CINQUE
La sala principale del locale era un tripudio di gente, colori, odori, sapori. Sapori, sì. Se li sentiva sulla punta della lingua, come una macedonia umana intenta a ballare sulle sue papille gustative – anche se non tutti, lì dentro, erano umani, anzi.
Da quando il MoonClan aveva riaperto al pubblico dopo l'approvazione della nuova Legge – quella che, finalmente, equiparava il diritto alla vita dei non umani a quello degli umani – molta gente comune, che proprio nulla aveva a che fare con il mondo sovrannaturale, aveva iniziato a frequentare il locale.
Per divertimento.
Per fama della Divina – sicuramente.
Per curiosità.
Era cosa risaputa che il MoonClan fosse frequentato da non umani. Licantropi, soprattutto, visto che ne erano i proprietari. Ma vi si potevano incontrare anche vampiri, lamia, streghe. Tra i loro avventori abituali vi era anche un gruppo numeroso di leprecauni che se ne andavano in giro con un paio di fate dall'aria civettuola.
Era il MoonClan.
Una terra di mezzo tra l'odio dei conservatori estremisti, che si annidiavano in entrambi le fazioni, e l'intelligenza genuina di coloro che non riuscivano a scorgere assolutamente nulla di male nell'affermare che tutte le creature – umane, mezzo-umane e non umane – hanno eguale diritto alla vita.
Sotto gli occhi attenti della maggior parte dei presenti, Abel si esibì sul palco, percependo i muscoli sciogliersi nei movimenti abituali a cui si lasciava andare quando ballava. La pelle si fece piacevolmente calda e il cuore prese a battere a un ritmo più sostenuto, mentre il respiro si faceva irregolare. Riuscì a mascherare lo sforzo dietro a un sorriso abbagliante e concluse il numero scendendo dal palco, ancheggiando tra i tavolini e i divanetti sparsi per la sala, riservando attenzioni piccanti a un numero imprecisato di clienti. Quando esaurì le battute preconfezionate che aveva preparato per la serata, continuò un po' a ruota libera, finché non decise di mettere punto del tutto al suo numero.
Il corpo pulsava di emozioni fisiche davvero squisite – e credeva che il merito di ciò fosse in gran parte dovuto a Florian, più che alla danza a cui si era dato pochi istanti prima. O forse a entrambe le cose insieme. Si sentiva davvero rilassato, rinato. Il sesso aveva il potere di sciogliere i nervi e l'orgasmo era uno stimolatore di umore positivo davvero potente.
Ma la testa era sempre piena di pensieri.
Troppi pensieri.
Brutti pensieri.
Ricordi spiacevoli.
Dubbi esistenziali.
Cazzate.
Abel sospirò e rimestò il suo cocktail con la cannuccia nera che stringeva tra due dita, fissando un punto imprecisato dinanzi a sé. Oltre il bancone, Yari ed Elena si davano da fare per soddisfare i bisogni alcolici dei loro clienti.
Tanti clienti.
La sala non era mai stata così gremita prima che il locale aprisse anche agli umani. Era bello vedere tante persone diverse mescolarsi nello stesso ambiente, abbattendo diversità, limiti, pregiudizi. Era bello pensare di essere tutti parte dello stesso mondo, di vivere tutti sotto lo stesso cielo con la naturalezza data dall'essere tutti uguali nelle proprie differenze.
Sarebbe bello se fosse sempre così, se tutto il mondo fosse il MoonClan.
-Ti stanno venendo le rughe-
Abel si girò vero la voce di donna che aveva udito, scorgendo una creatura dalla spaventosa altezza di almeno un metro e novanta. Capelli biondi, lineamenti severi e occhi colmi di un'ilarità a stento trattenuta che ammorbidiva la sua intera figura.
-Dovevo immaginarlo- disse con un sospiro e richiamò l'attenzione di Yari, ordinandogli un caffè.
Aveva bisogno di caffè. Di diffondere nelle proprie vene dosi spropositate di caffeina, nella speranza di carpire da ciò la giusta carica per poter affrontare quello che gli si prospettava.
