SETTE
E fu luce.
Gli occhi protestarono e per qualche istante la vista gli si riempì di immagini tremolanti, sfocate, e palline iridescenti verdi, rosse e bianche.
Richiuse gli occhi e scosse la testa.
Poco per volta prese consapevolezza del suo corpo, rendendosi conto di essere seduto, libero di muoversi.
Riaprì gli occhi.
Si trovava in una stanza ampia, dalle pareti rivestite di legno. Un grosso lampadario di ferro battuto scendeva dal soffitto, illuminando l'ambiente tramite la luce diffusa da lampadine dall'elegante forma a fiamma di candela. Sedeva su una poltrona rivestita di cuoio rosso. Si mise più comodo, poggiando le spalle contro lo schienale, e si guardò attorno.
Una credenza, un tavolo a ridosso di un muro. Una porta, una finestra, aperta, alla quale erano appese due tendine azzurre. Una finestra che dava su una notte esattamente identica a quella che si era lasciato sulla testa poco prima di essere rapito.
Rapito.
La mano sul polso.
Il cellulare in frantumi.
Il cappuccio.
Il buio e il silenzio.
Era stato rapito.
Ma non legato. Era libero. Libero di muoversi e scappare – a meno di non essere stato trasportato in un qualche torre traballante in culo al mondo, circondato da alligatori e altri mostri non meglio identificati.
La porta si aprì.
E la sfilata ebbe inizio.
Il primo a fare il suo ingresso, dall'alto dei suoi quasi due metri di altezza, per ampiezza armadio sei stagioni, fu Balthasar. I capelli brizzolati e gli occhi di uno slavato color miele che, nonostante l'età, riportava subito alla mente quello di Saul. E infatti era suo fratello, il primo dei fratelli Lorenz, seguito subito dopo dall'ultimo genito: Cassius, che in altezza e ampiezza avrebbe potuto benissimo rivaleggiare insieme agli altri due in una qualche competizione per bodybuilders.
Poi toccò ai figli di Balthasar, due armadi di appena quattro e due stagioni. Hias e Inge. Biondissimi, occhi miele, espressioni allegre e giocose come quelle di un Pesce blob appena eletto animale più brutto al mondo.
E, perché gli incontri piacevoli non arrivano mai da soli, ma sempre in compagnia, nella stanza entrarono anche Veleno e Acido – all'anagrafe rispettivamente Klaus Lange e Geert Meier, i suoi indimenticabili bulli dei tempi dell'adolescenza. Altri due armadi – sicuramente meno massicci dei Lorenz, ma più di lui, perché erano tutti più energumeni di lui, nel mondo – che avevano adorato prendersi gioco di lui, spalleggiati da niente di meno che dal loro leader: Hauke Vogel.
Il loro capo, il loro migliore amico.
L'ultimo a fare il proprio ingresso nella stanza.
Alto, enorme, gigante. Bellissimo. Occhi e capelli scuri, un filo di barba a rendere ancora più sensuale la linea decisa della mandibola.
-Wow. Siamo al completo, e io che, fino a poco fa, credevo che questa stanza fosse ampia-
-Solo perché sei sempre il solito nanerottolo-
-Una Divina di un metro e settanta compreso di tacchi, Acidello mio. Felice di scoprire che sei rimasto simpatico uguale uguale a quando eravamo ragazzini- Geert aggrottò la fronte e si fece avanti, ma Hauke lo fermò subito, allungando un braccio e poggiando una mano sul petto dell'amico. -E anche i tuoi neuroni. Wow, gli stessi due agonizzanti di allora. Felice di rivederli, soprattutto... ancora in vita!-
Geert ringhiò e Hauke gli rivolse uno sguardo colmo di rimprovero. A Geert, non a lui, e Abel ne fu così stupito da ammutolirsi.
Hauke.
Hauke.
Faceva male vederlo così, all'improvviso, senza alcuna preparazione psicologica adeguata per affrontare incontri del terzo tipo con il proprio primo grande amore, ex amante di una notte, con il cervello grande tanto quanto una nocciolina ammuffita – tanto da non riuscire a concepire che al mondo potessero esistere persone come Abel, fantastiche, meravigliose, ma, soprattutto, capaci di amare più persone contemporaneamente e con la stessa struggente e completa devozione.
-Ciao, nipote- lo salutò Balthasar e Abel sospirò con finto rammarico, ritrovando parole e ironia.
