QUATTRO

Una volta che si fu concesso una doccia rigenerante, Abel rimase qualche secondo davanti la porta della camera da letto, indeciso se passare o meno nell'altra stanza.

Aveva goduto, urlato – possedeva una vaga e imbarazzante memoria riguardo a ciò, soprattutto se pensava che Reik, con tutta probabilità, lo aveva sentito.

Mannaggia a loro.

Tirò un profondo respiro ed espirò mentre apriva di colpo la porta che introduceva nel soggiorno.

Reik stava vicino al divano, intento a sfogliare una rivista. Florian, davanti ai fornelli, riscaldava la cena.

-Ho fame- disse con voce infantile.

-Felice di sentirtelo dire, ogni tanto- ribatté Reik, senza alzare lo sguardo dal giornale.

Abel gli si fece vicino, notando come il vampiro li stesse completamente ignorando. Era irritante sapere come a entrambi i suoi amanti risultasse facile mandarlo fuori di testa. -Sei offeso- disse, senza punto di domanda.

Reik chiuse il giornale e sollevò lo sguardo su di lui. -No-

-Non era una domanda-

-Ti sbagli, comunque-

-Benissimo! Allora che hai?-

-Sto in pensiero per te-

Abel sollevò un sopracciglio con stupore. Aprì la bocca, la richiuse, non sapendo bene che dire. Dopotutto, non si era proprio aspettato una risposta di quel tipo. -Perché?-

-Stai esagerando. Passi troppo tempo fuori casa, sei sempre più stanco. Lavori troppo, mangi troppo poco. Dormi anche di meno-

-Sono ben rilassato, adesso, ho fatto sesso con Florian. Stasera potrò lavorare con...-

-Non esci di casa finché non avrai mangiato qualcosa-

Abel lo fissò sempre più scettico e fece una smorfia. -Posso bere un po' di caffè?-

-Dopo. Così diventi pure più simpatico-

Rise nel sentirsi rifilare dal suo amante una delle proprie battute. La tensione si sciolse immediatamente e si protese su di lui, rubando un bacio dalle sue labbra ancora imbronciate. -Mangio, tranquillo-

Sedette sulle sue ginocchia e gli baciò anche una guancia, prendendo poi il lobo di un suo orecchio tra i denti, stuzzicandolo un po'.

-Sicuro di non essere offeso?-

Si girarono entrambi in direzione della voce di Florian, trovando il vampiro nei pressi del tavolo, intento a posare sulla superficie dei piatti, senza ricambiare i loro sguardi.

-Ne avevamo parlato- disse Reik.

Abel sollevò una mano. -Io sarei qui-

-Sicuro che non ti ha dato fastidio?- chiese Florian e il poliziotto scosse la testa, strofinando la fronte contro una guancia di Abel.

-Non mi sento ancora pronto per certe cose-

-Dovresti iniziare con la fisioterapia...-

-Tu dovresti mangiare. Tipo ora- disse Reik con tono brusco, ponendo fine a quel discorso già sul nascere.

Abel sospirò mesto, si alzò e l'altro gli diede una pacca sul sedere, richiamando la sua attenzione.

-Non sono offeso. Anzi, sono felice-

-Florian non può sostituirti, come tu non puoi sostituire lui. Quindi datti da fare per rimetterti in sesto...-

-E se rimanessi inchiodato a una sedia per sempre?-

Abel sgranò un po' gli occhi e si morse le labbra, cercando di impedire alle parole di esplodere dalla bocca senza passare dal filtro del cervello e del buon senso. Florian – sicuramente per lo stesso motivo per cui lui si stava imponendo il silenzio – gli strinse una spalla, trasmettendogli tutta la propria calma innata. Non riscosse grande successo, ma sicuro fu rincuorante sentirlo tanto vicino.

-Se dobbiamo andare d'accordo e continuare con questa stramba convivenza, direi che è arrivato il momento di prenderci tutti più cura di noi stessi- sentenziò e non attese risposta, correndo a prendere posto intorno al tavolo.

Picchiettò una mano sulla superficie al suo fianco. Reik sospirò e si avvicinò a lui. Florian si mosse per aiutarlo, ma il poliziotto alzò una mano, rifiutando il suo aiuto.
Testardo.
Caparbio pure mentre decideva di lasciarsi andare e di non prendersi cura di sé in modo adeguato.

