DICIANNOVE

-È successo qualcosa?-

Abel sbuffò e diede una gomitata a Reik, facendo irruzione nel suo appartamento. -Buongiorno anche a te, eh-

-Buongiorno- disse l'uomo, massaggiandosi il fianco offeso.

-Com'è che non sei al lavoro?-

-E tu come mai sei qui?-

-Ho fatto una domanda io per primo- ribatté Abel togliendosi il cappotto e lasciandosi cadere scompostamente sul divano del suo ospite.

Reik aggrottò la fronte. -Sono in malattia-

-Che malattia?-

-Ho avuto un po' di febbre-

-Ti è passata?-

-Tu non mi hai ancora risposto, però- lo interruppe il poliziotto e si spinse gli occhiali sulla radice del naso con un dito.

Abel ridacchiò. -Non avevo da fare e quindi...-

-Hai rischiato di non trovarmi in casa-

-Magari volevo solo farmi una passeggiata sul pianerottolo di casa tua, che ne sai, scusa?-

-Eh, sì. Un bel panorama di muffa e piantine avvinzite. Me lo invidiano in molti-

Abel rise, ma interruppe la propria risata a metà, mordendosi un labbro.
-Sei ancora malato?- chiese in un sussurro e l'altro scosse la testa, sedendo al suo fianco.

Reik gli accarezzò un ginocchio, poggiando un gomito contro lo schienale del divano, protendendosi verso di lui. Accostò il viso al suo e gli accarezzò una guancia con le labbra, delicatamente, per poi scendere verso l'orecchio esposto mordicchiandone il lobo. -È questo che vuoi? Sei qui per questo?-

-Anche se fosse?- domandò Abel di rimando.

Non gli piaceva che l'altro avesse intuito le sue intenzioni tanto facilmente, ma era pure vero che loro non erano amici. Per quale altro motivo si sarebbe dovuto recare in casa sua?
Così prevedibile...

-Credo sia arrivato il momento di porre fine ai convenevoli- disse Reik di punto in bianco.

Abel sussultò e si girò di scatto verso di lui. Reik gli andò incontro, baciandolo e al contempo spingendolo verso la seduta del divano.

-Non osare...- borbottò tra un bacio e l'altro, del tutto intenzionato a non permettergli di sottometterlo ancora, ma Reik rise, finendo presto per inchiodarlo sotto di sé. -Non mi posso muovere- protestò e il sorriso dell'altro si fece più ampio.

Reik tornò a baciarlo, soffocando tutte le sue proteste senza dargli tempo e spazio neanche per il più piccolo respiro. Gli aprì la felpa con un gesto repentino, procurandogli un urletto di stupore, che si esaurì dentro la sua bocca in un singulto. Tentò di spingerlo e riappropriarsi di un minimo della propria autonomia, ma l'altro si fece strada sotto i suoi vestiti e il caldo tocco delle dita contro la sua pelle gli scaturirono delle piccole scariche elettriche di puro piacere, facendogli ricoprire le braccia, il collo e le guance di brividi.

Gli tolse gli occhiali mollandoli con poca grazia sul pavimento, desideroso di approfondire ulteriormente il loro bacio.

Lo afferrò per i capelli, tirando verso l'alto, costringendolo a inarcare il collo, e gli accarezzò le labbra con le proprie, per poi leccargli quello inferiore. Subito dopo lo morse e riprese a baciarlo, mentre le mani di Reik trafficavano tra i loro corpi, aprendo i pantaloni di entrambi.

Abel si sentì afferrare in vita e un secondo dopo si trovò in ginocchio sulla seduta del divano, senza felpa. Reik gli sfilò il maglione con gesti sbrigativi, facendolo rabbrividire, accarezzandogli la pelle nuda delle spalle.

Un istante dopo erano di nuovo bocca contro bocca. Denti, lingua, labbra. Un bacio famelico che gli mozzò il respiro in gola.

