DODICI
La dimora non era umile per niente.
Sembrava uscita direttamente da un vecchio film, ritagliata e incollata nel presente. Lo stile dei mobili era essenziale, le due stanze che avevano attraversato erano grandi, piene di gingilli, vasi di fiori e tende di pizzo sottile. Nell'insieme aveva un aspetto molto femminile e delicato, che cozzava con quello ruvido e privo di fronzoli dell'esterno.
Il padrone di casa li fece accomodare in soggiorno, e Abel sprofondò sulla seduta di un divano, imbottita e decisamente morbida, tra Roberto e Telsa.
Valerio fece una smorfia e si passò una mano sul mento, strofinando le dita contro la ispida barba che gli incorniciava le guance, e che contribuiva a donargli l'aspetto di una specie di dio caduto in disgrazia. -Roberto mi ha detto che sareste venuti a chiacchierare di cose serie, ma non immaginavo fino a questo punto-
Abel aggrottò la fronte, si guardò intorno e solo in quel momento si rese conto che i suoi tre ulteriori accompagnatori erano rimasti in piedi alle loro spalle, proprio come dei bravi bodyguard. -Sedetevi- sussurrò e tornò a rivolgersi al loro ospite. -Anch'io immaginavo qualcosa di più semplice- disse, tentando in qualche modo di scusarsi.
Dopotutto, Valerio li aveva accolti da solo – certo, impugnando un fucile, ma lo aveva già riposto da qualche parte –, mentre lui si era portato dietro un seguito anche fin troppo consistente e minaccioso.
Valerio si strinse nelle spalle. -Siete a casa mia- e sorrise in modo glaciale.
Abel trasalì: poche parole e pareva già che l'aria nella stanza si fosse fatta più tesa. Forse preferivo il fucile. -Non abbiamo intenzioni bellicose, puoi lasciare... l'artiglieria al sicuro-
Valerio ridacchiò e annuì. -Roberto mi ha accennato qualcosa, in effetti-
Rivolse un'occhiataccia al vampiro.
-Dovevo pur giustificare in qualche modo la nostra piccola rimpatriata...- disse Roberto, subito interrotto dal fratello.
-Certo. Dopotutto, manchi da casa solo da vent'anni-
-Quanto?- tuonò Abel, stupito.
Roberto si aggiustò gli occhiali, spingendoli sulla radice del naso. -Siamo creature immortali. Vent'anni, due giorni, che differenza fa?-
Dall'espressione che lesse sul viso di Valerio, Abel dedusse che, almeno uno tra i due, non la pensasse esattamente allo stesso modo. -Aspetta- disse, dopo qualche istante di silenzio. -Immortali? Licantropi immortali? Da quando? E pure Thor...?-
-Non sono licantropi- disse Geert con tono sprezzante, interrompendolo, e nel sentirlo parlare, Abel ricordò la sua presenza alle proprie spalle.
Si girò nella sua direzione, sorprendendolo a fissare il loro ospite con sguardo truce. Ancora in piedi, così come Else ed Hias.
Non va bene. Non va bene per niente.
-Fermi tutti!- e scattò in piedi anche lui – anche se la sua bassezza, sapeva già, non avrebbe potuto incutere alcun timore ai presenti.
-Nessuno si sta muovendo- disse Else.
-Sì, certo, in questo micro-istante. Ma siccome conosco benissimo la velocità con cui i licantropi sono facili a mandare una situazione a puttane, meglio prevenire. E sedetevi, porca miseria! O vi spedisco tutti a sorvegliare l'ingresso del Regno degli Unicorni!-
-Ansia?- domandò Else con tono piccato, accomodandosi vicino a Telsa.
Abel le rispose limitandosi a rivolgerle un'occhiataccia.
Valerio rise. L'ilarità fuori luogo doveva essere un tratto genetico distintivo della loro famiglia. -Non ho intenzione di mandare niente a puttane. Sono contento di rivedere il mio fratellino, anche se ha dovuto aspettare che qualcuno avesse bisogno di noi per tornare a trovarci-
La scelta delle parole di Valerio non gli piacque per niente. Abel avrebbe voluto rispondergli secco, affermando senza indugi che non avevano proprio bisogno di lui, ma non sarebbe stata la verità. Non era certo che avessero proprio bisogno di lui, o di qualcun altro nello specifico, ma intanto erano lì per chiedere aiuto a lui.
Uno sconosciuto.
Un licantropo immortale.
E che parlava utilizzando il plurale maestatis.
Poteva diventare un problema immortale e la cosa non lo entusiasmava affatto.
Forse aveva agito troppo precitosamente, senza riflettere sul serio sulle possibili ripercussioni delle proprie mosse, ma ormai si trovavano lì. Sperava soltanto che, alla fine, anche quando non avessero concluso nulla con Valerio, almeno non avrebbe dovuto fare i conti con qualcosa di troppo spiacevole.
Magari si limiterà a multarmi per avergli rotto i coglioni. O forse mi ringrazierà per aver riportato suo fratello a casa dopo vent'anni.
