SETTE
Quella mattina, Abel si svegliò di buon umore. Ed era strano, sicuramente. Sia perché si sentiva di buon umore, appunto, sia perché erano soltanto le sette del mattino: che ci faceva sveglio già alle sette del mattino?
Aggrottò la fronte e fissò lo schermo del proprio cellulare sempre più allibito. Aveva dormito per quattro ore scarse. Se non era un'ingiustizia, quella.
Rimpiangeva tantissimo i tempi in cui stava raggomitolato nel letto anche per dodici ore al giorno. Sarebbe dovuto nascere orso, non ne dubitava, e andare in letargo. Dormire e mangiare e poi dormire ancora.
La vita sarebbe stata splendida.
Invece no.
Era umano.
Era già sveglio all'alba.
Si tirò a sedere e si rese conto di indossare ancora gli abiti della serata precedente. E non abiti qualsiasi: un tubino rosa, colmo di glitter – uno dei suoi preferiti – collant e stivali neri alla moschettiera. Probabilmente si era svegliato proprio per quel motivo, dato che il suo corpo, seppur in maniera inconscia, doveva aver trovato davvero scomodo dormire conciato a quel modo. Si passò una mano dietro il collo e si guardò intorno. Non gli piaceva il disordine, neppure il proprio disordine, quello del corpo, quindi doveva essere successa qualcosa, la sera prima, per cui lui era totalmente impazzito e aveva finito per buttarsi nel letto con gli abiti da lavoro.
Non osava immaginare neppure in che stato pietoso si fosse ridotto il trucco del viso.
-Buongiorno-
Aggrottò la fronte. Sulla soglia della stanza comparve Saul con una tazza di caffè. L'odore era inconfondibile.
Caffè.
Caffè.
Caffè!
I suoi neuroni iniziarono a ballare la danza della gioia, permettendogli di schiarire la mente.
-Mi sono addormentato nel camerino- rammentò con un sospiro e scese dal letto, allungando una mano verso la tazza.
Saul gliela porse e sorrise. -Hauke ti ha portato in braccio-
-Tipo principessa-
-Più o meno-
-Sia mai che mi svegliavate o che mi toglievate questa roba di dosso prima di mettermi a letto-
-Ti abbiamo messo a letto-
-Oddio, che cosa incredibile che avete fatto!- esclamò sarcastico.
Iniziò a sorseggiare il caffè.
Si sentiva che a prepararlo era stato Saul. C'era di che essergliene grati, anche se il risultato non era propriamente eccellente.
-Ti sei fatto più acido- borbottò l'uomo e uscì dalla stanza.
Abel non ribatté. Non perché gli mancassero le parole, ma proprio per evitare di dare il via all'ennesimo litigio con lui. Saul si era piantato in casa sua da un paio di giorni, ormai, e la cosa lo infastidiva parecchio. Avevano passato più tempo a litigare che a confrontarsi in maniera civile. Dopo un anno era tornato come se niente fosse e si comportava come se tutto fosse assolutamente normale – litigate comprese.
Non c'era nulla di normale, però. E sulla sua testa pendeva ancora una sentenza di morte.
Abel si premette due dita sugli occhi. Si guardò i polpastrelli, trovandoli sporchi di trucco.
Grandioso.
Finì di bere il caffè per poi correre a darsi una ripulita.
Era appena uscito dalla doccia quando il suo cellulare prese a squillare. Si affrettò a recuperare un asciugamano, non fece in tempo a indossarlo che Saul irruppe nel bagno, spingendo contro di lui l'apparecchio.
-Un po' di privacy, grazie-
-Squilla-
-Lo sento da me-
-Rispondi-
Abel roteò gli occhi e si schiacciò l'asciugamano sul davanti, afferrando il cellulare con l'altra mano. Gocciolante, praticamente nudo, ancora abbastanza rincoglionito da non capacitarsi della tranquillità ostentata dal suo ospite.
-Pronto?-
-Sono Baker-
Abel imprecò.