-Che intendi?- chiese la donna e prese posto sullo sgabello di fianco al suo, rubandogli il bicchiere mezzo vuoto del suo cocktail, mentre a lui servivano una tazza di caffè.
La osservò disfarsi della cannuccia e bere direttamente dal bicchiere, fare una smorfia e uscire la lingua, manifestando il proprio disgusto.
-Anice-
-Buono, dolce. Viva l'anice- disse Abel senza entusiasmo e l'altra ridacchiò. -Telsa mi aveva avvisato-
-Che siamo tornati?-
-No, mi ha detto che mi avrebbe parlato di qualcosa. E subito ho pensato che c'entrassero le nostre cose...-
-Nostre?-
-Le indagini- sussurrò Abel, soffiando quelle due parole direttamente sul bordo della tazza che stringeva tra le mani.
-Tu devi restarne fuori, capo...-
-Non chiamarmi capo, Krista, dannazione- la interruppe. -Quante volte te lo devo dire? Cosa può pensare la gente nel sentirti apostrofarmi così?-
-Pensi troppo- ribatté la lamia e premette un dito tra le sue sopracciglia. -Le rughe...!-
-Ho già le rughe- ribatté Abel, scostandosi da lei.
-La gente che deve pensare? Pensi quello che vuole, sicuro, come minimo, fraintederà-
Abel scosse la testa e proprio in quel momento, nello specchio dietro la bottiglieria, scorse la figura minuta di Telsa emergere dalla folla alle loro spalle, puntando dritto verso di loro. -Ecco- borbottò e bevve velocemente il caffè rimasto, dirigendosi subito dopo verso l'uscita della sala, senza guardarsi alle spalle, sicuro che le altre due lo stessero seguendo.
Arrivò davanti alla porta del proprio camerino e un ronzio sinistro proveniente dal solito neon lo fece trasalire. Ruotò il collo e si girò parzialmente per guardarlo. La luce tremolò e il neon si spense per pochi istanti, prima di accendersi di nuovo.
Telsa gli poggiò una mano su una spalla, accarezzandogli un braccio. -Tutto bene?-
Abel scrollò le spalle e si volse in direzione del camerino. -Ho una strana sensazione-
-No, mio re, è puzza di lupo- esclamò Krista e Telsa le ringhiò contro. -Tu odori di rugiada e fiorellini di campo, lupacchiotta-
Telsa arrossì e distolse lo sguardo da lei.
-Che lupo?- sibilò Abel, ma la licantropa rimase a fissare ostinatamente il pavimento, mentre l'altra taceva.
Sospirò e scosse la testa. Era l'unica cosa che detestava della propria condizione umana: l'incapacità di indovinare l'identità di coloro che si decidevano di fargli delle visite a sorpresa tramite l'odore. Se avesse già saputo chi era la persona che lo attendeva dentro al suo camerino, avrebbe anche potuto decidere in autonomia di continuare verso la propria destinazione e incontrare la persona in questione. Oppure avrebbe potuto scegliere di mandarla mentalmente a 'fanculo e decidersi di non incontrarla.
Non potendo scegliere, fu la persona in questione a farlo per lui e sua madre uscì dal camerino, palesandosi ai suoi occhi.
Abel socchiuse le palpebre e si premette due dita su una tempia. -Ciao, Gesche- la salutò.
-Ciao, tesoro-
Riaprì gli occhi e la sorprese rivolgere occhiatacce in direzione di Krista. Sua madre teneva il capo reclinato all'indietro, probabilmente per riuscire a mantenere un contatto diretto con gli occhi della lamia, dato che era più bassa di lei di parecchi centimetri. Eppure Gesche non appariva per nulla in svantaggio fisico. Il colore bianco della sua pelle, dei capelli, dei vestiti. Gli occhi rossi, sanguigni, e le labbra messe in risalto da un rossetto altrettanto focoso, contribuivano a farla sembrare un fantasma, ma, allo stesso tempo, sottolineavano la sua presenza, imponendo la sua immagine all'interno dell'ambiente che la circondava, come se un faro puntasse su di lei, illuminandola, mentre tutto il resto strisciava a nascondersi nell'ombra.
-Da quanto sei qui?- le domandò e Gesche scrollò le spalle. -Sei venuta a trovarmi come una brava mammina amorevole?-
-Sono sempre stata una madre piena d'amore anche per te- sibilò la donna.