Era la sua prima esperienza del genere, non sapeva da dove cominciare, né era certo che l'idea nella sua mente avesse deciso di prendere una forma completa. Si sentiva molto confuso. In bilico. Colmo d'ansia e paure.
Scappare non era una soluzione nelle sue corde – e si trovavano lì, dopotutto, perché lui lo aveva voluto. Stava per scoprire che tipo di capoclan sarebbe stato: capace di guidare il proprio popolo, oppure in grado di condannarlo all'ennesimo capo rincoglionito dalla propria indole, miscelata a un potere troppo grande.
Troppo grande per una sola persona.
Sospirò mesto e tornò a sedersi. -Sono qui perché spero di poter avviare una collaborazione tra il nostro clan e il vostro-
-Il Clan- disse Valerio e poggiò le spalle, allargando le braccia sullo schienale del divano che occupava in solitudine. Accavallò le gambe e prese a muovere il piede sospeso con un certo nervosismo. -Quando l'arroganza di sentirsi superiori non permette nemmeno di tenere conto dell'esistenza di altri-
-Cosa vorresti dire con questo?- ringhiò Geert e Abel balzò in piedi, ancora, dando le spalle al loro ospite, rivolgendo l'ennesima occhiataccia in direzione dei suoi licantropi.
Forse aveva proprio sbagliato la scelta del proprio seguito.
-È lampante e risaputo- disse, sentendosi a disagio nel dare le spalle a Valerio. Avrebbe preferito avere occhi ovunque nella testa: percepiva pericolo provenire da ogni singolo angolo di quella stanza e lui restava un umano in mezzo a non umani. Era certo che in caso di un'esplosione di ormoni della stupidità e testosterone dell'arroganza si sarebbe trovato in grosso svantaggio. -Fino allo scorso autunno, persino io, non sapevo ci fossero licantropi che vivevano fuori dal Clan in piena autonomia. D'allora ho pensato spesso al fatto che forse non siamo neppure l'unico clan sul suolo tedesco-
-Ma siete venuti fino a qui, in Italia- disse Valerio e Abel riportò l'attenzione su di lui. -Mi sento lusingato-
-Anche meno, caro zio Sam. Siamo qui solo perché Roberto mi ha parlato di voi-
-E cosa vi avrebbe detto di noi?-
Abel si morse un labbro. Solo che esistete – ma non era quello il motivo per cui si trovavano lì. -Che ha un fratello licantropo capoclan. E io mi fido di Roberto. Se lui mi ha suggerito di venire fin qui, avrà avuto i suoi buoni motivi, altrimenti non mi avrebbe mai permesso di essere qui-
Tenendo conto del fatto che aveva imparato a diffidare di tutte le creature sovrannaturali che aveva avuto la "fortuna" di avere al suo fianco, fino a quel momento, c'era pure la possibilità che l'intero popolo tedesco di non umani fossero tutti dei coglioni rimbambiti.
Magda.
Saul.
Gesche.
Balthasar.
Hauke – Pace all'anima sua.
E loro erano stati gli esempi, fino a quel giorno, di persone che si erano professate dalla sua parte, ma sani di mente non lo erano stati mai, nessuno di loro, neppure per sbaglio.
Valerio sorrise e, quella volta, il suo sorriso gli parve sincero. -Hai molta fiducia in lui-
-E dire che sa così poco di me!- esclamò Roberto.
Abel trasalì e si domandò se non avesse dato – di nuovo – fiducia a qualcuno che non la meritava e che ne avrebbe approfittato per metterlo nei guai.
-Conosci le leggende del sud?- chiese Valerio, cambiando argomento all'improvviso – anche quella doveva essere una caratteristica di famiglia.
-In che senso?-
-Nelle leggende del nord ci sei cresciuto, ma conosci anche le altre leggende?-
Abel aggrottò la fronte. Gli stava sicuramente sfuggendo qualcosa. -Tu sai perché sono qui?- Valerio annuì. -Allora Roberto ti ha detto più di qualcosa-
Roberto fece per aprire bocca, ma il fratello lo pervenne. -Sono un tipo che si tiene informato. E le notizie di ciò che è successo su sono arrivate pure giù. Noi non possediamo la vostra arroganza: sappiamo di non essere gli unici al mondo, anche se siamo, forse, i più antichi. Quando il mio fratellino mi ha accennato che sarebbe venuto a farmi visita, portandosi dietro, per giunta, il capoclan di Idstein... Diciamo che ho tratto le mie conclusioni-
-E ci hai accolto da solo?-
Valerio sorrise, reclinò il capo da un lato e non rispose.
Abel si guardò attorno con maggior tensione. Gli importava poco che la propria espressione di panico fosse palese, ma era ormai certo che non fossero proprio soli nella stanza. Occhi ovunque. Se li sentiva addosso, pronti a trapassarlo da parte a parte come lame. Ma continuava a non vedere nulla e la cosa lo stava mandando velocemente fuori di testa.
Cercò di intercettare lo sguardo di Roberto: che fosse lui il "seguito" di Valerio? Doveva temere proprio di lui?
