TREDICI

Si svegliò scoprendo che era già pomeriggio inoltrato. Poche ore e avrebbe dovuto recarsi al lavoro. Era bello sapere che John Caro non aveva trovato nel frattempo nessuna buona scusa per svegliarlo.

Come fosse finito di nuovo a letto restava un ricordo vago, pieno di piacevole confusione post-sesso.

Reik.

Si tirò a sedere di colpo, bloccandosi un istante prima di dare una testata a Florian, scoprendo il vampiro seduto sul bordo del letto, al suo fianco.

-Buongiorno- biascicò, muovendosi sotto il lenzuolo, rendendosi conto di essere nudo.

Tirò il lenzuolo sul petto, sentendosi arrossire. Non che Florian non lo avesse già visto nudo, ma continuava a essere colpito – nei momenti più inopportuni – da un certo pudore. Doveva ancora fare pace con se stesso e con le proprie insicurezze: ogni tanto veniva travolto dal dubbio che a uno o all'altro dei suoi amanti potesse dare fastidio vedersi spiattellare, senza ritegno, che aveva appena fatto sesso con uno dei due, "preferendolo" a lui.

Florian sorrise e i muscoli di Abel si sciolsero all'istante, abbandonando ogni tensione. -Ti ho preparato la cena-

-La colazione?-

-La cena- puntualizzò il vampiro e Abel era certo che lo stesse – di nuovo – rimproverando di non prendersi abbastanza cura di sé.

Aggrottò la fronte, ma poi gli giunse l'odore del cibo che si trovava nel piatto posto sopra al comodino. Si girò in quella direzione e afferrò il piatto, divorandone il contenuto in pochi istanti. Quando ebbe finito, notò Florian scuotere la testa con espressione rassegnata. -Sei un ottimo cuoco! Era tutto squisito-

Florian sorrise e fece per alzarsi, ma venne interrotto dal suono di una melodia sconosciuta. Abel sussultò, ma poi si girò di nuovo verso il comodino – da dove proveniva la melodia – e scoprì che la fonte era il suo cellulare.  

-Come fanno ad avere il mio numero?-

-Hai sempre lo stesso numero di telefono, è cambiato il cellulare...-

Florian non ebbe tempo di finire la frase che Abel aveva già afferrato l'apparecchio.

Sul display non compariva nessun numero, solo la parola Sconosciuto.

Aggrottò la fronte e si morse un labbro, accettando la chiamata, e si portò l'apparecchio a un orecchio, mentre i suoi sensi, inspiegabilmente, si ponevano sull'attenti, ricoprendogli la pelle di brividi spinosi. -Pronto?-

-Abel- Trattenne il fiato e tornò a mordersi un labbro. -Finalmente rispondi-

Percepì le rughe sulla fronte farsi più profonde, ricordando vagamente di una telefonata anonima già tra le notifiche del suo vecchio cellulare, la notte in cui era stato rapito dalla sua adorabile famiglia.

-Perché hai cercato me?-

-Perché mi fido solo di te-

Rimase in silenzio per qualche istante, mentre Florian si protendeva verso di lui, assumendo un atteggiamento minaccioso. Era certo che avesse udito e riconosciuto la voce del chiamante, e che la minaccia fosse tutta proprio per il suo interlocutore, ma Abel rabbrividì lo stesso nel vedere l'espressione del suo amante farsi tanto pericolosa. -Io ti ho denunciato-

Percepì Saul sospirare mesto. -Mi hai messo in una posizione scomoda, è vero...-

-Era una tua volontà?- lo interruppe, senza dargli ulteriori dettagli riguardo ciò che gli stava chiedendo.

Era certo che suo padre avrebbe capito, anche se lui non era riuscito a richiamare abbastanza coraggio per porgli una domanda diretta.