Abel si trattenne dal ribattere in modo tagliente soltanto perché la tensione che aleggiava tra di loro era così dolorosa da fargli augurare che non esplodesse.
-Una mammina un po' bugiarda, ma...-
-Krista- la richiamò Abel e la lamia tornò in silenzio. -Che ci fai qui?-
-Telsa non te l'ha detto?-
-Non abbiamo avuto tempo di parlare-
-Allora te lo dirò io...-
-Non c'è bisogno- la interruppe. -Non voglio avere a che fare con te e il Clan. Te l'ho già detto mesi fa. Me lo dirà Telsa-
-Ormai sono qui-
-È stato un piacere rivederti. Addio- disse tutto d'un fiato e fece per superarla, ma lei lo trattenne per un polso.
Rimasero in silenzio a fronteggiarsi per po', mentre la tensione si faceva crepitante e le dita di Gesche sulla sua pelle parevano sempre più degli artigli intenti a incidergli la carne. Era probabile che il suo tocco gli avrebbe lasciato il segno.
Gesche lo mollò all'improvviso e Abel trattenne l'impulso di massaggiarsi il polso. La donna aggrottò la fronte e in silenzio gli volse le spalle, andando via poco dopo.
-Wow- esclamò Krista e Abel scrollò le spalle. -Insiste-
-Insisterà sempre. Abel è l'erede e al momento il Clan è senza capo- disse Telsa.
-C'è lei. E sicuramente è un capo migliore di quello che potrei essere io-
-Non sarebbe dovuto toccare ad Hauke prendere il posto di Saul?-
Abel le rivolse uno sguardo tagliente e sedette davanti lo specchio circondato da lampadine, dando le spalle a Krista, senza risponderle. Non gli piaceva affatto che il nome del licantropo fosse uscito fuori all'improvviso in quel modo e non gli piaceva affatto aver sussultato nell'udirlo.
-Tecnicamente, al momento è lui il capoclan-
-Ma ci sta Gesche dietro ogni sua decisione. Hauke è solo una facciata di maschio per rendere contento il Clan ch'è maschilista e bigotto-
-Figurati se accetterebbe mai una drag queen umana, spudoratamente gay e impegnata in diverse relazioni con uomini diversi, come capoclan!- esclamò Abel con tono canzonatorio, iniziando a struccarsi. -A Gesche non vuole proprio entrare in testa, eppure è un'ovvietà-
-Il mondo sta cambiando- sussurrò Telsa.
Abel irrigidì le spalle e la fissò oltre il riflesso dello specchio. -Le leggi stanno cambiando. Non le mentalità. Le parole rimangono vuote e prive di valore se la testa continua a pensarla diversamente-
-È questione di tempo...- disse Krista, ma Abel la interruppe subito.
-Per voi. Che siete immortali e, nel peggiore dei casi, avete una longevità decisamente più lunga rispetto a quella di un umano. Per voi si tratta di avere pazienza per un po' di tempo. Per quelli come me potrebbe non bastare una vita-
Le due donne rimasero in silenzio e Abel sospirò mesto. Finì di struccarsi, ma lasciò intatto il rossetto, rosso, come quello che aveva indossato sua madre - forse una punta di colore più acceso del suo. Si ravvivò i capelli con una mano e si cambiò pure d'abito sotto gli sguardi delle due, non provando il benché minimo imbarazzo. Ormai vedeva Telsa e Krista alla stregua di sorelle, e lui era cresciuto all'interno di un ambiente in cui le nudità non erano gli stessi crimini osceni e imbarazzanti che erano per gli essere umani.
-Ne abbiamo trovato un altro- disse Telsa, quando si fu rivestito.
-Lo avete portato al solito posto?- la licantropa annuì. -Notizie di Gideon e Roberto?-
-Roberto è in città. Aveva delle cose da sbrigare. Gideon è con il nostro nuovo ospite-
-Umano?-
Telsa scosse la testa. -Licantropo-
-E siamo a tre- sussurrò Abel con stizza e si morse un labbro, percependo sulla lingua il sapore del rossetto.
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