-Il buongiorno si vede dal mattino- continuò l'ispettore, ironico. -Cazzo è proprio la parola giusta. Ti mando l'indirizzo via messaggio. C'è un'altra scena del crimine-
•
-Un'altra scena del crimine?- chiese Saul, mentre Abel si affrettava ad asciugarsi i capelli.
-Hai sentito, no?- domandò con fare retorico.
-E adesso?-
-Adesso mi toccherà un'altra visione raccapricciante con cui riempirmi gli occhi e rendere l'inizio di questa giornata davvero entusiasmante-
-Sei sarcastico-
-No! Tu dici? Pensavo fosse risaputo quanto io ami provare l'ebbrezza di assistere a certe scene horror dal vivo-
Saul aggrottò la fronte. La sua espressione si fece appena minacciosa e l'ironia di Abel parve strisciare in un angolo, correndo a nascondersi. -Sono passati pochi giorni dall'ultimo omicidio-
Annuì. -Uno degli agenti mi ha detto che potrebbe trattarsi di un seriale- disse e iniziò a vestirsi.
L'imbarazzo di essere nudo davanti a lui si era esaurito già da tempo, anche se gli era stato difficile ammetterlo subito. Era una cosa poca umana – forse. Una di quelle cose che rientravano nella natura della loro razza e che da piccolo aveva creduto essere naturale per tutti. Quando aveva scoperto che gli essere umani non erano soliti parlare del più e del meno stando nudi, sdraiati tra l'erba o seduti sul pavimento del proprio salotto, per lui era stato un vero e proprio shock. Tuttavia, erano passati anni d'allora e Abel aveva cercato di farsene una ragione, anche se ogni tanto gli risultava difficile scindere tra quella che era stata la sua routine all'interno del Clan e le esigenze di una società umana costruita su preconcetti, pregiudizi e regole di vita molto limitanti.
-Non può essere uno del Clan- sibilò Saul e lui si trovò ad annuire ancora. -Potrebbe trattarsi di un lupo mannaro fuori controllo-
Abel sbuffò. -Potrebbe trattarsi anche di un essere umano, eh-
-Cosa te lo fa pensare?- scrollò le spalle e gli rammentò quello che si era fatto sfuggire con lui il Commissario Krause. -Alcuni di noi non sono più così... disgustati dalle armi da fuoco-
Abel aggrottò la fronte. -E da quando?-
-Da quando ci siamo mescolati con la gente comune e alcuni sono finiti per svolgere lavori comuni, lavori in cui maneggiare un'arma da fuoco è d'obbligo-
-Cioè?-
Saul si strinse nelle spalle, non gli rispose. Abel sbuffò indispettito e finì di allacciarsi le scarpe. Era pronto per uscire. Si sentiva persino pronto per mandare Saul a 'fanculo insieme a tutti i suoi segreti da licantropo-capoclan-stronzo che non si era fatto sentire per un anno e che non lo vedeva propriamente parte della sua famiglia – almeno, non abbastanza da poter condividere certe cose anche con lui. -Devo andare-
Saul annuì. -Sarebbe utile poter vedere i morsi-
-Perché?-
Sorrise ed Abel rabbrividì. -Perché riconosco i morsi dei membri del Clan. Perché ogni impronta dentale è unica e riconducibile a un unico lupo-
-Potrei tentare di avere dettagli dal medico legale e...-
-Non servirebbero. Il medico legale sicuro è un umano e non guarda di certo a quello che non è umano. Sono cose che posso notare io...-
-E io- lo interruppe Abel.
-No-
-Invece sì- ribatté e l'altro tornò ad aggrottare la fronte.
-Non ne sono sicuro-
-Non puoi uscire e metterti a fare il Detective Lupo a tuo piacimento. Se poi vuoi concludere la giornata diventando arrosticini di lupo, quelli sono cazzi tuoi. Mama Gesche non sarebbe contenta di restare vedova perché tu sei il solito arrogante e presuntuoso che non delega-
-Io sono il capoclan- sibilò Saul, scandendo parola per parola, caricandole con una furia a stento trattenuta.
