VENTI
A distanza di settimane, l'ufficio del commissario non era cambiato per niente, nonostante John gli avesse comunicato, in precedenza, l'intenzione di modificare almeno la disposizione dei mobili rispetto a com'erano stati collocati ai tempi di Krause.
Non aveva fatto assolutamente nulla.
Gli sembrava strano: come faceva a passare tante ore al giorno rinchiuso dentro quell'ambiente?
Lo stesso divano di pelle, la stessa scrivania. Le stesse sedie. Tutto identico. E ogni cosa conservava il tocco di Krause – il traditore.
Ricordava benissimo la prima volta che aveva messo piede lì dentro. Si era seduto sulla stessa sedia che stava occupando proprio in quell'istante, tant'è che si sentiva a disagio e si muoveva sulla seduta, nervoso.
-Ti stai fermo un secondo? Mi stai facendo venire il mal di mare- lo ammonì John, seduto dall'altra parte della scrivania, e si premette due dita sulle tempie.
-Questa sedia è scomoda come la ricordavo- ribatté. -E qui dentro puzza ancora dei sigari di Krause-
-È un ufficio pubblico. Dovrei chiedere dei permessi ai miei superiori per ristrutturare, cambiare mobili. Purtroppo è ancora tutto in ottime condizioni, quindi non posso farci nulla: non butterebbero via soldi pubblici solo per farmi contento-
-Distruggo tutto io, se vuoi- propose, battendo le palpebre più volte.
John gli rivolse uno sguardo scettico. -Dopo dovrei arrestarti per atti vandalici-
-Mi sbatti in prigione?- lo vide arrossire e distogliere lo sguardo, mentre bofonchiava parole senza senso. Sorrise. -Stavo scherzando-
John si lasciò andare contro la spalliera della sedia. -Come fai a scherzare di continuo nonostante tutto quello che sta succedendo?-
Abel scrollò le spalle. E non sai neppure tutto tutto, pensò.
Avrebbe dovuto dirgli di Saul? Dell'inquietante telefonata che gli aveva fatto comprendere di avere gli occhi di suo padre – latitante – puntati addosso?
E se John avesse dedotto da ciò che era in combutta con Saul? Non era vero, però era vero che Saul lo aveva contattato e, da quello che aveva compreso, aveva contattato solo lui.
Lo aveva reso suo complice nella propria latitanza? Sospirò. -Se iniziassi a disperarmi per tutto quello che mi succede di continuo...- mormorò con voce impastata da una strana emozione.
-Lo capisco, anche noi poliziotti tendiamo a estraniarci dalla situazioni più traumatiche per non acquisirne il trauma-
-Oh, ma io i traumi li acquisisco, puoi starne certo!-
-Hai ancora incubi?-
Si morse un labbro e distolse l'attenzione da lui. Si accorse in quell'istante che sulla superficie della scrivania si trovavano due cornici che non ricordava esserci state durante la sua prima visita in quel posto. Si mosse in modo repentino e senza dargli tempo di capire le proprie intenzioni. Afferrò le cornici e le volse verso di sé. John sussultò e imprecò, ma poi, rendendosi conto di quello che stava facendo, evidentemente reputò innocuo lasciarlo fare e si ritrasse, tornando a poggiarsi contro la spalliera della sedia. E imprecò ancora.
Abel osservò le due fotografie, una più piccola dell'altra. Quella più grande ritraeva tre soggetti: un adulto e due bambini. John e i suoi figli – probabilmente, vista l'eccezionale somiglianza che intercorreva tra di loro. In quella più piccola erano stati immortalati solo i volti sorridenti dei piccoli Baker. -È la prima volta che vedo i tuoi figli- disse in un sussurro.
-Non abbiamo avuto occasioni per riunirci tutti insieme, ancora-
Vero.
Non abbiamo avuto occasioni per riunirci tutti insieme, ancora, si ripeté mentalmente, rendendosi conto poco per volta del significato più profondo di quelle parole.
Erano amici, lui e John?
Non aveva mai conosciuto i suoi figli.
Erano amici, lui e John?
Non lo aveva mai invitato in casa sua per cena, pranzo, colazione, aperitivo. Non gli aveva mai presentato ufficialmente Reik e Florian come propri compagni – anche se il primo lo conosceva forse meglio di lui, visto che era il suo partner sul lavoro.
Deglutì.
-Per questo devo ridere sempre e rendere tutto ridicolo. La mia vita appare come un gioco grottesco?-
-Abel, non...-
-È proprio quello di cui ho bisogno. Sono una barzelletta vivente-
-Non penso proprio-
-Deve essere così- ribatté, riponendo le fotografie al loro posto. -Se mi metto a pensare a quello che sono davvero e a mettermi seriamente al confronto con chicchessia, come minimo rischio di diventare pazzo- la voce si affievolì e concluse il proprio pensiero a voce percependo le labbra tremare – una fastidiosa tensione che gli solleticò il prolabio. Si strofinò la punta del naso e si bloccò di colpo, rendendosi conto della vista che si faceva liquida.
-Abel- lo richiamò John, ma lui continuò a fissare imperterrito le cornici sulla scrivania. -Abel- disse con voce più morbida e lui batté le palpebre, sentendosi scivolare una lacrima sulla guancia sinistra. -Sei stanco-
-Lo sono da sempre-
John scosse la testa. -Anch'io temo di averti caricato di troppe cose, nell'ultimo periodo-
Abel sorrise amaro. -No. Te lo assicuro-
-Sul serio, forse dovremmo rivedere la tua posizione di consulente e...-
-No-
-Ti fa male continuare a essere testimone del male nel mondo-
Il suo sorriso si allargò, mentre si caricava di un'emozione che sapeva – ne era assolutamente certo – non possedeva nulla di buono.
