. Non aveva voglia di farsi psicanalizzare da lui all'alba. -Ho fame. Carenza di zuccheri-
Roberto aprì il vano portaoggetti e ne tirò fuori un confezione di plastica contenete un tramezzino, e gliela lanciò addosso. -Mangia-
Abel sollevò un sopracciglio stupito. -Tieni cibo in macchina?-
Lo vide annuire senza distogliere gli occhi dalla strada. -Lì, nel portabagagli, al lavoro, ovunque in camera da letto, al covo. Anch'io, in quanto in parte licantropo, brucio più calorie di un comune essere umano e ho sempre bisogno di cibo-
Perché il cibo umano non soddisfa la tua parte animale come dovrebbe.
-E stai con Telsa che è un pozzo senza fondo più di te-
Rise. -Facciamo solo più cene romantiche rispetto la media-
-Romantiche- ripeté. Aprì il tramezzino. Tonno e maionese. Ne prese un piccolo morso. Sapeva di cartone reso molliccio dall'acqua. -Credo che sia la prima volta che mi fai capire chiaramente che state insieme-
-Non stiamo insieme- puntualizzò Roberto, indicando un punto imprecisato dinanzi a sé. -La amo, ma non stiamo insieme-
Aggrottò la fronte. -Perché no?-
-Perché ufficialmente Valerio non potrebbe mai accettare una mia relazione con qualcuno al di fuori dei Greci. Mi lascia libero di scorrazzare dove voglio, ma anch'io sono già stato promesso a qualcun altro-
Abel rischiò di strozzarsi con un pezzo di tramezzino. Roberto gli passò una bottiglietta d'acqua pescata fuori da chissà dove. Bevve avidamente, percependo il bolo scivolare a fatica dentro la gola. -A chi?-
-Musa, ovviamente. Altrimenti perché l'avrebbe mandata qui?-
Abel si picchiò un pugno sul petto, e con estrema fatica riuscì a deglutire del tutto. -Perché avevamo un patto?- chiese con tono reso pungente dalla sorpresa.
-E mi ha mandato la fidanzata per ricordarmi i miei doveri all'interno dei Greci. Due piccioni con una fava-
-Non vi vedo bene insieme- borbottò imbarazzato, e subito la sua mente corse a Rudi.
-Ovvio anche questo. Lo capisco, sul serio. Visto che la mia fidanzata ufficiale si sbatte tuo fratello-
Abel decise che fosse saggio smettere di mangiare. -Lo sai-
-Tutti sanno tutto, capo. Però si dice solo quello che conviene-
-Non hai intenzione di tornare da tuo fratello- non era una domanda, ma Roberto rispose lo stesso scuotendo la testa.
-Sei tu il mio capoclan-
-Sono umano, non sono all'altezza...-
-Cazzate- lo interruppe e in lontananza iniziarono a scorgere il bosco che delimitava la Brughiera. -Preferisco farmi il culo per proteggere un capo umano, ma servire un capo che mi lascia libero di vivere la mia maledizione eterna come cazzo preferisco-
Gli venne da sorridere, ma si trattenne. Gli accarezzò una coscia e poi ritrasse la mano, facendosi piccolo sul sedile. Sarebbe piaciuto pure a lui non dover più incassare sentenze diversamente piacevoli sul modo in cui decideva di vivere la propria vita. Soprattutto, gli sarebbe piaciuto smettere di giudicarsi in base a ciò che gli altri avrebbero potuto dire su di lui e il suo operato.
Scesero dall'auto e proseguirono tagliando per il bosco. Telsa era rimasta al locale. Chissà se Lottie le dirà qualcosa di quello che è successo. -Ho fatto sesso con Lottie- disse di punto in bianco.
Roberto non tradì la minima emozione e continuò a camminare mantenendo inalterata la propria andatura. -Avete chiuso la porta, ma vi ho sentiti lo stesso-
Avrebbe dovuto immaginarlo. Non provò imbarazzo per la cosa: rientrava tra la normalità della sua quotidianità all'interno del Clan, una di quelle cose che avrebbero potuto apparire come strane, sbagliate per gli esseri umani in generale, ma che lui vedeva come una cosa assai scontata all'interno del suo mondo. Difficile passare defilati a portata del super udito di creature sovrannaturali. -Mi sento in colpa- mormorò e si fermarono davanti l'ingresso del covo.
Non c'era nessuno a sorvegliarlo. Negli ultimi giorni erano riusciti a fare fuggire la maggior parte della sua gente per canali non ufficiali, aiutandoli a raggiungere Valerio e Saul. In realtà, Abel era praticamente rimasto un capoclan senza Clan. E Saul era stato bandito da un Clan di cui deteneva la custodia, lontano dalla sua supervisione. Era certo che molti, nel Clan, erano stati entusiasti per quel nuovo cambio di corona, ma non gli importava granché: l'unica cosa che gli premeva era che tutti fossero al sicuro.