Abel sapeva, sentiva chiara una vocina che gli sussurrava – da qualche parte, lontano, dentro la sua testa – parole irate. Se la immaginava pure dentro un corpicino sottile, alla stregua di una fatina, con le braccia incrociate sul petto, un broncio adorabile – perché lui sapeva di essere adorabile e per estensione era certo che lo fosse pure la propria coscienza – mentre pestava un piede a terra con stizza. Davvero indignita dal comportamento remissivo che lui stava assumendo nei confronti di Reik. Forse, più che una fatina, si trattava di un diavoletto – non che avesse grande importanza sapere a specie appartenesse la sua coscienza, non quando una mano di Reik si era già intromessa dentro i suoi slip, afferrandogli il sesso.

Tremò e interruppe il loro bacio, poggiando la fronte contro il suo petto, mentre la mano dell'altro continuava a muoversi, a stimolarlo sapientemente.

Abel si morse un labbro e serrò le palpebre. Un brivido caldo corse dal basso ventre, scaldandogli il petto, il collo, il viso, concentrandosi tra le tempie. Le labbra di Reik si mossero ancora sui contorni di un suo orecchio e Abel ansimò. Fermò la sua mano stringendogli un polso, e sollevò lo sguardo a incontrare il suo. Gli occhi di Reik erano illuminati da una luce colma di passione.

Non gli piaceva quel suo modo di guardarlo.

Non gli piaceva sentirsi vulnerabile e completamente alla sua mercé.

Non gli era mai capitato con nessun altro prima e – davvero – non andava affatto bene.

Si trovava lì per fare sesso, esattamente com'era stato la prima volta. Ma perché finiva sempre per avere un sapore diverso? Un sapore dolce, un'emozione totalizzante che gli faceva battere il cuore allo stesso ritmo dei respiri spezzati di Reik.

Non andava bene.

Reik gli sfilò i pantaloni.

Avrebbe dovuto dirgli di fermarsi.

Reik lo baciò.

Rischiava di compromettere "parti" del suo corpo a cui non aveva mai dato accesso a nessuno prima d'allora.

Reik gli accarezzò sensualmente le cosce, salendo verso il sedere. Lo strinse con forza, spingendolo contro di sé, facendolo entrare in contatto con la propria erezione.

Sì, avrebbe dovuto mandarlo a quel paese e fuggire via da lì.

Subito.

Un istante dopo era di nuovo disteso sulla seduta del divano, però. Le mani vagavano sulle spalle del poliziotto, insaziabili, tremanti.

-Nel mio portafogli- disse in un sussurro, mentre il diavoletto-fatina dentro la sua testa iniziava a urlare.

Abel spense i pensieri e vide Reik trafficare con i suoi jeans, schiacciati parzialmente sotto di loro, tirandone fuori da una tasca il portafogli. Glielo porse e lui ne uscì un preservativo.

Non c'era più tempo per tornare indietro.

Non aveva alcuna intenzione di farlo.

Accolse il familiare bruciore della penetrazione con un sospiro di sollievo e si mosse incontro al suo sesso, prendendolo dentro di sé. Reik sorrise, lo baciò, lo abbracciò in vita e spinse con forza nel suo corpo, facendolo urlare di piacere. Rinserrò la presa sui suoi fianchi, mentre Abel gli artigliava le spalle con le unghie, in cerca di un appiglio, sopraffatto dall'irruenza squisita dei suoi affondi.

Reik si fermò all'improvviso, fissandolo dall'alto. Abel si sentì arrossire ancora di più, tentò di ripescare dalla propria memoria qualche battuta sarcastica, ma non gliene venne in mente neppure una. Voleva solo che riprendesse a muoversi, ma implorarlo di farlo temeva che avrebbe restituito all'altro un'immagine di sé eccessivamente patetica.

Si morse un labbro e, quando lo rilasciò dalla presa dei denti, Reik glielo accarezzò con un pollice. Lo invitò a girarsi, ponendolo a pancia in giù, e Abel si sentì davvero indignato dalla propria mancanza della anche più piccola voglia di protestare.

Fu di nuovo dentro il suo corpo, mentre accostava la bocca a un suo orecchio, ansimando, solleticandogli la pelle sottile del collo con il suo fiato bollente. Abel chiuse gli occhi e si spinse contro di lui. Trattenne a stento un urlo, scaricando la tensione stringendo con forza l'orribile rivestimento sintetico del divano. Il piacere lo travolse come un'onda, soverchiando ogni altra percezione.

