NOVE
Abel rimase stupito dalle parole dell'Agente Wagner. Aggrottò la fronte, sentendosi punto nel vivo.
Non era lui il nemico.
-Non è colpa mia se ci sta un mostro a piede libero...-
-Non stai facendo davvero nulla per aiutarci-
Ma perché tutti finivano per prendersi tante confidenze con lui?
Chi aveva dato loro l'autorizzazione di poter decidere quando iniziare a dargli del tu?
E, soprattutto, perché diavolo erano tutti così bravi a trascinarlo in mezzo ai loro casini per poi rovesciargli addosso colpe che non aveva?
-Voi non volete il mio aiuto per il caso. Sicuro volete il mio "aiuto" per qualcosa- disse, mimando le virgolette con due dita di entrambe le mani. -Ma non di certo per il caso-
-Cosa te lo fa pensare?-
Abel rise amaro. -Io non sono un poliziotto, non ho alcuna formazione di un bel niente di niente. In cosa dovrei aiutarvi? Mi portate con voi per spaventarmi, farmi male e poi mi scaricate al vostro simpaticissimo commissario che mi fa domande su tutto-tutto-tutto, tranne che sul caso-
-Il commisario non è un tipo simpatico-
-Ero ironic...- Abel si interruppe di colpo.
Si girò a guardare Wagner e lo trovò intento a fissarlo con un'espressione vagamente imbarazzata. -Sta sul cazzo pure a te?- domandò e si stupì per la frazione di un secondo della facilità con cui, lui stesso, pareva avere abbattuto ogni distanza dall'altro.
In quel momento lo percepì molto vicino.
Forse perché erano effettivamente vicini a livello fisico.
Forse perché avevano condiviso un'esperienza traumatica.
Forse perché si trovava in casa sua.
-È il mio superiore- disse l'agente, ritirandosi al sicuro dietro la sua maschera impenetrabile da poliziotto.
E anche l'empatia di Abel si esaurì alla velocità della luce. -Se ti denunciassi per rapimento?-
-Non ti ho rapito...!-
-Ma!- lo interruppe. -Io sono qui senza il mio consenso. Quindi è più o meno un rapimento. Facciamo finta che lo sia. Io ti denuncio, e poi? Voi siete costretti a lasciarmi in pace?-
-Ci sono testimoni. A mio favore- scandì l'agente e Abel sospirò sconfitto.
-Un altro po' di caffè?- domandò, spingendo la tazza verso di lui. -Poi potrei persino diventare più simpatico-
Wagner scosse la testa. Si alzò comunque e gli riempì di nuovo la tazza. Quando tornò da lui, rimase a fissarlo per un paio di secondi, come se avesse intenzione di dirgli qualcosa, ma poi parve ripensarci e tacque. Abel prese la tazza e lo ringraziò pure. Non si poteva di certo affermare che lui fosse un tipo scortese.
-Come mai vivi in questa topaia? Hai gusti discutibili oppure non ti pagano abbastanza in Polizia?- chiese dopo un po' e l'altro sbuffò, tornando a sedersi.
-Da quando siamo amici io e te?-
-Che c'entra questo?-
-C'entra. Non mi sembra che mi sia dato alle confidenze con te. Delle cose mie parlo solo con i miei amici, puoi giurarci-
-Delle cose tue. Quelle dell'ispettore, però, me l'hai dette-
L'agente ebbe la decenza di arrossire un po', scegliendo, ancora una volta, di rispondergli con un anonimo silenzio.
-Ti ho chiesto solo perché vivi in questo postaccio- aggiunse dopo un po', sospirando mestamente.
Aveva ancora mal di testa.
Temeva che non gli sarebbe passato tanto presto.
E gli incubi.
Forse avrebbe dovuto rassegnarsi a una vita piena di incubi, notte per notte, a causa di tutte le cose orribili che, in troppo poco tempo, gli avevano riempito gli occhi.
-Sono cose mie lo stesso- borbottò l'Agente Wagner.
Sembrava indispettito. Abel si aggrappò a quell'impressione. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa. Di distrarsi. Di cancellare i ricordi di quella mattina.