Roberto ricambiò il suo sguardo di sottecchi e sorrise. -Tranquillo, capo! Se tu deciderai di collaborare con loro, loro sono già pronti a dirti di sì!-
Abel aggrottò la fronte, di nuovo. -Credevo che fossimo noi quelli venuti a chiedere una collaborazione- continuava a sfuggirgli qualcosa e la situazione stava diventando sempre più frustrante.
Perché avrebbero dovuto dirgli di sì a priori?
Cosa si aspettavano in cambio?
Quale vantaggio credevano di trarre da una collaborazione con loro?
Forse avrebbe dovuto portarsi dietro John, magari sarebbe riuscito a notare dettagli che a lui continuavano a scappare dalla sua attenzione – evidentemente – e a trarre le giuste conclusioni riguardo quella strana situazione.
Abel fissò lo sguardo sul volto del vampiro. -Sembra che il tuo colorito sia migliorato parecchio e in poco tempo- notò, sorprendendosi nel vedere la pelle di Roberto rosea come mai prima d'allora lo era stata.
-È la vicinanza con il branco- rispose in un sussurro.
Anche Else gli aveva detto qualcosa di simile. Forse a lui, gli effetti della vicinanza con il suo branco – branco, insieme di creature, quindi era ormai praticamente certo che Valerio non fosse l'unico dei Greci presenti nella stanza, anche se lui non poteva vedere gli altri – si stavano manifestando più velocemente a causa della prolungata mancanza da esso? -Ma tu non eri un vampiro di seconda generazione?-
Roberto scosse la testa. -No. Mai sentito racconti riguardo esseri umani che hanno subito traumi durante la vita, oppure che sono state vittime di una morte violenta? Si dice che corrano il rischio di risorgere come vampiri. Questo perché le loro anime rimangono intrappolate nei corpi nella speranza di ottenere vendetta-
-Stai parlando dei vampiri di prima generazione- disse Abel e l'altro annuì.
-C'era un cimitero, proprio qui, dove siamo oggi, tanti secoli fa, obiettivo di lupi che si nutrivano di cadaveri. Stiamo parlando di scenari, culture e credi diversi da quelli odierni. Qui intorno era tutto boschi e i lupi erano ancora una realtà consistente sul suolo italiano. Così consistente da aver fatto razzie tra le altre specie di animali, riducendo la loro... dispensa all'osso. Per questo avevano cominciato a razziare i cimiteri-
-La gente del posto, terrorizzata dai vampiri, aveva persino iniziato a guardare a queste incursioni con sollievo: i lupi divoravano i vampiri e finché erano sazi non attaccavano gli umani. Da qui, probabilmente, nascono anche le odierne credenze per cui tra licantropi e vampiri sia impossibile andare d'accordo. È un'impronta primitiva- continuò Valerio. -Ma corrisponde poco al vero. Almeno, non è così per tutte le razze, non può esserlo per tutte le razze-
-Non può esserlo per la vostra- sibilò Geert.
Valerio gli rivolse uno sguardo compiaciuto. -Conosci le leggende del sud- disse, senza punto di domanda.
Geert annuì. -La mescolanza di sangue tra lupi e vampiri di prima generazione ha dato vita a voi. I Greci. Siete il clan più antico in Europa. Roberto parlava di secoli...-
-Ma sono tanti secoli- mormorò Abel, interrompendolo.
Valerio annuì. -Parliamo delle prime migrazioni dall'Oriente all'Occidente. La miscellanea del sangue ha dato vita agli yvrídia. Delle due specie abbiamo ereditato la maggior parte delle caratteristiche. Altre sono sopraggiunte nel tempo con l'evoluzione naturale della specie- fece una lunga pausa, forse per dargli tempo di assimilare la notizia.
L'unica cosa che, tuttavia, Abel stava pensando in quel preciso istante era che pure Roberto gli aveva mentito.
Si morse le labbra per trattenere un urlo. Era stanco di bugie e segreti. Era stanco di sentirsi spossato e avvilito. Era stanco degli incubi a occhi chiusi e ancora di più di quelli che continuava a vivere a occhi aperti.
-Sicuro di voler avviare una collaborazione con noi?- domandò Valerio.
-Cosa vi aspettate in cambio?-
Il sorriso del suo ospite tornò a farsi glaciale. -Tu cosa vuoi da noi?-
-Diciamo che sto avendo qualche problemino interno- disse Abel in un sussurro. -Ho bisogno di gente non coinvolta, in grado di svolgere il suo lavoro in maniera obiettiva, senza farsi trascinare dalle... situazioni interne-
-Soldati?- chiese Valerio. Abel annuì. -Guardie del corpo- aggiunse e sogghignò.
Abel fece una smorfia, sentendosi sempre più infastidito dalle sue frecciatine. Era lui la Divina delle frecciatine! Come si permetteva Valerio a tentare di rubargli la scena? -Sono un metro e basta, senza tacchi, ma se voglio posso farti il culo senza problemi-
Valerio rise di gusto. -Ne dubito, ma prenderò sul serio la tua minaccia-
-E tu? Tu cosa ti aspetti da noi?-
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