TRENTATRÉ
Aveva voglia di caffè.
Aprì gli occhi.
La voglia di caffè rimase inalterata, anzi, iniziò a farsi più pressante.
Caffè. Tipo subito.
Abel si alzò dal letto e si mosse verso la cucina. Gli bastò aprire la porta della camera per essere investito in pieno dall'aroma inconfondibile di caffè.
-Mi leggi la mente?-
Florian parve irrigidirsi sul posto, ma poi si volse verso di lui con un gran sorriso stampato in volto.
Non gli piaceva per niente, quel sorriso. Possedeva un vago retrogusto di falsità, e no, non gli piaceva per niente.
Scrollò le spalle e allungò una mano verso di lui, e subito l'altro si affrettò a passargli una tazza stracolma di caffè.
Abel iniziò a sorseggiare la bevanda, sedette sul tavolo e prese a ciondolare i piedi. Si sentiva ancora stordito, anche se, effettivamente, gli effetti collaterali di un pomeriggio di sesso gli avevano reso i muscoli meno tesi, la pelle più morbida, la testa meno pesante.
Avrebbe fatto sesso pure con Florian, in quel preciso istante, per giunta, se non fosse stato per via di quel – piccolissimo – particolare che lo faceva dubitare di essere diventato l'amante di un potenziale nemico.
Continuò a sorseggiare il proprio caffè, mentre il vampiro gli scostava i capelli dalla fronte con una delicata carezza. -Stai bene?- chiese e Abel gli rivolse uno sguardo di sottecchi.
-Una favola- ribatté con tono ironico.
-Hai mangiato?-
Aggrottò la fronte. -Ieri mattina- era passato davvero così poco tempo dalla sua chiacchierata con John, dall'aver sorpreso Florian e Magda insieme? Percepì le rughe sulla fronte farsi più profonde. Era passato troppo tempo dal suo ultimo pasto. -Mi fai qualcosa da mangiare, per favore?-
Il vampiro annuì con un sospiro rassegnato. Poco dopo, Abel divorò un paio di toast, dei pancakes e una mela, poi si congedò da Florian – che lo aveva avvisato che sarebbe uscito per fare delle compere, e poco, ormai, credeva alle sue parole – e corse a farsi una doccia. Una volta terminate quelle – strane, e per lui, fuori dal comune – attività quotidiane, tornò in cucina, trovando Reik intento a fare colazione. Neanche il tempo di un bacio e pure il suo secondo amante lo lasciò in asso, sparendo di casa per recarsi dal fisioterapista.
Quella situazione stava, seriamente, cominciando a farlo incazzare.
Decise di tornare a letto.
Avrebbe dormito.
Chiuso gli occhi.
Riposato.
Cancellato il resto del mondo dalla sua mente.
Per la prima volta dopo mesi, gli dispiaceva aver litigato con Magda: avrebbe potuto accettare – finalmente – la sua proposta di renderlo il nuovo Bel Addormentato e risparmiargli una marea di scocciature.
Ovviamente, non riuscì a prendere sonno. Tentò pure di corteggiare il proprio corpo con qualche carezza sensuale, nel tentativo di rilassarsi con del sano autoerotismo, ma i pensieri presero il sopravvento sull'eccitazione, smontandogliela sul nascere.
Forse dovrei trovarmi un terzo amante.
Ma c'era pure il rischio di dover interrompere bruscamente la sua relazione con Florian, e ciò avrebbe significato diventare di colpo monogamo.
No. Non era neanche contemplabile.
Gli sarebbe dispiaciuto che pure Reik perdesse il vampiro, ma di certo non poteva decidere anche per lui. Reik gli aveva già lasciato intendere di non credere granché ai possibili complotti di Florian, né si poneva domande sulle ambiguità del loro amante.
Preferiva non sapere, era evidente.
Ma, ad Abel, di raccogliere i cocci del suo cuore al termine di quella storia proprio non andava. E non solo perché sapeva benissimo di non essere la persona più indicata per consolare qualcuno: non voleva un bad ending. In cuor suo, anche lui, proprio come Reik – e come John non avrebbe mai dovuto sapere – sperava ancora che Florian non li stesse tradendo. Che non fosse un dannato doppiogiochista manovrato da Magda.
Perché? – era una domanda a cui non riusciva a darsi una risposta. E questo alimentava in lui, ancora, la flebile speranza di poter godere di un dannato happy ending.
Sbuffò e il suo cellulare squillò. Partì l'immancabile suoneria di Nove settimane e mezzo e neppure quella fu in grado di strappargli un sorriso, anzi. Era stato così preso dai propri pensieri che sobbalzò, e subito dopo rise di se stesso e della propria stupidità. A distanza di settimane – forse mesi – rammentò pure che aveva deciso di cambiare suoneria ma, tra una cosa e l'altra, il tempo era trascorso e lui se ne era dimenticato.
-Pronto?-
-Ehi, capo-
Abel staccò il cellulare dall'orecchio e lesse il nome del chiamante: Numero Sconosciuto. -Roberto?- chiese, riaccostandosi al cellulare: gli sembrava di aver risconosciuto la voce del vampiro.
