DICIANNOVE

Il rientro al covo non fu affatto dei più rosei. Se già di solito odiava l'idea di recarsi lì, farlo subito dopo aver litigato tanto aspramente con i suoi compagni fu proprio destabilizzante. Ogni istante che aveva trascorso avvicinandosi sempre più alla sua destinazione aveva percepito l'ansia crescere in petto, la tensione irrigidirgli i muscoli, mentre il desiderio spasmodico di scappare via da lì, di fare dietrofront, diventava quasi un bisogno – che si impose di non soddisfare; di non darla vinta all'istinto – dato che l'ultima volta che lo aveva fatto aveva finito per schiaffeggiare Reik. E se ci ripensava, poteva ancora sentire bruciare la vergogna e il senso di colpa.

Cosa sto diventando?

Scosse la testa e scese dal taxi.
Se le sue guardie del corpo avessero saputo che aveva fatto di tutto per eludere le loro attenzioni e andarsene in giro in taxi, come minimo, lo avrebbero preso a pugni – ne era praticamente certo. Così come sapeva che non solo avevano già appreso della sua fuga, ma che avrebbero sicuramente avuto di che ridire. Lo aspettava qualche altra sfuriata da un momento all'altro, e forse era proprio quello a rendergli quasi dolorosa l'idea di rimettere piede al covo.

Sul patio, davanti gli sgangherati scalini che sembravano voler urlare "luogo disabitato, possibilmente infestato, correte via da qui, stolti" stava proprio Geert. Braccia conserte ed espressione truce stampata in volto.

Sospirò. -Devi dirmi qualcosa?- chiese e attese che abbassasse la porta d'ingresso per raggiungerlo sul patio.

-Vuoi davvero sapere cosa mi passa per la testa?- gli domandò di rimando il licantropo e Abel fece cenno di no.

Aggrottò la fronte: stava contribuendo in modo tangibile ad accentuare le rughe sulla propria fronte, ma lo stupiva il fatto che Geert fosse così apparentemente tranquillo, che non lo avesse aggredito subito – magari facendolo ruzzolare giù dalle scale.

Proseguirono in silenzio per i lunghi e angusti corridoi della struttura, lasciandosi alle spalle la luce del mattino, presto sostituita da fonti labili di luce artificiale. Odore di muffa e stantio.

Bentornato nella tua nuova casa di merda.

Geert si fermò davanti la sala comune, e Abel si girò nella sua direzione. -Pensavo di passare dalla mia stanza- disse sollevando il borsone nella sua direzione.

Il licantropo lo prese e gli indicò con un pollice l'ingresso della sala. -Ti aspettano- disse laconico.

Lo superò e proseguì da solo lungo il corridoio, portandosi dietro il suo borsone.

Almeno ho evitato il suo cazziatone. Forse è solo rimandato?

Sospirò sentendosi sconfitto e varcò la soglia della stanza.

Ramanzina in arrivo.

Allarme.

Allarme.

Possibile nuovo litigio con soggetto sconosciuto tra tre, due, ...

-Balthasar- disse con stupore.

-Nipote- rispose l'uomo e allargò le mani sulla superficie del tavolo.

Abel scrollò le spalle. Era stanco, aveva sonno, aveva appena litigato con Reik e Florian. Sentiva di aver esaurito le parole. Forse gli erano rimasti solo dei palloncini colmi di aria confusa nella mente e azioni spropositate. Si sentiva così a pezzi da avere quasi la certezza che non sarebbe stato in grado di mettere insieme una frase di senso compiuto, né di controllare le proprie reazioni.

E si apprestava ad affrontare Balthasar.

Adocchiò la sedia di fronte a quella che occupava suo zio, dall'altra parte del tavolo, ma poi deviò all'improvviso in direzione del divano e si lasciò cadere disteso. I cuscini lo accolsero con un tonfo umidiccio, forse causato dal tessuto di pelle – malandata – che lo rivestiva.

Con la coda dell'occhio vide Balthasar scuotere la testa, alzarsi e avvicinarsi a lui a passi lenti. La camicia larga e lunga lasciata fuori dai pantaloni, la barba sempre più bianca – sembrava la reinterpretazione contemporanea e affascinante di Merlino – magari per qualche pubblicità di automobili.

Suo zio sedette vicino a lui, ritagliandosi una porzione di spazio sul divano accanto a un suo fianco, e Abel aggrottò la fronte – che ricordasse, doveva essere la prima volta in più di trent'anni di vita che si trovava così a stretto contatto con suo zio.

Subito la tensione al collo scemò: si sentiva sempre stanco, ma meno a pezzi. Allungò una mano verso di lui, incerto e titubante, ma l'altro la prese in una delle proprie con delicatezza e ne accarezzò il dorso con il pollice.

-Sai che, con tutta probabilità, quella strega in camera tua l'ha mandata l'A.S.S.S.- sussurrò suo zio.