Ormai riconosceva il momento. Il momento in cui il suo cuore si chiudeva, sbarrando l'ingresso a chiunque, portando in superficie la maschera che aveva ereditato da Saul. -Sono cresciuto all'interno di un clan di licantropi, John-
-Sì, e lo so. Ma...-
-Animali. Animali che ragionano come la peggior specie di umani. Gli incubi? Ho vissuto negli incubi per vent'anni. Il male del mondo? Tu non hai idea di quello che ho visto prima di diventare un consulente per voi-
-Non sembri uno abituato all'orrore-
Abel si morse un labbro e tornò a distogliere l'attenzione da lui. -Per fortuna, no. Preferisco continuare ad essere una barzelletta. Che gli altri non comprendano il perché di certe mie convinzioni, azioni, battute... non è un problema mio-
John scrollò le spalle e si protese verso di lui, poggiando le braccia sulla scrivania. Unì le mani e si accarezzò l'una con l'altra con i pollici per qualche istante, restando in silenzio.
Abel si sforzò di riportare lo sguardo sul suo viso. Al sesto tentativo circa fu in grado di porsi di fronte a lui e di tornare a guardarlo negli occhi. John allungò le mani nella sua direzione e lui rimase immobile per un paio di secondi, indeciso. Poi percepì la tensione abbandonare lentamente le spalle e prese le mani del poliziotto tra le proprie.
-Siamo amici, Abel-
-Siamo stati insieme davanti a tanti falò, ma non ci siamo mai concessi una grigliata in famiglia-
John scosse la testa con espressione rassegnata, e rise. -Rimedieremo-
-Prima che qualche unicorno mi rapisca e mi conduca nel Regno di Nuvole e Arcobaleni?-
-Non permetterò a nessun unicorno di rapirti-
Abel tremò e rinserrò la presa sulle sue mani. Senza riflettere più sulla cosa, in un battito di ciglia gli raccontò di Saul, di Rudi. Della litigata con Telsa. Di come si sentiva in colpa per la morte di Gideon, delle accuse che gli aveva mosso contro Hauke e del bacio con Hauke. A che era intento in quel ballo pazzo, decise di concludere il numero muovendo gli ultimi passi raccontandogli pure di Florian, di quello che aveva scoperto sulla loro connessione e di cui non conservava il minimo ricordo.
-Ogni volta che penso di avere udito da te le cose peggiori, riesci sempre a stupirmi e smentirmi-
Abel sorrise teso e ritrasse le mani. -Una bella grigliata in famiglia. A base di erba, però, perché sono di nuovo vegetariano-
-Immagino- disse il poliziotto, sgranchendo le spalle. Sospirò e puntò i gomiti contro la superficie della scrivania, portandosi le mani davanti alle labbra, serrate in un solido pugno. -Non sono sicuro di voler invitare il tuo vampiro, però-
-Io non ricordo davvero nulla...-
-Ma se l'ha fatto senza il tuo consenso...-
Abel trasalì. Non gli piaceva la piega che stava prendendo quella loro conversazione. -Florian non mi avrebbe mai fatto nulla senza il mio consenso-
-A parte legarti a sé, attraverso un tipo di morso equiparabile a un rapporto sessuale-
No, non gli piaceva per niente tutto quello che stava passando per le loro teste – era sicurissimo che i pensieri di John rispecchiassero i suoi. -Non lo ricordo. Non significa che non fossi consenziente- adesso capiva perché Florian si era arrabbiato tanto quando ne avevano discusso. Socchiuse gli occhi, mentre un principio di mal di testa iniziava a solleticargli le tempie.
-Me lo auguro. Per te, soprattutto, che ti sei innamorato di lui-
-E per lui. Lui potrebbe...-
-Lui potrebbe fare una brutta fine, Abel, se venisse fuori che ha abusato di te. Lo consegnerei personalmente all'Associazione e non mi interesserebbe un cazzo di niente del suo destino-
Sussultò. -Non dire così, per favore- disse con un filo di voce.
John scosse la testa e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. Quando tornò a guardarlo in viso, Abel notò subito che aveva indossato la sua solita espressione impenetrabile.
-Avevi ragione-
Il cambio repentino di argomento lo destabilizzò e gli impedì di capire subito a cosa l'altro si stava riferendo. Aggrottò la fronte.
-La baita. Il contenuto dei vasi. La scientifica ti ha dato ragione- spiegò John.
Si alzò e Abel scattò indietro di colpo. Il commissario gli rivolse un lungo sguardo silenzioso, finché Abel non finì per sentirsi arrossire per la vergogna e l'altro distolse gli occhi da lui. Si sentiva confuso, giudicato, spaventato.
Baker si avvicinò a una cassettiera di metallo, aprì uno dei cassetti e ne tirò fuori qualcosa, mentre Abel registrava le sue azioni come se si stessero svolgendo al rallentatore, non riuscendo a comprendere in pieno il senso dei suoi movimenti. John tornò sui propri passi e Abel schiuse le labbra e sollevò gli occhi per incontrare i suoi.
-Sto parlando del caso- specificò Baker e pose un fascicolo al centro della scrivania.
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