-Al tuo servizio, capo-
-Te l'avrò detto tipo duecentomila miliardi di volte, porca puttana! Non chiamarmi capo!-
-Adirato con la mattinata... uhm. Devo preoccuparmi? Non ti hanno sbattuto neanche in tegamino, ultimamente?-
-Roberto- disse con tono perentorio, sentendosi arrossire.
Com'era possibile che tutti si sentissero autorizzati a speculare sulla sua vita sessuale?
-Sì?-
-Ti preferisco quando magheggi con il tuo cazzo di computer e taci-
Sentì ridere. -Sono in città- disse il vampiro, cambiando argomento con un certo tatto.
Abel sospirò. -Ci sono novità?-
-Nulla di concreto. Quindi ho preferito ripiegare verso casa-
-Hai sentito Telsa?-
-Sì. È qui con me-
-Qui dove?-
-Al MoonClan. Tu quando arrivi? Così parliamo di presenza-
Abel si premette due dita contro una tempia. -In realtà... avevo intenzione di prendermi qualche giorno di riposo dal lavoro. Non sono in vena di spettacoli divini-
-Uhm- fece Roberto, ma non aggiunse altro. Se le sue parole gli avevano suscitato curiosità, non lo diede a capire per niente. -Allora veniamo noi da te?-
-Sto un po' incasinato al momento con altro. Tipo un ex in ospedale, una famiglia allo scatafascio, un fidanzato dal fisioterapista, l'altro fidanzato... meglio no comment. Krause è in prigione, dopotutto- e mentre diceva così decise di alzarsi dal letto: la voglia di dormire si era esaurita del tutto e con lei la pazienza. Inutile insistere, non sarebbe riuscito a far tacere i pensieri neanche se si fosse fatto asportare il cervello da uno bravo.
-Erich è fuggito- si intromise la voce di Telsa in lontananza.
-Ci sta già pensando la polizia. Acciufferemo tutti i complici di Krause, ma... una cosa per volta. Altrimenti esplodo-
-Ricevuto, capo-
-Roberto!-
-Qui ci pensiamo noi-
-Bene. Allora resterò a casa, nei prossimi giorni. Diciamo che mi prendo una settimana di ferie dal MoonClan-
-Stai sereno, penseremo a tutto noi due. Tu cerca di restare almeno vivo. Ciao- e chiuse la telefonata senza neanche dargli il tempo di ricambiare il suo saluto.
Sospirò.
-Perché non andrai al lavoro? Tutta questa pigrizia di certo non l'hai ereditata da me e tua madre-
Si sentì rabbrividire. Brividi spiacevoli, tesi, dolorosi. Si girò verso l'ingresso di casa, sentendosi catapultato come all'interno di un film dell'orrore, pronto a sorprendere lo psicopatico assassino alle proprie spalle. E non era neanche tanto lontano da una tale immagine – dopotutto, stava scoprendo proprio in quell'istante di essere bravo nel riconoscere le voci altrui, e quella che aveva appena udito la conosceva molto bene.
Appoggiato allo stipite della porta d'ingresso, intento a rigirarsi tra due dita un grimaldello, si trovava Saul. In tutta la sua maestosa presenza, con annessa faccia da schiaffi.
Sì, la visita di uno psicopatico assassino sarebbe stata quasi più gradita.
Si morse un labbro. Aggrottò la fronte. Come osava sentenziare sulla sua vita da lavoratore? -Ciao, papà- disse con vocina soave. Saul trasalì e Abel percepì una piacevole emozione attraversargli il petto. Ridacchiò. -Ti spaventi così facilmente?- lo provocò. Di colpo, si stava divertendo un mondo.
-Non mi spavento-
-Ti dà fastidio-
-Non sono abituato, è diverso. Prima non mi chiamavi mai papà, se non, appunto, per indispettirmi-
-Prima non sapevo che tu fossi il mio vero padre-
-Ma sapevi che ti avevo adottato-
-Vero, ma mi facevi troppa paura. Non rientravi nella mia idea idilliaca di padre, anche se ti ho sempre amato tanto- Saul si strinse nelle spalle. -Non ho molti ricordi del mio passato, però adesso conservo molta rabbia per via del fatto di essere stato abbandonato da voi- e la sua voce assunse sfumature rabbiose.
Non aveva idea neppure lui del perché avesse riaperto quella ferita, e proprio in quel momento – ma la rabbia giocava brutti scherzi.
Saul reclinò il capo da un lato, i muscoli di collo e braccia guizzarono contraendosi e rilassandosi subito dopo. L'espressione del suo viso si fece vacua e Abel ebbe come la sensazione di stare per essere risucchiato dentro il suo sguardo. Distolse gli occhi dai suoi, puntandoli sulla spaventosa cicatrice che gli attraversava il volto diagonalmente. -Siamo stati costretti da Mandus- disse l'uomo dopo un po' e il suo tono gli parve colmo di sfida.