-Zietto caro, da quanto non ti vedo! Anche da qui mi è scomodo vederti, posso alzarmi? Mi sta venendo il torcicollo-
-Puoi fare quello che vuoi- intervenne Cassius.
-Pure andare via? Oh, ma grazie! È stato un piacere rivedervi sbucare fuori dagli incubi di me ragazzino, arrivederc...-
-Abel-
Abel si interruppe e si girò di nuovo in direzione della porta. Si era alzato, pronto a prendere commiato il prima possibile da quella riunione di famiglia a cui lo avevano costretto – rapendolo!
E non per "finta" come aveva accusato Reik di aver fatto, la prima volta in cui si era svegliato in casa sua, dopo che si era sentito male su una scena del crimine estremamente devastante a livello psicologico.
Lo avevano rapito davvero.
Tramortito per strada, incappucciato – sicuramente, proprio come nei film! –, trascinato contro la sua volontà lì – ovunque fosse lì, visto che non aveva la più pallida idea nella casa di chi si trovava.
-Gesche- disse Abel con un sospiro, rispondendo al richiamo colmo di rimprovero con cui sua madre lo aveva messo a tacere. -Ogni volta che ti vedo posso rincuorarmi nel darmi una spiegazione sul perché io non spicchi di altezza e corporatura armadiale, visto che adesso so di essere vostro figlio naturale-
-Hai due genitori. Tu e i tuoi fratelli avete ereditato il fisico dal ramo della mia famiglia-
Abel sospirò e tornò a sollevare lo sguardo sulle specie di montagne che incombevano su di lui. Lo consolava il fatto che pure Rudi, suo fratello, fosse altrettanto diversamente alto e mingherlino di fisico, esattamente come lui – Ada non contava, nonostante fosse sua sorella di sangue, gemella identica a Rudi.
Ada aveva già smesso da tempo, per lui, di far parte della sua famiglia d'origine.
Più o meno da quando aveva tentato di uccidere il suo Reik.
-E quindi, mi avete rapito per fare una grigliata di famiglia? Chi arrostiamo?-
-Abel- lo ammonì ancora sua madre, prendendo posto sulla poltrona che Cassius aveva posto di fronte a quella che aveva occupato lui, mentre tutti gli altri si spostavano su entrambi i lati della stanza, esattamente come dei cani da guardia tenuti al guinzaglio, in attesa di scattare al minimo segnale del padrone: Gesche.
Hauke si pose più vicino possibile al fianco destro della donna e quindi Abel finì per avercelo di fronte, assolutamente impossibile da ignorare, da escludere dalla vista.
Risedette, rassegnandosi a una riunione di famiglia senza grigliata.
-Non vorrai sprecare il falò di Saul, no? Sicuro quelli dell'A.S.S.S. lo tengono ancora acceso-
Balthasar ringhiò. Un ringhio basso e sommesso, spaventoso. Se lo sentì riverberare nella pancia e nel petto.
E poi, gente come l'Ispettore Klein si stupiva perché una cosina insignificante come lui non saltasse via terrorizzato al primo sguardo intimidatorio.
Come avrebbe mai potuto, quando ringhi da incubi, armadi umani, espressioni colme di minacce e promesse di dolore, erano sempre state per lui la normalità?
Si schiarì la gola e si umettò le labbra. -Perché sono qui?- domandò, andando dritto al nocciolo della questione, nella speranza che Balthasar, o chi per lui tra i presenti, non perdesse la pazienza troppo velocemente con il rischio di ridurre il suo povero scheletro in sale da cucina.
-Te l'ho detto che avevo bisogno di parlare con te, ma tu continui a fare i capricci, a ignorarmi-
-E quindi hai pensato bene di rapirmi-
-Avevo bisogno di parlare con te-
-Bene, sono qui. Puoi parlare, non è detto che io ti ascolti-
-Dannazione, Abel!- tuonò Hauke. -Sei in pericolo-
-Sono sempre in pericolo. Per colpa vostra-
-In realtà, anche questa volta, ti ci sei cacciato dentro da solo- disse Gesche e la sua espressione si fece rammaricata.
Abel si leccò le labbra, percependo ancora il sapore del rossetto sulla lingua. Si pentì di non averlo rimosso insieme al resto del trucco, temendo che sua madre potesse intuire che lo aveva tenuto cedendo all'impulso di sentirla più vicina condividendo con lei il colore del suo rossetto.