-No. Ma non potevo sottrarmi al volere del capoclan. Il mio ruolo di allora me lo impediva e Mandus aveva l'appoggio del branco- 

-Il branco non aveva la stessa importanza che ha adesso...-

-I membri del branco non avevano ruolo di consiglieri e di stretti collaboratori del capoclan, né alcun potere decisionale. Ma erano la maggioranza, a differenza di oggi. Il Clan di allora era molto piccolo. Mandus, invece, aveva un'ampia discendenza e quindi molto supporto- 

Abel fece una smorfia. -Non dovresti fidarti di me-

-Mi fido di te perché con te non ci sono mai sorprese...-

-Non sono un tipo così noioso-

Saul ridacchiò e Abel ebbe un sussulto. -Sei leale e sincero. Quando ci hai minacciati ero certo che avresti puntato su questa storia, perché sapevo che ne eri a conoscenza-

Abel tornò in silenzio, riflettendo attentamente sulle sue parole. -Perché mi hai permesso di denunciarti?- chiese con un filo di voce, comprendendo in quell'istante di essere stato la pedina di suo padre – ancora una volta.

Aveva agito seguendo inconsciamente il suo volere, anche se era stato certo di essersi mosso secondo il proprio. Non era stato così, e Saul era stato così bravo nel spingerlo ad agire che Abel aveva finito per non accorgersi dei fili che avevano mosso le sue stesse azioni. -Cazzo-

-Sei arrabbiato?-

-Sono furioso! Come diavolo ti è venuto in mente?! Hai abbandonato il Clan e adesso ce l'hanno tutti con me...!-

-Ho dovuto abbandonare il Clan- lo interruppe Saul.

Abel si morse l'interno di una guancia, mentre la porta della camera da letto veniva aperta e Reik compariva sulla soglia. Fuggì dagli sguardi dei suoi amanti, fissando gli occhi sulla trama del lenzuolo che lo copriva, stringendone un lembo con forza. -Perché?-

-Perché il Clan non è più un posto sicuro per me, al momento-

-Hai lasciato Mama in pericolo...-

-Gesche non è in pericolo-

-Hanno ripreso a lottare per il posto di capoclan...!-

-A cui lei non ha diritto. È lì perché tu ti sei volutamente allontanato dal Clan, rinunciando alla carica, e perché Hauke le ha ceduto il suo posto-

Abel socchiuse gli occhi. -Hauke è in pericolo-

-E tu. Ed io-

-Ma finché ti crederanno morto, se la prenderanno con me e Hauke...-

-Sanno che non sono morto. Per questo motivo continuo a nascondermi-

-Stai dicendo che perderesti?-

-Sto dicendo che non ho intenzione di diventare la bestia che uccide per il potere-

Aggrottò la fronte. -L'hai già fatto-

-No. Non era mia intenzione essere capoclan. Ho ucciso Mandus per te. Solo per riavere te. Il ruolo di capoclan non mi interessava proprio, è stato solo una conseguenza-

Abel percepì gli occhi riempirsi di lacrime. Strinse con forza il cellulare, mentre dentro di sé cercava di mettere a tacere l'omino della gioia: Sta mentendo, si ripeteva, tentando di smorzare l'entusiasmo. Vuole sicuramente qualcosa in cambio e sta colpendo il tuo punto debole. -A quanto pare, l'intolleranza al ruolo di capoclan è ereditaria-

Saul rise – un suono rauco e gutturale, spaventoso, che lo fece rabbrividire ancora.

Abel era spaventato.
Spaventatissimo.
L'ultima volta in cui era stato tanto spaventato sedeva sul sedile posteriore di un'auto della polizia, con Reik alla guida e John che occupava il sedile del passeggero. Sirene spente, mentre procedevano in direzione della Stazione di Polizia, verso l'inizio di quella storia che poi si era rivelata un vero e proprio incubo.

Non gli piaceva non avere facoltà di scelta ed essere trasportato dagli eventi, finendo per agire come una marionetta senza alcuna volontà propria.

Odiava la facilità con cui Saul giocava con i suoi sentimenti, sostenendo a gran voce che, tutto quello che faceva, era solo per il suo bene e il bene della loro famiglia, ma poi lo costringeva a fare cose che non gli piacevano per niente.