Non andava bene.

Doveva essere solo sesso.

Il sesso è bello. Il sesso scarica la tensione. Il sesso aiuta. Invece a me sta incasinando la testa, cazzo!

Abel si passò entrambe le mani tra i capelli, con stizza. La macchinetta del caffè di Reik emise un bip e subito dopo il liquido caldo e marrone iniziò a riversarsi nella tazza che aveva preparato. Percepì una mano del poliziotto tra i capelli e tanto gli bastò per rabbrividire. Quell'uomo così pacato e anonimo e chiacchierone era in grado di accenderlo come un cazzo di fiammifero. E non necessitava di altro se non di essere toccato da lui per rischiare di finire consumato in un colpo solo.

Inaudito!

-Tutto bene?-

-Uhm- rispose, timoroso del fatto che, se si fosse azzardato ad aprire di più bocca, avrebbe potuto rischiare di mettersi a urlare.

-Adesso faresti meglio ad andare-

Abel si sentì come colpito da una secchiata d'acqua gelata improvvisa. Non si era aspettato di essere cacciato via dalla casa del suo amante senza neanche avere il tempo di bere un caffè. Aggrottò la fronte. E dire che si era recato da lui – per fare sesso, ovviamente – anche per tentare di trarre un po' di conforto dalla sua vicinanza. Di chiarirsi le idee.
Invece si sentiva più confuso di quando aveva messo piede in quella casa.

-Finisco questo e vado- disse con voce sibillina.

Il poliziotto si spinse gli occhiali sulla radice del naso e rifuggì dal suo sguardo accusatore. -Okay. Non metterci troppo, però-

Abel spalancò la bocca per lo stupore, ma la richiuse subito. Prese a sorseggiare il caffè con estrema lentezza. Reik si girò, celandogli la sua espressione, ma non poté fare a meno di scorgere una certa rigidità in lui.

Gli sfiorò un braccio in punta di dita, percependo i muscoli tesi sotto il tessuto sottile della manica della sua vestaglia. Rabbrividì e scese a guardare il profilo della sua mano destra. Subito arrivarono alla sua mente immagini frammentarie, sensazioni, emozioni, profumi, sapori. E la percezione del tocco caldo di Reik sulla sua pelle.
Si sentiva calamitato verso di lui.

Trasse un sospiro rassegnato e posò la tazza sul ripiano da lavoro della cucina. Un passo soltanto e gli fu abbastanza vicino da poter appoggiare una guancia al centro delle sue spalle.

-Hai qualche appuntamento?- chiese, anche se era consapevole che la risposta a tale domanda non era di certo affar suo.

-No-

-Non posso restare qui?-

-Come l'ultima volta?-

-Questa volta per davvero-

-Temo sarebbe controproducente-

-Perché?-

Reik non rispose. Abel sospirò ancora, sentendosi sempre più colmo di sconforto e solo. Ma aveva una dignità ed era del tutto intenzionato a non permettere a nessuno – neppure a Reik, soprattutto a lui – di calpestargliela.

-Perfetto. Gran bella scopata. Arrivederci- disse e fu certo che il tono di voce che aveva usato lo avesse tradito abbastanza da palesare il dispiacere procuratogli dalla reazione imprevista dell'uomo.

Aveva tentato di coprire con la sua solita spavalderia la delusione, ma si sentiva lo stesso cacciato di casa dal proprio amante quando era ancora caldo di sesso e la cosa gli dava fastidio. Mortalmente fastidio. Avrebbe potuto chiedere in cambio la sua testa per riabilitare il proprio onore. Si sarebbe accontentato anche di un bacio e un "scusa" – forse.

Reik lo afferrò per un polso, impedendogli di allontanarsi da lui e il cuore di Abel fece una piccola capriola di gioia. Deglutì sonoramente e si girò verso di lui, quasi speranzoso di vederlo finalmente strisciare sulle ginocchia implorando il suo perdono.

Fissò i suoi occhi di un giallo intenso, vibrante.

Cazzo.

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