I suoi occhi color miele si incupirono, diventando presto di un intenso verde, scuro, dalle sfumature vibranti, mescolate ad alcune appena un po' più chiare.
Abel deglutì. Sorrise. Era quasi certo che il suo sorriso non fosse proprio felice. -Ma... il tuo falò rimane acceso, quindi devi fidarti di me-
E sapeva che a quello Saul non avrebbe potuto controbattere neppure se avesse voluto.
•
Venne scortato da una poliziotta per i corridoi di una casa sovraffollata. Le cose erano due: o in quella villetta di periferia vivevano una cosa come cinquanta persone oppure c'era davvero troppa gente coinvolta nelle indagini per quel caso.
Era un via vai continuo e sembrava che tutti avessero qualcosa da fare, che tutti fossero in ritardo, in corsa contro il tempo. Tutti a eccezione dell'Ispettore Baker. L'uomo, infatti, stava spaparanzato su un divano, la testa reclinata sul poggiatesta e gli occhi chiusi. Al suo fianco, in piedi, l'Agente Wagner. Quest'ultimo, quando lo vide arrivare, si tolse gli occhiali e ne pulì le lenti, come se stesse cercando una scusa per non dover sostenere il suo sguardo. Ma era pure possibile che Abel stesse immaginando cose sulle azioni dell'uomo che non corrispondevano al vero.
A differenze che negli altri ambienti della casa, in quella stanza erano soltanto in quattro: lui, i due che conosceva e la poliziotta che lo aveva condotto fin lì. Alta più o meno quanto lui, bionda, e con lo sguardo severo puntato sul pavimento.
Cazzo c'è sul pavimento? si domandò fissando lo stesso punto che pareva aver catturato l'interesse della donna. Non vide nulla di degno di nota. Solo un parquet di un legno di colore chiaro, molto piacevole. Ma non era lì di certo per darsi a un corso intensivo di arredamento moderno.
Qualcosa non va.
Perché l'Ispettore Baker non lo insultava come di suo solito?
Perché Wagner pareva aver esaurito tutto la sua parlantina?
Perché non c'erano altri poliziotti lì dentro?
E la Scientifica?
E il medico legale?
C'era la puzza. Un letto al centro della stanza, matrimoniale. Pochi mobili. Una finestra a parete dava vista del giardino perfettamente curato che circondava l'intera villetta. Papaveri rossi dentro un vasetto di vetro posto sopra una cassettiera bianca. Lenzuola rosse, tende rosse. Tutto bianco e rosso. Minimalista e ultramoderno. Ma continuava a esserci qualcosa che non andava, qualcosa che stonava.
E qualsiasi cosa fosse che stava facendo sì che la gente intorno a lui si comportasse in modo tanto strano, sicuramente non doveva trattarsi di qualcosa di piacevole.
Deglutì e parve che il fetore che aveva sostituito l'ossigeno in quella stanza gli si schiacciasse in gola. Trattenne a stento un conato di vomito, del tutto intenzionato a non commettere gli stessi errori della volta prima. -E quindi?- si azzardò a chiedere.
L'Ispettore Baker sbarrò gli occhi e si alzò di colpo dal divano. Lo fissò con uno sguardo saturo d'odio. -Sul letto- disse soltanto.
Abel deglutì ancora e si tappò il naso con due dita, avvicinandosi al letto. Ad ogni passo che compieva il suo inconscio gli suggeriva di tenersi alla larga proprio dal punto in cui era diretto. Si fermò ai piedi del letto. Il fetore si fece insopportabile. La prima cosa che notò fu un piede che sbucava dalle lenzuola. Poi un altro e un altro ancora.
Un angolo del lenzuolo inferiore era di un candido bianco.
Comprese in quell'istante che il rosso non doveva essere stato il suo colore naturale.
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