Una cosa stupida.
Ma Abel in versione vecchio romantico nostalgico non brillava di molta intelligenza.
-Che intendi dire?- chiese in un sussurro rassegnato, afflosciandosi sulla poltrona.
-Stai agendo contro il Clan, facendo sparire alcuni di noi-
-Sono soltanto tre-
-Non lo neghi nemmeno, nipote- intervenne Balthasar, indignato.
-Perché dovrei? Sono assassini-
-Questo il Clan non lo sa- riprese a dire Gesche. -Io ho capito benissimo cosa stai cercando di fare, aiutato dai tuoi, ma il Clan...-
-Non sono affari miei-
-Sei il capoclan- intervenne Cassius.
-Io non sono un cazzo di niente!- tuonò Abel esasperato. -Ficcatevelo bene in testa. Ne avete tre, di capoclan, al momento. Uno latitante, vero, ma Saul è sempre il capo supremo in vita. Avete Gesche che ci mette la testa e Hauke tutti i suoi chili di muscoli!-
-Tuo padre...- disse Gesche con voce tremula. -Tuo padre non si mette più in contatto con noi da mesi. Per il Clan questo è segno di... Almeno di rinuncia alla carica-
-Cazzate-
-Non è qui. E poi ci sei tu che stai agendo in un modo che lascia intendere che stai facendo qualcosa... per il Clan? Contro il Clan? Ma continui a non volerti assumere le tue responsabilità-
-È una responsabilità che non voglio-
-Come capoclan avresti più possibilità di manovra, l'aiuto del Clan per portare a termine la tua missione-
-E il mondo è un fluffluoso arcobaleno abitato da unicorni rosa-
-Devi avere fiducia nel Clan...-
-Perché non sono tutti come Hauke, Acido e Veleno?- Hauke gli rivolse un'occhiataccia, ma tacque. Gesche non rispose, ma Abel aveva già intravisto una breccia in quella loro discussione e decise di lacerarla del tutto. -Perfetto. Bandite ufficialmente Saul, così che la Federazione possa avere il rapitore di bambini in prigione. Consegnatemi Ada-
-Ci stai chiedendo l'impossibile. Per i crimini per cui sono accusati...-
-È prevista la detenzione eterna nel Kalmenhof, sotto le amorevoli cure di quelli dell'Associazione?- la interruppe Abel. -Proprio a causa della loro natura. Oh mio Dio- esclamò senza entusiasmo, assolutamente serio. -Detenzione eterna...- ripeté, scandendo sillaba per sillaba. -... e nessuna possibilità di redenzione. Vuol dire che hanno commesso dei crimini abominevoli. Tipo fare del male a dei bambini e cercare di ammazzare un innocente?-
Gesche si morse un labbro, proprio come era solito fare Abel quando veniva colpito da un attacco di acido improvviso – forse da sua madre aveva ereditato pure la gastrite nervosa cronica. -È in corso una guerra all'interno del Clan. Tra quelli che ti vorrebbero vedere prendere il posto che ti spetta di diritto e tra quelli che ti accusano di essere contro di noi, inadeguato a essere capoclan...-
-Perché sono troppo favoloso?-
-No. Perché sei gay. Umano. Immorale. E stai dalla parte della polizia contro di noi-
Abel strinse con forza le estremità dei braccioli della poltrona, incidendo con le unghie il legno verniciato. Tremava da capo a piedi, la rabbia ruggiva in petto, pronta a esplodere.
Lo sapevo, aveva sempre saputo di essere un indesiderato dalla sua stessa famiglia. Era stato inutile che sua madre avesse persino riunito il branco per parlare con lui: avrebbe scommesso – sicuro di vincere – che pure tra di loro c'erano lupi che condividevano quel pensiero su di lui.
-Se diventassi capoclan, potrei decidermi di darmi alle pulizie di primavera e gettare via dal Clan un po' di immondizia- sibilò e la sua voce assunse delle sfumature spiacevoli persino alle sue stesse orecchie.
-Saresti un buon capoclan, Abel- disse Hauke e Abel rizzò la testa di scatto, stupito dal suo intervento.
Ma non aveva alcuna intenzione di sottostare al loro gioco e rinunciare alla propria volontà. -Consegnatemi Ada e Saul. E io sarò capoclan-
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