-Era così, per fare conversazione- disse e scrollò le spalle.
-Non siamo amici- ribadì Wagner. -Non c'è bisogno che facciamo conversazione fuori da quello che riguarda la nostra collaborazione-
-Ma mi dai del tu-
-Tra colleghi ci si dà del tu-
-E quindi siamo diventati una specie di colleghi barra non amici barra non so che cosa, adesso?-
-No. Perché tu non vuoi collaborare davvero con noi-
Abel mise il broncio. -Siete voi che vi state prendendo gioco di me e mi tenete all'oscuro delle vostre vere intenzioni-
-Io sono solo un agente. Non ho intenzioni-
-Quindi, visto che mi hai rapito e non hai intenzioni, e io sono qui...-
-Non ti ho rapito!- lo interruppe, ma Abel riprese a parlare, imperterrito.
-Comunque. Se volete che io mi fidi di voi, dovete pur dirmi qualcosa che vi riguarda. Qualcosa che mi aiuti a capirvi meglio-
-E che c'entra il posto in cui vivo?-
Abel sbuffò. Il mal di testa si stava facendo sempre più galoppante. -È solo per sapere qualcosa su di te!-
-Non conosci nemmeno il mio nome-
-Rimedia e dimmelo!- lo interruppe ancora, accavallando le gambe e sporgendosi verso di lui, pronto a provocarlo.
Wagner si irrigidì. -Perché dovrei?-
-Forse perché se sapessi il tuo nome ti sentirei meno distante, e quindi ti vedrei meno come nemico. Potresti anche dirmi se il Commissario Krause ti sta sul cazzo oppure no. Allora anch'io potrei esserti meno nemico. Il nemico del mio nemico è mio amico, si dice così, no? E potremmo collaborare davvero e incastrare il bastardo che stamattina ci ha costretti a vivere un incubo ad occhi aperti-
-Reik. Sì. Sarebbe bello se collaborassi davvero con noi-
Abel sgranò gli occhi. Si morse un labbro, trattenendo un sorriso. -E l'Ispettore Baker?-
-Che altro vuoi sapere su di lui?-
-È simpatico come il commissario?-
-No. Ha solo troppi casini per la testa. Un assassino seriale a piede libero. Troppa gente che gli sta con il fiato sul collo perché si aspetta dei risultati che purtroppo ancora non arrivano. E lui diventa stronzo-
-Uno stronzo simpatico?-
-Uno stronzo vero. È un uomo vero-
-Lo sono anch'io!- lo interruppe Abel e l'altro sorrise e scosse la testa.
-Un uomo... inteso come individuo. Persona. È quello che vedi. Niente maschere. Quando non si capisce cosa pensa, puoi stare certo che sta pensando a niente-
-Uhm-
-John è un brav'uomo. Stronzo, ma vero-
-John?-
-L'Ispettore Baker-
-Uhm- fece ancora Abel. Non ne era proprio convinto. -È razzista-
-No-
-Invece sì. Vede le creature sovrannaturali come nemici-
-I suoi nemici. Diciamo che è un po' di parte-
-In che senso?-
Reik scosse la testa. -Questo dovrai chiederlo a lui-
-Ma non ne ho il coraggio!-
-Allora ti tieni la curiosità-
Abel aggrottò la fronte indispettito.
Indispettito perché aveva passato tutto il giorno a dormire.
Non aveva mangiato e, nonostante tutto quello che era successo, stava incominciando ad avere un certo languorino. Un languorino di quelli che lo avrebbe potuto provocare fino a fargli divorare un elefante. Anche se lui era – a giorni alterni – vegetariano – e si ricordava di esserlo solo quando Saul era nelle vicinanze, di modo da indispettirlo il più possibile con le sue scelte da adolescente ribelle trentenne.
Era già in ritardo al lavoro e non aveva ancora avvisato Hauke.
Non voleva tornare a casa e incontrare / litigare di nuovo con Saul.
Stava iniziando a percepire l'Agente Reik Wagner come una persona simpatica, simpatica per davvero – non simpatica come il Commissario Krause.
E stava pure provando un pizzico di pena per l'Ispettore Baker Stronzo.