Del trasferimento si erano occupati Else ed Hias, ed entrambi i suoi cugini erano stati gli ultimi a lasciare la Germania, propria la sera precedente, mentre lui si dava alle capriole con Mark. Era riuscito a trovare una distrazione in lui, ma nel distare ormai pochi passi dal covo, all'improvviso, la sua mente si caricò del peso della solitudine, e finì per sentirsi come schiacciato da un enorme macigno.
Erano rimasti i suoi fedelissimi, vero, ma ciò lo faceva sentire ancora più in agitazione all'idea di dover difendere quelle stesse persone senza più poter contare sull'ausilio di un esercito. Soprattutto per via della situazione di tensione che si respirava tra le vie della città.
Dovrei imparare a difendermi e sul serio.
Roberto fece una smorfia e attivò l'ingresso alla struttura. Erano rimasti in una decina di persone. E ancora si nascondevano lì. Sapeva che ciò poteva apparire stupido e irrilevante, ma con tutto quello che stavano vivendo, Abel non riusciva neanche più a tollerare l'idea di continuare a vivere in quella fogna. Non riusciva a sentirsi tranquillo, al sicuro, lì dentro.
Devo trovare una soluzione alternativa.
Sarebbe pure potuto essere più facile trasferire il suo clan, dato che il numero dei membri si era ridotto in modo tanto considerevole.
Percepì la mano di Roberto su una spalla, si scambiarono un breve sguardo e poi l'amico lo lasciò andare. -Ormai è fatta. Probabilmente ne avevi bisogno. Non ti senti più rilassato, adesso?-
-Come no- rispose Abel con tono ironico.
Roberto rise. -Sono sicuro che Reik capirà-
Abel non ne era altrettanto sicuro, ma Roberto aveva centrato il punto.
Si separarono senza più commenti, imboccando due corridoi diversi.
Si fermò davanti la stanza in cui sapeva esserci Reik. Trovò Musa, sonnecchiante e con il volto reso sfatto dalla stanchezza. -Vai a dormire- le disse, battendole un pugnetto su un fianco.
Lei aggrottò la fronte. -Sto okay-
-Ma anche no, e si vede...-
-Ma...!-
-Ma- la interruppe. -Se dovesse succedere qualcosa mi metterò ad urlare- disse e tentò pure di sorridere. -Sicuro che riuscirei a farmi sentire pure da un orso in letargo-
Musa scosse la testa e sorrise. Gli diede una pacca su un braccio e lo superò, lasciandolo da solo davanti la porta.
Abel chiuse gli occhi e trasse un lungo respiro. Quante volte, in due anni, la vita di Reik era rimasta appesa a un filo per colpa sua? Per via indiretta forse, ma se non si fossero mai legati a livello sentimentale era sicurissimo che Reik si sarebbe potuto risparmiare tantissimi problemi.
Entrò nella stanza. Lì dentro sembrava che il tempo non fosse trascorso affatto dall'ultima sua visita.
Prese posto ai piedi del letto, dando le spalle all'ingresso della stanza, azzerando i pensieri, le percezioni esterne. Esisteva solo Reik, in quel momento, il suo viso rilassato nel sonno. Ed era bellissimo. Sembrava semplicemente addormentato.
Si distese al suo fianco, rannicchiandosi contro di lui. Inspirò il suo profumo, accarezzò in punta di dita la linea decisa della mandibola. Non avrebbe mai potuto perdonare se stesso per averlo messo tanto in pericolo, forse poteva sperare di riuscire a trovare una spiegazione, qualcosa che gli permettesse di continuare a vivere al suo fianco – se lui avesse voluto. Ed era quasi sicuro di avere già un'attenuante: lo amava. Forse aveva avuto ragione Hauke e non era vero che riusciva ad amare tutti allo stesso modo. C'erano amori che parevano legarsi ai battiti del suo cuore, riuscendo ad entrare così in profondità in lui da diventare parte del sangue pulsante che lo manteneva in vita ad ogni contrazione.
Hauke era stato uno di quelli.
E Reik.
E Florian no. Era certo che il suo astio nei confronti di Florian non si sarebbe mai esaurito, non avrebbe mai potuto trovare un'attenuante per lui. Aveva tentato di uccidere Reik, dopotutto.
Anche Saul.
Già. Anche Saul. Ma a Saul sarebbe stato legato per sempre, volente o no. Era una condanna, non una scelta. Non poteva scegliere di smettere di essere suo figlio. Forse era la punizione eterna per tutti gli errori commessi e per tutti quelli che avrebbe commesso in futuro. Chiuse ancora gli occhi.
Il tocco flebile sul dorso di una sua mano lo fece trasalire e spalancò gli occhi percependo il cuore schizzare in gola. Si tirò a sedere, ma Reik restava un bel addormentato.