Abel si portò una forchettata di cibo alla bocca e prese a masticare con scarso entusiasmo. Immaginava che la cena preparata da Florian fosse squisita – conosceva bene le ottime capacità culinarie del vampiro – tuttavia, anche quella volta, i suoi tortuosi pensieri lo distrassero abbastanza da non fargliene percepire il sapore sulla lingua.

-La nuova partner di Baker è un'idiota-

-Non è la sua nuova partner...-

-La conosci?- lo interruppe.

Reik annuì. -È stata inserita nell'organico solo per fare numero. Dopo l'arresto di Krause, molte altre teste sono saltate, in commissariato. Ci sono stati diversi trasferimenti... sia per allontanare qualcuno di poco raccomandabile, sia per rimpiazzare quel qualcuno con nuovi agenti-

-Quindi non è la sua nuova partner?-

-Sicuro, John te l'ha già detto-

-Possibile- ammise Abel con voce vacua, mentre si portava altro cibo alla bocca, sotto lo sguardo intimidatorio di Florian che pareva stesse contando i bocconi che deglutiva.

-In teoria, John non dovrebbe più scendere sul campo. Ma è sempre John, e John è un uomo d'azione, non ci sa stare dietro una scrivania. E l'Ispettore Klein è stata designata come mia nuova partner, ma io sono ancora qua... in malattia-

-Se non vuoi iniziare la fisioterapia per paura di dover lavorare con lei, hai tutta la mia approvazione...-

-Abel- lo interruppe Florian con tono severo.

-Che c'è?-

-Un po' di sensibilità...-

-Sono insensibile-

Reik rise. -Non è vero neanche un po', ma va bene lo stesso-

-Continui a non rispondermi sul perché cazzo non ti vuoi curare-

L'espressione di Reik tremolò, ma poi si fece di colpo impassibile. -E tu continui a insistere come manco un martello pneumatico contro l'asfalto-

-Pft! I martelli pneumatici, in confronto a me, sono innocui-

Reik serrò le labbra e decise di non ribattere. Abel sbuffò, indispettito dal modo in cui i suoi amanti stavano imparando a non dargli troppa corda – soprattutto se desideravano tenere per sé i propri perché.

Sempre più irato dalla facilità con cui il mondo aveva iniziato a girare nel modo sbagliato – secondo quello che non era affatto il suo volere – Abel finì per recarsi al MoonClan in ritardo.

Odiava essere in ritardo, odiava l'idea di disordine che il ritardo gli trasmetteva e odiava il disordine.
Fare le cose di fretta e furia spesso portava a intoppi, incidenti di vario tipo, anche se, in quel caso specifico, l'impresa epica che avrebbe dovuto affrontare consisteva in un viaggio in taxi di nemmeno mezz'ora.

Ovviamente, beccarono traffico.

Ovviamente, iniziò a piovere.

Ovviamente, il traffico divenne un tappo per tutte le strade in cui il semaforo lampeggiava verde. Bastava muoversi di un paio di metri e, toh!, arrivava subito il rosso ad accrescere ancora di più il suo stress.

Ovviamente, arrivò al locale che già i primi clienti erano entrati, avevano avuto tempo di ubriacarsi e divertirsi senza di lui. Il che era assolutamente inconcepibile, quando era lui l'attrazione numero uno del locale. L'unica fonte di sensualità, divertimento. La stella che brillava più luminosa di tutte in tutta Idstein e nell'universo interno.

La Divina.

Una divina in ritardo.

Proprio come nel più scadente dei copioni di film di terza categoria in grado di mandare una casa cinematografica al fallimento.

Scese di corsa la stretta scalinata che conduceva nel seminterrato e la porta di ingresso venne spalancata proprio mentre lui allungava la mano verso la maniglia.

-Ho sentito il tuo odore-

Alta tanto quanto lui – quindi diversamente alta – con capelli biondi stretti in due lunghe trecce e vispi occhi verdi, Telsa lo fissava con espressione imbronciata.

-Ho un profumo inconfondibile-

-Sai di sesso e bagnoschiuma alla vaniglia. Deodorante al talco e eau de toilette a base di fiori e con una vaga nota fruttata-

-Il mio gruppo sanguigno?-

-Hai fatto sesso con Florian, vero? Tutta la roba che ti sei messo addosso non è riuscita a coprire del tutto il suo odore-

Abel roteò gli occhi e la superò, infilandosi in un corridoio dall'aspetto tetro, rischiarato da un unico neon ronzante e dalla luce tremolante.