Non poteva farsi piacere gli Energumeni che lo avevano trascinato in quella storia orribile. O sì?
Forse stava impazzendo.
-Posso passare la notte qui?- chiese con un filo di voce e l'altro lo fissò stupito. Abel si sentì arrossire e distolse lo sguardo da lui. -Quelle persone sono morte in casa loro- disse con voce sempre più flebile.
Udì chiaramente la sedia dell'altro stridere contro il pavimento, mentre l'uomo si spostava, gli si faceva più vicino. Con la coda dell'occhio lo vide incrociare le braccia sul tavolo e protendersi verso di lui.
-E se qualcuno arrivasse in casa mia? Mi facesse del male?-
Saul si è già introdotto nel mio appartamento, pensò.
Saul aveva anche le chiavi di casa, ma quelli erano dettagli assolutamente secondari.
Perché non voleva tornare a casa?
-Il tuo capo può proteggerti, no? Non ti fidi più di lui che di noi?- domandò Reik e Abel rabbrividì.
Forse stava incominciando a dubitare dei licantropi?
Perché?
Dopotutto non aveva prove che l'assassino fosse uno di loro e lui era cresciuto con loro. Con Saul, Hauke e tutti gli altri. Erano la sua famiglia e non si dovrebbe mai dubitare della propria famiglia. Soprattutto non in situazioni tanto brutte come quelle a cui aveva assistito. Sapeva benissimo di cosa erano capaci di fare, i suoi "familiari". Non portava nelle vene il loro stesso sangue, non apparteneva neppure alla loro stessa specie, ma si sentiva uno di loro. Era stato cresciuto da loro. Sapeva che non erano capaci di procurare ferite come quelle che aveva visto quella mattina.
-Forse non mi fido più di nessuno, in questo momento-
Perché Hauke non mi ha detto che ha continuato a sentirsi con Saul.
Saul non mi considera abbastanza parte della famiglia.
Niente Mama Gesche a dirmi che va tutto bene.
-Però oggi mi hai rapito, ho dormito nel tuo letto e non mi hai fatto del male-
-Non ti ho rapito- ribadì Reik per l'ennesima volta.
-Sei peggio di un disco rotto!-
-Io?! Tu continui ad accusarmi di una cosa che non ho fatto!-
-Dettagli- borbottò Abel. Si girò verso di lui, sorprendendolo più vicino di quanto si fosse aspettato. -Posso dormire qui nel tuo letto scomodissimo con il tuo cuscino scomodissimo?-
-Ti metto sul divano-
-Detta così, suona più come un invito ambiguo-
Reik arrossì e si ritrasse sulla sedia. Incrociò le braccia sul petto e distolse gli occhi da lui. -È pericoloso parlare con te- bofonchiò in preda all'imbarazzo.
Abel rise. Rise tanto. Sempre di più, guadagnandosi un'occhiata torva da parte dell'altro.
Forse stava impazzendo davvero.
Quando riuscì a calmarsi si sentì di colpo triste. Era quasi certo che tutto ciò fosse sintomo di una qualche forma di follia. Si premette le mani sugli occhi e si lasciò scivolare sul tavolo, premendovi una guancia contro la superficie.
Si sentiva a pezzi. Emotivamente instabile. Era probabile che avesse deciso di non tornare a casa proprio perché, seppur in maniera inconscia, era certo che non avrebbe trovato conforto. Ma l'Agente Wagner, invece, condivideva con lui i sentimenti di quella mattina.
Era una cosa infantile? Forse.
Qualcosa di sconveniente? Probabile.
Saul si sarebbe arrabbiato? Di sicuro.
Hauke si sarebbe preoccupato? Con Saul di nuovo in giro, era plausibile che non avrebbe speso neppure più di un pensiero per lui.
Sospirò. Si sentiva sempre più confuso e in bilico tra ciò che era obiettivamente giusto e ciò che gli era caro al cuore.
Chiuse gli occhi. Pochi istanti dopo percepì con chiarezza il tocco delicato dell'Agente Wagner.
Gli stava accarezzando i capelli.
E quello sì, era davvero – e inaspettatamente – confortante.
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