Annuì. -Le streghe sono amiche dell'Associazione...-

-Non tutte- lo interruppe. -Non commettere lo stesso errore che ha caratterizzato tutti quelli che ti hanno preceduto-

-I due che mi hanno preceduto, intendi?-

-Sei intelligente, sai benissimo che cosa intendo dire- disse Balthasar e sorrise. -Non generalizzare, nipote. Cerca di essere obiettivo-

-Ci provo- e trasse un lungo sospiro.

-La gente di Valerio dice che non hai riportato marchi o conseguenze fisiche dopo l'aggressione. Né tu, né i tuoi compagni-

Abel annuì. -Fortuna-

Balthasar si accarezzò la barba con espressione pensosa. -Forse. Oppure non era questo l'obiettivo. Fortuna che Musa e Geert erano lì-

-Sì, lo penso anch'io... entrambe le cose. Volevano farmi fuori, non c'era bisogno di sprecare marchi o incantesimi di maledizione. Per fortuna, come dici tu, c'erano Musa e Geert con me-

-Hai fatto bene a circondarti di persone che sono davvero in grado di proteggerti-

-È per questo che ho preferito che fossero loro a scegliere. Avere a che fare con me è già parecchio difficoltoso, almeno l'hanno deciso loro e lavorano meglio-

Balthasar annuì e tornò a lisciarsi la barba. -Hai intenzione di ascoltarli? Di restare qui?-

-Sì-

-E i tuoi compagni?-

Abel si schiarì la gola e si tirò a sedere, fuggendo dal suo sguardo. Sciolse pure la presa dalla sua mano. Troppo trasporto emotivo – aveva bisogno di un distacco per continuare a ragionare. -Forse sono tornato single. Non ne ho la certezza, ma...-

Balthasar si fece scappare un monosillabo privo di senso e gli strinse una spalla. La voce di Abel ebbe un tremito e preferì zittirsi. -Puoi contare sulla tua famiglia-

Sorrise amaro. -Come no-

-Su questa famiglia- aggiunse suo zio, battendosi una mano sul petto. -Potrai contare sempre su di me. Tuo padre mi ha lasciato la cosa più preziosa che ha, e io non ho alcuna intenzione di tradire la sua fiducia-

Non si era aspettato una discussione di quel tipo con suo zio. Balthasar forse era stato – tra i membri del branco – quello che più di tutti aveva percepito distante durante la sua infanzia. Silenzioso, in disparte. Magari era proprio quello che si imponeva di essere per chissà quale motivo. Eppure, quella giornata da incubo si era conclusa con qualcosa di positivo: aveva saputo di avere dalla propria parte la lealtà di suo zio. Tramite Saul, sempre per colpa sua – o merito, dipendeva molto dal punto di vista.

Più passava il tempo, più scopriva cose su suo padre che lo stupivano. Se, quando era un ragazzino, gli avessero detto che suo padre sarebbe stato in grado di sconvolgere il mondo per lui, non solo il Clan, il branco, la sua famigliola perfetta, non sarebbe riuscito a crederci. Avrebbe dato del coglione al tipo di turno. E non solo perché era stato convinto di essere un figlio "in più" per lui, quello che aveva adottato spinto da chissà quale follia momentanea, e che subito si era esaurita quando, nei fatti, Saul aveva dovuto confrontarsi con il fare da padre a un essere umano. Aveva creduto davvero di essere un peso per Saul, aveva creduto davvero che si fosse pentito di averlo preso con sé. Era stato convintissimo di non essere mai stato in grado di conquistare il suo cuore, né che mai ci sarebbe riuscito. E aveva continuato a credere tutto ciò anche nel tempo, anche dopo aver scoperto di essere suo figlio naturale – un po' uno scherzo del destino, ma comunque sangue del suo sangue. L'amore di Saul – che sempre aveva agognato e pensato di non meritare, di non poter ricevere mai – gli stava arrivando forte, chiaro, inequivocabile proprio adesso che suo padre era a un passo dalla morte, senza più mezzi a propria disposizione per mantenere quel certo distacco emotivo che aveva tenuto in piedi finché era stato al suo fianco.

Forse per non passare per un debole agli occhi degli altri?

Forse per non far capire loro di poter essere colpito tramite me?

Stava solo sognando? Si stava facendo influenzare da storie, film, stronzate simili?

Scosse la testa.
Non che fosse sicuro di potersi fidare di lui, di Balthasar, ma la fiducia, ormai, aveva deciso di riservarla solo per se stesso. E neanche fino in fondo, visto che quando dava di matto era in grado di tradirsi da solo.

Varcò l'ingresso della camera da letto e, con sorpresa, vi trovò Geert. -Mi aspettavi?-

-Che acume!-

-Guarda che non ci dormo con te- borbottò Abel e lo superò, avvicinandosi al letto, e si tolse giacca, maglia, pantaloni. Frugò nel borsone in cerca di qualcosa di più comodo, facendosi forza per non rabbrividire di freddo.