Guardò dietro di sé e lo stupì di trovare Geert alle proprie spalle. Doveva essere stato lui ad avergli toccato la mano. -Che diavolo ci fai qui?-
Geert sorrise teso. -Non sono partito-
Abel scese dal letto, compì un paio di passi per mantenere da lui una distanza sufficiente che gli permettesse di continuare a guardarlo in viso, senza che ciò gli causasse il torcicollo. -Questo lo vedo da me. Perché sei rimasto?-
Geert scrollò le spalle. -Sono il tuo Krieger- Ah. Vero. -Anche se non so ancora per quanto-
Aggrottò la fronte. -Che intendi dire?-
Geert fece una smorfia. Se non lo avesse conosciuto, avrebbe persino potuto pensare che la sua espressione fosse manifestazione di cocente imbarazzo. -Non so se... Beh. Non penso di essere più in grado di ricoprire il mio ruolo, non dopo tutto quello che è successo-
-Sei stato manipolato da Magda. Conosco bene la sensazione-
Geert gli rivolse uno sguardo severo. -Ti odio, Abel. Ho scelto io di farmi guidare da lei-
Abel annuì brevemente. -Hai tutte le ragioni del mondo per odiarmi-
Il licantropo rise con amarezza. -E odio pure questo tuo dannato vittimismo in grado di farmi sentire in colpa-
-Non voglio che tu ti senta in colpa. Mi hai salvato. Adesso siamo pari-
Geert tornò a scuotere la testa e distolse lo sguardo da lui. Percepiva chiaramente la sua delusione, la sua frustrazione, il desiderio imploso di arrabbiarsi con lui, di sfogarsi con una bella litigata. I muscoli tremavano sotto pelle, la tensione rendeva rigido ogni suo più piccolo movimento. E le sue iridi erano traboccanti di rabbia, di un fuoco che pareva essere inesauribile. Sapeva da che cosa veniva alimentato: la sua sola esistenza doveva far incazzare parecchio Geert. Lui era vivo, dopotutto, e Hauke no. -Mi dispiace di aver messo in pericolo gli altri. Ma...-
-Non di aver messo in pericolo me- lo interruppe.
Geert gli rivolse uno sguardo stupito. -Non sei arrabbiato. Come fai a non essere arrabbiato?-
-Me lo stai domandando sul serio?- chiese di rimando. E sorrise. -Sai di chi sono figlio, vero? Sai pure qual è l'ultima cazzata che ha combinato mio padre, o sbaglio?- rimasero in silenzio per un po'.
Abel non provava alcun sentimento di astio nei confronti di Geert. Lo capiva, capiva il suo odio, il suo dolore. E aveva deciso di perdonarlo. Era già andato molto oltre nella visione d'insieme del loro rapporto: sapeva che non si sarebbe mai più fidato di lui, ma era una persona su cui avrebbe potuto contare, una persona che conosceva, che comprendeva, di cui – forse peccando di arroganza – poteva prevedere le reazioni in base a ciò che di lui aveva imparato a conoscere. -Sei il mio Krieger-
-Non credo...-
-Potrai essere obiettivo, non coinvolto nella protezione della mia persona-
-No, non penso-
-Io ne sono sicuro. Vuoi restare qui?-
Geert fece un'altra smorfia, ma quella poteva significare tutto o niente, non era affatto indice di imbarazzo. Abel allungò una mano dietro di sé e strinse un polso di Reik, cercando un appiglio in tutto quel marasma di emozioni contrastanti che gli cavalcavano il petto, soffocando i respiri in gola.
-Sì-
Annuì. -Adesso ho un nuovo clan. Dovrò trovargli un nome. E mi serve un Krieger-
Geert aggrottò la fronte. -Non mi vuoi come guardia del corpo personale-
Abel scosse la testa. -Se deciderai di restare con noi, ti voglio come Krieger del clan-
-Io continuo a non capire...-
-Tu mi hai salvato- lo interruppe. -Nel Kalmenhof. Rabbia, odio non ti hanno impedito di salvarmi la vita. Sei la persona giusta per questo ruolo, ne sono sicuro. Non avrò più piena fiducia in te, ma magari potresti persino farmi cambiare idea nel tempo, conquistarti la mia fiducia di capoclan... non quella di Abel. La mia te la sei giocata a tavolino con Magda-
Geert spostò lo sguardo dietro di lui, su Reik probabilmente, stando alla traiettoria del suo sguardo, poi tornò a fissarlo. Chiuse gli occhi e le palpebre tremarono per la frazione di un secondo, il suo viso si tese, sembrava che fosse sul punto di sgretolarsi. Quando riaprì gli occhi, Abel notò che erano lucidi, ma pieni di una consapevolezza profonda.
Geert annuì.
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