TRENTADUE

-Questo significa che...-

-Che d'ora in avanti- disse Gesche, interrompendolo. -Klaus sarà la tua guardia del corpo-

-Che cosa?!- sbottò e sua madre scosse la testa.

-Non ammetto repliche né rifiuti. Non possiamo più fidarci neppure del branco-

-Perché proprio lui?- insistette Abel, puntando un dito contro l'uomo.

-Perché... anche se Hauke sta con Geert, sanno tutti, Geert per primo, quello che davvero Hauke prova per te. Anche Klaus, soprattutto Klaus ché di Hauke è il miglior amico. Il fratello che ha scelto-

Abel si girò a guardare l'uomo. Teneva le braccia incrociate sull'ampio petto e sul suo viso spiccava un'espressione che pareva voler dire: Mi sono rotto il cazzo di tutto questo, ma non posso fare altrimenti – e sapeva che era proprio così.

Klaus era davvero la miglior persona che Gesche avrebbe potuto affiancargli, nonostante in passato si fosse guadagnato il soprannome di Veleno proprio per via di tutte le angherie da bullo che gli aveva riservato. Ma era il miglior amico di Hauke e Hauke amava Abel, nonostante tutto.

Scosse la testa. -Non voglio una spina nel fianco acca ventiquattro...-

-Ai tuoi occhi, Klaus resterà invisibile, ma sappi che veglierà su di te in ogni istante-

Era un ammonimento. Sua madre, con la scusa di volerlo difendere, era riuscita a mettergli una catena al piede.

Si premette due dita sulle tempie e chiuse gli occhi.

Come al solito: troppe cose e tutte insieme.

Non poteva mai permettersi il lusso di oziare, mandare tutti a farsi fottere da qualcuno bravo, perché pareva che la Vita fosse subito lì, con il fiato sul suo collo, pronta a ricordargli che no, il tempo dei giochi si era esaurito da un pezzo.

E con lui mi sto esaurendo anch'io.

Riaprì gli occhi e una fitta gli attraversò il cranio. La sentì propagarsi alla velocità della luce da un angolo del labbro superiore – che tremò –, su per il naso e poi di corsa nel cervello, dove esplose, portando con sé una nuova consapevolezza – stracolma di dubbi e nuove domande.
Deglutì.

I nomi sulla lavagna erano gli ostacoli.

Scosse la testa. -Devo andare-

-E tutta la tua voglia di vedere Hauke?- chiese Klaus.

Si volse verso di lui, rivolgendogli un'occhiata sprezzante. -Senti, Super Bodyguard dei miei stivali! Non è colpa mia se Geert si sente sminuito al mio cospetto, dinanzi a tanta divinità. Lo posso pure capire, eh! Ma non è colpa mia!-

-Stai cominciando a sparare stronzate-

-È la verità! Probabilmente ce l'ha pure più piccolo del mio!- esclamò con enfasi, godendo del lieve rossore che parve imporporare guance e naso del licantropo.

-Abel- lo richiamò sua madre e lui si limitò a scuotere le spalle.

Non si girò neppure a guardarla: non faceva più parte del Clan, non era suo dovere risponderle, né obbedire ai suoi ordini.

Dopotutto, è proprio per questo motivo che si diverte a rapirmi.

Sbuffò. -Con permesso- disse e corse in direzione della porta, uscendo dalla stanza prima ancora che a uno dei due venisse in mente di trattenerlo ancora.

Era certo che sua madre lo avrebbe fatto seguire da Veleno – glielo avevo proprio bellamente detto in faccia.

Altro che guardia del corpo: mi ha messo alle calcagna l'ennesima spia del cazzo.

Uscì dall'ospedale con la mente piena di pensieri. Avrebbe voluto contattare John, ma, a parte il fatto che il suo amico doveva essere sicuramente incasinato fino al collo con il discorso delle indagini e della presunta aggressione a un suo consulente, era quasi certo di dover prima avere delle conferme ai propri sospetti, anziché buttare nel casino pure lui con il rischio di rendere la verità sempre più lontana.
Era quello che capitava, quando si trattava degli affari del Clan: più eri umano, più i casini e i dubbi crescevano, e le domande non trovavano risposte. Lui, Abel, era l'anello che legava il Clan al mondo degli umani. Figlio di licantropi, cresciuto da licantropi, ma umano. Forse, lui aveva ancora la speranza di trovare la verità in mezzo a tutte quelle bugie e cose tenute morbosamente segrete.

Mentre chiamava un taxi, pensò al modo più veloce e indolore per arrivare alle sue dannate risposte.