-Se mi avvisavi venivo attrezzato per lo spogliarello-

Abel gli rivolse il dito medio di una mano, senza sollevare lo sguardo su di lui, continuando a frugare nella borsa. -Tu non ci dovevi proprio stare qui-

-Ho deciso che passerò la notte qui, di guardia e dentro la stanza. Non ti toglierò gli occhi di dosso neanche mentre dormirai-

-Da quando prendi decisioni che spettano a me?- chiese stizzito, strattonando il borsone. -Come cazzo credi che possa dormire con te che mi fai da stalker al buio?-

-Da quando hai eluso la guardia di un licantropo e una yvrídia, e hai viaggiato in taxi fino a qui- disse indicando prima se stesso e poi la stanza. -Ho capito che non posso lasciarti da solo neppure per un istante. Mi hai affidato un compito-

-Uhm- fece Abel, trattenendo a stento un sorriso beffardo. -L'ha detto anche Musa: il mio appartamento ha troppi accessi, quindi vie di fuga-

-Sei un coglione. Se avessimo avuto qualcuno alle calcagna...-

-Mi avrebbe fatto fuori?- lo interruppe e abbandonò il borsone a terra. Rabbrividì. Ma almeno un pigiama me lo sono portato? -Vi avrei liberato della mia rognosa esistenza- borbottò e si strinse nelle spalle.

Adocchiò i vestiti che si era tolto e che aveva gettato sul letto. Percepì la presenza di Geert dietro di sé nello stesso istante in cui poggiò il proprio maglione sulle sue spalle.
E lo abbracciò.

Abel chiuse gli occhi e ricambiò la sua stretta, ma non si girò nel suo abbraccio – temeva il confronto diretto con le emozioni che lo stavano assalendo in quel preciso istante.

Calore.

Calma.

Pace.

Empatia – fortissima.

Geert non si era arrabbiato.

Cioè, si è arrabbiato, ma non ha urlato, non mi ha fatto una piazzata. E tutto quello che mi ha accusato di fare... l'ho fatto. Ho sbagliato, non mi ha accusato di cose irreali, folli, vive solo nella sua mente.

Come fanno sempre, invece...

Si morse un labbro. -Ogni volta che sto con Reik e Florian- disse con un filo di voce. -Fa più male- Geert lo strinse di più a sé. Aveva capito? Aveva intuito a cosa si stava riferendo? -Gli incubi sono sempre più brutti. Lui c'è sempre. Sono più brutti quando sto con loro- deglutì a vuoto per ricacciare indietro il nodo che gli aveva serrato la gola, ma servì a poco e gli occhi gli si riempirono di lacrime. -Secondo te, perché? Senso di colpa? Una forma di punizione divina? Mi sento come se non fossi più destinato a essere felice con loro. Ed è strano, no? Abbiamo litigato tanto, per loro, io ed Hauke. Per colpa mia, non proprio per loro- si corresse e aprì gli occhi, mentre una lacrima fuggiva al suo autocontrollo. -Ma sentivo di poter essere felice. Una felicità a metà, una felicità senza Hauke. Perché adesso è cambiato tutto?-

-Perché lui non è più qui- mormorò Geert e gli accarezzò una guancia con la punta del naso, arrivando sulla tempia, dove depose un bacio.

-Ero felice perché sapevo che lui era felice. Con te. Mi andava bene, sul serio. Ora non c'è più...-

-Questo non toglie a te il diritto di essere felice-

Si girò nel suo abbraccio. -E tu?-

Geert gli prese il volto tra le mani e poggiò la fronte contro la sua, chiuse gli occhi. -Chissà. Adesso è ancora troppo presto-

Abel annuì. -Mi fido di te- disse e strinse le sue mani nelle proprie. -Mi dispiace aver reso il tuo lavoro ancora più complicato, prometto che mi sforzerò per non commettere più di questi errori-

-Grazie, eh-

Sorrise mesto. -Nonostante i nostri trascorsi, davvero, Geert, mi fido di te. E vorrei che tu fossi felice, libero. Anche da questo posto di merda-

-Ancora l'Hilton Hotel?- chiese il licantropo e ridacchiò piano.

Abel assorbì quel suono breve e dolcissimo, che parve arrivare dritto al suo cuore e aiutarlo a battere con più calma. -Ovunque, basta che sia fuori di qui-

Geert annuì e lo lasciò andare. -Sì, ovunque sarà sicuramente meglio di qui-

Abel tornò a mordersi un labbro e abbassò gli occhi sul pavimento, mentre stringeva di più le sue mani nelle proprie. -Dormi con me, per favore? Per davvero, non come uno stalker...- e sollevò lo sguardo a incontrare il suo. Geert sorrise. -Credo di... aver bisogno di te-

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