Tipo dubitare – ancora una volta – di Hauke.

Si ritirò nel proprio camerino, lasciandosi alle spalle la confusione che imperversava nella sala principale del MoonClan. I suoi passi vennero accompagnati da alcuni rimasugli di risate, suscitate proprio dal suo numero. Era riuscito a strappare più di un sorriso tra gli avventori del locale e di ciò c'era proprio di che essere fieri – dato che il suo umore era così tetro da avergli fatto temere, prima di esibirsi, di non essere in grado neppure di portare a termine lo spettacolo. Aveva superato ogni propria aspettativa, ma la testa non ne aveva voluto saperne di tacere.

Sedette sull'unica sedia presente nella stanza, e dovette farsi forza per non cedere all'impulso di ricambiare il proprio sguardo nello specchio. Non aveva voglia di vedersi rinfacciare le proprie emozioni.

Hauke.

Un pensiero fisso fin da quando aveva chiuso la conversazione telefonica con suo padre.

Hauke che stava cercando di rifarsi una vita senza di lui.

Hauke che aveva persino dichiarato di essere disposto a perdere tutto per difendere lui e Gesche.

Gli aveva creduto. Aveva davvero creduto alle sue parole. Si era fidato di lui – nonostante i brutti ricordi che conservava di lui, appartenenti a un passato neanche troppo lontano.

E Saul, come al solito, era riuscito a mandare a puttane tutte le sue sicurezze, incrinando la sua fiducia nei confronti di Hauke.

Era rimasto il cane da guardia di suo padre?

Era una domanda che lo stava perseguitando, installando in lui dubbi su dubbi.

Non c'era proprio da fidarsi di Hauke, se Hauke, anche quella volta, stava agendo seguendo il volere di Saul.

Non lo stava proteggendo perché lo voleva, ma perché costretto.

Forse stai correndo troppo.

Inizio a struccarsi con gesti pigri, mentre cercava di farsi coraggio.

Magari ti vuole davvero bene e davvero sta facendo tutto per proteggerti, non per obbedire a Saul. Magari non è lui il suo contatto all'interno del Clan.

Perché era certo che Saul fosse in stretto contatto con qualcuno del Clan, qualcuno di cui si fidava.

-Mi fido solo di te-

Cazzate.

E che gli forniva informazioni da dentro.

Esattamente come ha sempre fatto Hauke in quanto suo vice.

Non credeva che Gesche c'entrasse in maniera diretta, era quasi certo che Saul non l'avrebbe potuta mai esporre a un tale pericolo.

Queste cose pericolose le riserva solo a me!

Sbuffò e finì per specchiarsi.
Notò la propria pelle pallida, leggermente arrossata nei punti in cui aveva sfregato con più vigore le salviette struccanti. Le labbra erano gonfie e lucide di residui di struccante. Le ciglia umide e il contorno occhi si era fatto scuro e pesante, mettendo in risalto il colore chiarissimo delle iridi.

Aveva odiato a lungo gli occhi delle tonalità del cielo – come i suoi. Perché nessuno, tra i membri della sua famiglia, ne aveva di uguali. Era stato un po' come crescere vedendosi rinfacciare ogni singolo istante di non essere davvero figlio loro – non solo perché non si tramutava a proprio piacimento in un lupo gigante.

Invece aveva scoperto di essere loro figlio naturale, e il fatto che il padre di Gesche avesse lo stesso colore dei suoi occhi non era più stato un caso. Suo nonno, però, era morto da anni, e scoprire tanto tardi di avere il loro stesso sangue gli aveva impedito di entusiasmarsi con lui del fatto che si somigliassero.

Sospirò e si alzò, iniziando a cambiarsi.
Aveva bisogno di fare chiarezza. Di avere delle certezze e capire finalmente di chi avrebbe potuto continuare a fidarsi all'interno del Clan.

Recuperò il cellulare e compose – a memoria, Dannazione! – il numero di Hauke.

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