Non poteva di certo chiedere ad Hauke – visto che si trovava agonizzante nel fondo di un letto d'ospedale.

Non poteva chiedere a Saul, a sua madre, a nessuno saldamente legato al Clan.

Non poteva chiedere a Telsa ché, per quanto gli fosse leale, per quanto fosse immischiata in quella storia per via di suo fratello e del suo nuovo sodalizio con la polizia, anche lei aveva abbandonato il Clan e di certo nessuno le avrebbe rivelato un cazzo.

Salì sul taxi sbuffando. Si diede il tempo di dare l'indirizzo di casa propria all'uomo alla guida e poi sospirò, chiuse gli occhi, tentando di isolarsi mentalmente e di dare così ordine ai propri pensieri.

Rudi.

Rudi un cazzo.

Rudi è l'unico che può aiutarci.

Coscienza... non credo sia proprio il caso di iniziare a parlare al plurale, sono solo io.

Io sono la Divina, tu sei Abel il casinista. Un vero idiota! Aveva ragione quel fustaccio velenoso.

Vedi se mi devo fare pure insultare dal mio altergo.

Non sono il tuo altergo, sono una parte di te, quella sana di mente e divina.

Sicuro sto impazzendo.

Riaprì gli occhi tentando di interrompere quella folle discussione con se stesso.

Rudi sicuramente lo avrebbe aiutato, se Abel gli avesse chiesto aiuto. Pareva vivere solo per quello, per lui, in funzione di lui. Ma Rudi era diventato la spia di Saul, il tramite di cui suo padre si serviva per carpire informazioni dal Clan e da Abel stesso.
Era un'arma a doppio taglio: sapeva che Rudi impazziva d'amore per lui, ma non era certo che ciò sarebbe bastato a impedirgli di rivelare a Saul tutto quello che avrebbe potuto apprendere da un loro ipotetico incontro.

Il taxi si fermò e Abel sussultò.
Scese dal mezzo, pagò la corsa. Recuperò il proprio cellulare, se lo rigirò tra le mani per un paio di secondi. Alla fine si decise a far partire una chiamata al numero di Rudi. Appena udì il primo squillo se ne pentì, interruppe la telefonata e ripose il cellulare al sicuro in una tasca dei pantaloni, pregando che suo fratello non lo ricontattasse.

Una volta varcata la soglia di casa, Abel venne accolto da uno strano silenzio. Si guardò attorno: la cucina era in ordine, le finestre aperte, le tende tirate. Un leggero alito di vento entrava in casa rendendo l'aria leggera, piacevolmente calda. Le temperature stavano iniziando ad abbassarsi, ma in maniera mite, regalando giornate luminose, non più afose. Piacevoli. Era certo che da lì a un paio di settimane – come ogni anno – sarebbe arrivato un freddo gelido a congelargli le ossa, senza neppure passare per l'autunno. Ma quella era una cosa che rientrava nel genere di sicurezze che non gli davano fastidio. Adorava tutte le stagioni – nel senso che le odiava tutte allo stesso modo – quindi non vedeva l'ora di accogliere l'inverno con un sentito vaffanculo.

L'idea di tornare a indossare sottili collant e a traballare in tacchi alti sull'asfalto scivoloso di ghiaccio non lo faceva impazzire di gioia.

Sospirò, continuando a guardarsi intorno in cerca di segni di vita.

E menomale che ho due amanti! E non ne trovo manco mezzo, in giro...

Mentre formulava questo pensiero, varcò la soglia della camera da letto. Anche lì le finestre erano state lasciate aperte, ma le serrande erano abbassate in buona parte, tanto da restituire soltanto sottili lingue di luce dorata che andavano ad accarezzare vagamente l'ambiente.
Dal letto proveniva un vago russare.
Abel aggrottò la fronte.

Bella vita..., pensò, alzando gli occhi al soffitto, rimpiangendo di non essersi rotto qualche osso, negli ultimi tempi, di essere immune ai cambi climatici e quindi alle influenze stagionali, di non avere una valida scusa per restare a casa e non fare un cazzo dalla mattina alla sera.

Potrei tornare ad avere un'alimentazione regolare.

Potrei darmi a qualche hobbies... tipo dare da mangiare ai piccioni, rincorrere scoiattoli. Demolire il Kalmenhof, picchiare qualcuno dell'A.S.S.S.

No, troppa fatica e troppa violenza.

Uhm. Potrei fare più sesso, scoprire nuove posizioni, cose più da me, ecco...

Gonfiò le guance e rilasciò l'aria molto lentamente.