La ragazza lo seguì come un'ombra fino al suo camerino, fermandosi sulla soglia.

-Devo cambiarmi-

-Come mai non sei sceso già pronto?-

-Perché a Reik si fa duro quando mi vede in versione drag queen, ma siccome non se la sente di fare sesso e io sono troppo magnanimo...-

-Hai lasciato le tue cose qui?- lo interruppe Telsa, indicando con un dito il tavolino su cui faceva bella mostra di sé il suo beauty.

Il beauty, quello che conteneva tutto il suo make-up e che aveva cercato come un disperato per quasi un'ora a casa, maledicendosi mentalmente mentre il suo ritardo aumentava a dismisura.

-No- disse, negando l'evidenza.

-Devo parlarti, dopo- disse la giovane, dopo un po', con tono lapidario, e gli volse le spalle senza dargli tempo di ribattere, ignorando del tutto la reazione che aveva suscitato in lui con quelle poche parole, facendogli persino applicare in modo errato l'eyeliner.

Perché era matematico che, tutti!, dovessero stimolare le sue emozioni traballanti nei momenti meno opportuni.

Abel trattenne il fiato e contò fino a dieci. Espirò con estrema lentezza, ma quel metodo a lui non serviva proprio. Non riusciva a rilassarlo.

Sbuffò e riprese a truccarsi, mentre la mente iniziava a viaggiare alla velocità della luce.

Cosa aveva voluto dire, Telsa? Di cosa lo stata avvisando?

Forse c'erano novità sul fronte delle loro indagini segrete?

Aveva ricevuto una telefonata segreta, segretissima, da Saul Latitante, che le intimava di portare a compimento la sua missione primordiale?

Suo padre sarebbe stato in grado di rischiare di essere scoperto, di mandare a puttane mesi di latitanza solo per obbligare Telsa a convincere Abel a sposarla, così come lui aveva deciso avrebbero dovuto fare?

Abel contemplò il proprio viso truccato, riflesso nello specchio circondato da tonde lampadine dalla luce bianca. Una luce che contribuiva a dare un ché di profondamente drammatico alla sua espressione. I suoi lineamenti erano già così sottili, quasi femminei, che non aveva granché bisogno di impegnarsi più di tanto per assumere le sembianze della Divina. Il trucco era sempre volutamente esagerato e appariscente, ma la base da cui partiva, la propria faccia, lo aiutava parecchio a vestire i panni del suo alter ego.
In poche parole, era già pronto.

Indossò un abito da sera, lungo, con un profondo spacco che si apriva sulla coscia destra. Di un inteso colore rosso amore passione e, per un attimo, rammentò la scena del crimine di quella mattina. Ebbe un principio di nausea che ricacciò indietro prima che arrivasse in gola, tramutandosi in un vero e proprio conato.

Sì, suo padre sarebbe stato in grado di mandare tutto a puttane solo con il fine di realizzare, quella che era a tutti gli effetti, una sua volontà.

Lo aveva già fatto, in passato, rischiando di attirare l'attenzione dell'Associazione Sanitaria per la Salvaguardia della Specie addirittura all'epoca in cui, quelli dell'A.S.S.S., tenevano una sentenza di pena capitale a suo nome in cima alla lista delle loro priorità.

Indossò le sue scarpe preferite, un paio di Louboutin dalla caratteristica suola rosso amore passione e, ancora una volta, fece una smorfia, fissando il segmento bianco che rovinava la punta di una delle scarpe.

Hauke.

Troppo sangue.

Ecco. Aveva spento un ricordo e un altro si era subito riacceso.
Lo aveva pensato. Con circa dodici ore di ritardo, ma aveva dato un nome reale a qualcosa che aveva cercato di rendere irreale – nel momento in cui lo aveva vissuto quella mattina –, nel vano tentativo di preservare la propria psiche. Si tappò il naso con due dita e serrò la bocca.

Non vomiterò, cazzo, non dopo aver finito di truccarmi!

Riuscì a vincere il punto con se stesso, si concesse un ultimo sguardo allo specchio, assicurandosi di essere splendidamente Divina.

E fu pronto per entrare in scena.

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