Forse si aspettava pure che non gli rispondesse, ma Abel era Abel e non riuscì a trattenersi. -Ero già allora vostro figlio- sibilò, continuando a fissare morbosamente la sua cicatrice, fantasticando come sarebbe stato avere il potere di riaprirla e tentare di causare in lui un dolore, un dolore lancinante, anche fisico – si sarebbe accontentato –, che fosse almeno un decimo intenso rispetto a quello che lui aveva patito a causa della sua famiglia.
-Sei nostro figlio e conosci benissimo la realtà del Clan. Non farti passare per stupido-
-Ho vissuto nella miseria, per strada...-
-No-
-Ho ricordi frammentati, ma...-
-Sono ricordi irreali. Ricordi che ti sono stati infilati dentro la testa affinché tu non ricordassi la realtà-
Abel sgranò gli occhi. Stava per scoprire l'ennesimo inganno della propria vita?
Perché Saul si trovava lì?
Era stato Rudi?
Rudi aveva ricevuto uno squillo di telefono da parte sua e invece di correre in suo aiuto gli aveva spedito Saul?
Come aveva fatto Saul a guadagnarsi tanta fiducia da parte di Rudi?
Rudi che, nel migliore dei casi, in passato, avrebbe preferito fare fuori chiunque gravitasse intorno ad Abel con l'intenzione di fargli del male – quello stesso Rudi, aveva preferito spedire da lui il loro favoloso paparino?
Gli sembrava assurdo.
-Quale realtà?- chiese con un filo di voce.
-I ricordi nella tua mente, riguardo i primi anni della tua vita, sono irreali, manipolati affinché non ricordassi determinate cose-
-E perché mai avrei dovuto preferire di ricordare di essere vissuto nella miseria invece che ricordarmi della verità?- domandò con voce sibillina, mentre miliardi di ipotesi gli si affollavano tra i pensieri, tracciando nuove strade per nulla piacevoli.
-Non ho detto che avresti dovuto preferirlo tu-
-Figurarsi se, alla mia veneranda età, sono pure libero di decidere quel cazzo ch'è meglio per me!- urlò.
I suoi occhi si spostarono involontariamente verso quelli di suo padre e l'espressione che lesse in lui lo fece rabbrividire. Non sembrava pentito per nulla. Gli aveva appena rivelato di aver modificato – in qualche modo – i ricordi del suo passato, eppure sembrava tranquillo, addirittura a tratti divertito.
-Certe cose è sempre preferibile che restino nascoste anche alle persone direttamente coinvolte-
Si morse un labbro. -Chi mi ha fatto una cosa del genere? Chi ha alterato i miei ricordi?- anche se Abel credeva già di avere una risposta per questa domanda.
-Secondo te, perché mai uno come me, un licantropo e per giunta capoclan, va tanto d'accordo con una cazzo di lamia? Siamo nemici per natura-
Bingo.
Avrebbe voluto urlare di nuovo.
Ma aveva senso.
Aveva senso che Saul e Magda andassero tanto d'accordo nonostante per le lamia i licantropi non differenziassero poi tanto dai mannari. Entrambe le comunità avevano di che odiarsi a vicenda: le lamia si ritenevano di gran lunga creature moderne, dall'intelligenza superiore, dalla cultura sopraffina – dopotutto, discendevano direttamente dalle creature mitologiche che avevano popolato i racconti degli antichi greci. I licantropi restavano animali, animali con bassi – e troppo spesso deplorevoli – istinti. Testardi, attaccati morbosamente al concreto e una forma di vita più dura. Le due comunità non avrebbero potuto essere amiche neanche volendolo, appartenevano a due culture che tra di loro si scontravano...
A meno che. A meno che, come al solito, ci finisca di mezzo io.
-Cosa vorresti dire con questo?-
-Che io e Magda abbiamo fatto un patto. Firmato un accordo-
-Che genere di accordo?-
Saul sorrise e reclinò il capo da un lato. -Di collaborazione. Di non belligeranza. Di supporto. Un accordo completo, a tutto tondo. Una gran rottura di cazzi per entrambi-
-Ma l'hai fatto... cioè, l'avete fatto- Saul annuì, ma non aggiunse altro. -Magda ha costruito ricordi nella mia mente che non corrispondono al vero. Quindi... che cazzo di fine ho fatto io, per davvero, durante i miei primi anni di vita?-
Saul contrasse le labbra in una linea sottile e tutti i lineamenti del suo volto si tesero, restituendogli un'espressione affilata e pericolosa. -Eri al sicuro. Con Magda. Ma era meglio che questa storia, un bambino con la parlantina facile già allora, non se la lasciasse sfuggire con nessun altro del Clan-
Bussarono alla porta e Abel corse ad aprire. Qualsiasi cosa sarebbe stata ben apprezzata purché gli permettesse di porre fine a quel supplizio.
Voleva sapere.
Non voleva sapere.
Gli sembrava tutto troppo assurdo, ingiusto.
Dannatamente ingiusto.
Spalancò l'uscio senza neanche guardare prima dallo spioncino della porta.
Davanti a sé scoprì Reik. Un Reik in piedi, che si reggeva con un paio di stampelle e lo fissava con uno sguardo colmo di gioia e amore.
E lui si sentì subito in colpa perché, comprese immediatamente, che quello non era affatto il momento giusto per una sorpresa.
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