Era un'ingiustizia che Reik, il suo Reik, l'unico dei suoi uomini che aveva trovato in casa, stesse dormendo.
Come osava dormire?

Balzò sul letto e l'uomo si svegliò di soprassalto con un mezzo urlo, che subito Abel mise a tacere con un bacio.

-Amore...- bofonchiò Reik e lo baciò ancora, e ancora, spingendosi contro di lui. -Abel- lo richiamò, e lo afferrò per i polsi, cercando di allontanarlo da sé. -Che cosa è successo?-

Abel percepì gli occhi riempirsi di lacrime. Scosse la testa e i capelli gli ricaddero davanti al viso. -Ho bisogno di te- mormorò con voce incrinata.

Reik si tirò a sedere a fatica, facendo perno su un gomito, mentre stringeva ancora un suo polso. Si portò la sua mano alle labbra e ne baciò con dolcezza il dorso. -Sono qui-

-Ti voglio. Adesso- mormorò e tornò a farglisi vicino, accostando la bocca alla sua.

Percepì le labbra di Reik muoversi in un sorriso contro le sue e scosse la testa, mentre gli prendeva il volto tra le mani. -Abel, sono qui- lo baciò, soffocando le sue parole, impedendogli di ribattere con qualche battuta sprezzante.

La commozione si era già esaurita ed era subentrata una sorta di rabbia scoppiettante, gioiosa. Non sapeva se tutto ciò avesse un senso e che senso aveva, ma era quello che sentiva.

Sedette carponi sulle sue gambe e lo spinse verso il basso, finché la sua nuca non toccò di nuovo il cuscino, accarezzandogli il petto, scendendo sempre più giù, in cerca dell'orlo inferiore della maglietta.

Reik tornò a stringergli i polsi, impedendogli di spogliarlo. -Sicuro che prima tu non voglia dirmi che cosa è successo?-

Scosse la testa. -Dopo. Ti giuro che dopo ti racconto tutto, adesso ho bisogno di te- soffiò sulle sue labbra, riprendendo a baciarlo con maggior foga.

Reik si lasciò spogliare e osservò Abel spogliarsi a sua volta, con occhi colmi di un'emozione torbida, intesa, così passionale che ad Abel si mozzò il respiro in gola.

Tornò a cavalcioni su di lui, accarezzando la sua pelle nuda, baciandogli il collo, scendendo sul petto. Mordicchiò la pelle vicino all'ombelico, facendolo inarcare sotto di sé, e scese ancora, scivolando ai piedi del letto, trovandosi davanti il suo membro. Lo avvolse con una mano e lo guidò dentro la propria bocca.

Desiderava nutrirsi di lui, inebriarsi, cancellare ogni altra cosa.

C'era troppo orrore nella sua vita. Da quando questo aveva preso il posto dell'amore?
Era intollerabile.

Intollerabile.

Era arrivato il momento di ribaltare la situazione.
Rivoleva l'amore.

Meno orrore.

Più sesso, magari.

Meno casini creati dagli altri, più casini creati da lui, ché quest'ultimi, di certo, avrebbe saputo come gestirli.

Riprese a massaggiarlo con una mano e sollevò il viso per incontrare il suo sguardo. Reik tremava e si mordeva le labbra ed era uno spettacolo privo di eguali. Avvicinò il bacino al suo e iniziò a toccarsi a sua volta, strusciandosi contro il suo amante, sentendolo gemere di piacere. Con la dita dell'altra mano iniziò a prepararsi ad accoglierlo dentro di sé, e quella doppia stimolazione fu in grado di annullare tutti i pensieri angosciosi che si era portato dietro fin dentro al letto.

Si morse un labbro e si mosse sopra di lui, prendendolo dentro il proprio corpo.

-Abel- ansimò l'uomo e chiuse gli occhi, reclinando il capo ed esponendo il collo.

Abel seguì i movimenti frenetici del suo Pomo d'Adamo e iniziò a muoversi sopra di lui. Strinse le cosce, inchiodandolo sotto di sé, e si spalmò sul suo corpo, come a volerlo avvolgere tutto, ad averlo tutto per sé, senza neanche tralasciare un millimetro. Se avesse potuto, era certo che avrebbe accettato di fondersi completamente con lui, perché il calore pareva non bastare mai e ad ogni carezza che si concludeva subentrata il gelo, un brivido in grado di pizzicargli il cuore, aprendogli nel petto un vuoto, lasciandogli in bocca un sapore amaro.
Troppo amaro.

E si sentiva infelice, teso, pure mentre stava facendo l'amore con il suo Reik.

Intollerabile.

Folle.

Sto impazzendo.

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