capitolo 2 Violet
Violet
Questo è l’inizio della mia nuova vita, ed io, voglio viverla a fondo, voglio fare tutte le esperienze che non ho potuto fare fin’ora.
Voglio nuotare con i delfini, viaggiare per il mondo e perdermi fra le sue bellezze, lanciarmi con il paracadute e godermi il brivido del rischio, mangiare schifezze sapendo di non sentirmi male subito dopo, ballare sotto la pioggia senza preoccuparmi di un raffreddore, partecipare alla maratona di New York senza temere un collasso, fare sesso con uno sconosciuto, voglio innamorarmi.
Bhe, forse quest' ultimo punto non è fondamentale, in fondo ho le prove sulla mia pelle che non esiste l’amore, anche se mi piacerebbe provare quel sentimento che provano tutti scambiandolo per amore, e poi guarirne subito dopo.
Infatuazione, cotta, attrazione, passione, fuoco di paglia, qualunque sia il suo nome, io, nonostante i miei ventiquattro anni, conosco ben poco di tutto questo.
La mia vita è stata per lo più casa, ospedale, persino andare a scuola al liceo era sporadico a causa della mia malattia, finivo per avere un insegnante privato che mi seguisse costantemente a casa.
Per fortuna le cure mi hanno dato la possibilità di migliorare e poter frequentare l’università, ma anche in quegli anni ho dovuto rinunciare a quasi tutte le esperienze che invece fanno gli altri ragazzi della mia età.
Negli anni in cu ero relegata nella mia prigione personale riuscivo a vivere grazie alla mia unica amica Patty, la figlia della governante.
Lei non faceva altro che regalarmi libri di viaggi, per farmi vedere il mondo in qualche modo, libri di arte per farmi conoscere il bello che esiste, in fine romanzi di ogni genere, per darmi la possibilità di vivere mille vite, pur restando segregata nella mia gabbia dorata, la mia stanza.
Ed è così che mi sono appassionata alla pittura, grazie a questa riesco tutt’oggi a liberarmi di tutto ciò che mi opprime, ciò che mi preoccupa, ciò che desidero.
É molto terapeutico per me, c’è chi scrive un diario, c’è chi suona uno strumento, chi invece libera le emozioni o frustrazioni con lo sport, io lo faccio dipingendo e disegnando.
Infatti lavoro da poco, insieme alla mia migliore amica, presso la più famosa galleria d’arte di New York.
Consuelo e Patty sono diventate la mia famiglia, perché non basta condividere lo stesso sangue nelle vene per amare qualcuno,lo so bene io, visto che i miei genitori, da quando hanno scoperto il perché mi affaticassi tanto, o mi ammalassi sempre, rispetto agli altri bambini della mia età, hanno iniziato ad avere sempre più viaggi di lavoro in programma, viaggi all’estero.
Per una ragazzina di appena dieci anni non è stato semplice crescere senza il loro amore, senza la loro guida, ma devo dire che sono venuta su bene con le strigliate di Consuelo se non mi lavavo i denti, se non prendevo le medicine, se non facevo i compiti, le venne quasi un infarto quando entrando in camera mia mi trovò con un caschetto terribile, vedendo i miei lunghi capelli sparsi sul pavimento del bagno.
Le stesse regole che dava a sua figlia dava a me, io e Patty siamo cresciute come due sorelle.
Ho vissuto grazie a lei tante feste del liceo, tirato i capelli di una bulla che stava rubando i soldi ad una ragazzina del primo anno, avuto la mia prima cotta per il giocatore di basket del liceo, copiato il compito di filosofia e venuta scoperta, mi sono scatenata in pista alla festa di una confraternita il primo anno di università, ho dato il mio primo bacio e fatto l’amore per la prima volta.
Peccato che tutto questo io lo abbia vissuto solo attraverso le sue parole, attraverso le sue emozioni, non davvero.
Bhè , non sono così disperata, ho dato il mio primo bacio ad un compagno del liceo durante il gioco di obbligo o verità in palestra mentre il professore era assente, ho avuto qualche appuntamento all’università, solo per sapere cosa si provava.
Mi ero presa però una cotta stratosferica per l’infermiere che vedevo sempre in ospedale durante gli ultimi ricoveri, ma si conclude qui la mia esperienza con gli uomini e con questo sentimento.
Ho evitato per tutta la mia vita qualunque cosa potesse darmi troppe emozioni, di gioia o di rabbia, qualunque situazione pericolosa per la mia condizione di salute come stancarmi troppo, prendere troppo freddo, stare troppo sotto il sole, non seguire una dieta ben specifica.
Ora sono perfettamente in salute, voglio divorare la vita che finalmente posso stringere nel palmo delle mie mani, decidere io, non la malattia per me.
Peccato che , non riesca a viverla senza che i sensi di colpa mi divorino, senza pensare che questa vita non la meriti più di chiunque altro.
Ho rubato del tempo che non mi apparteneva di diritto, ero destinata a morire, invece sono viva, è un dono che è difficile da accettare, per quanto ne sia grata con tutta me stessa e per quanto voglia goderne.
Osservo l’oceano davanti a me, l’unico posto di New York che è sempre stato mio amico, con l’aiuto di Patty sgattaiolavo qui e mi sentivo libera, oppure mi rifugiavo in un museo dimenticandomi di chi io fossi e quale peso portassi sulle spalle.
In questa città sembra che lo scorrere del tempo sia talmente veloce da non averne mai abbastanza, e forse, è proprio vero, noi esseri mortali non ne abbiamo mai abbastanza e non ce ne rendiamo conto fino a quando i granelli di sabbia nella clessidra della nostra vita stanno per finire.
Ma dinnanzi a questa distesa d’acqua o al cospetto di un dipinto, non è così, sembra tutto così immobile, così lento da darti la sensazione di aver fermato le lancette e aver fregato il Dio Crono.
Il telefono nella mia borsa, buttata qualche metro dietro di me, sulla sabbia dorata, squilla incessantemente, di sicuro è la mia migliore amica che svegliandosi non mi ha trovata in camera mia, in fondo sono solo le otto del mattino e le avevo promesso di passare la giornata insieme.
Nessuna delle due ha parlato di cosa significhi oggi, ma lei sa come mi sento ed io so che Patty vuole starmi vicina.
Bagno i piedi nell’acqua fredda, osservo l’orizzonte e respiro a pieni polmoni sentendomi libera e viva, un rumore attira la mia attenzione verso sinistra, sono le urla di un ragazzo.
Mi si imprimono sulla pelle come se percepissi il suo dolore fin dentro le ossa, sprofonda sulla sabbia con tutto il suo peso, il mio corpo si muove come se avessi bisogno di raggiungerlo, capendo il suo disagio, ma torno subito al mio posto.
Lo tengo d’occhio,ci vuole un po' di tempo ma alla fine si ricompone, lo vedo andar via e ritornare poco dopo con una macchina fotografica nelle mani, lo sfogo di poc’anzi sembra un ricordo.
Lo capisco bene, tante volte anche io dipingevo sul mio volto una maschera per far finta che andasse tutto bene, nonostante soli cinque minuti prima avevo pianto nascosta in bagno.
Alcuni tipi di dolore non possono essere condivisi con facilità.
L’obiettivo della sua fotocamera punta su di me, in genere me la prenderei, gli urlerei contro di cancellare quella foto, gli direi che non può andare in giro a scattare foto alla gente senza il loro permesso.
Ma non oggi.
É un giorno importante, e più di ogni altro giorno, proprio oggi mi divorano i demoni che mi ricordano il prezzo che ho dovuto pagare per essere viva, il patto che ho stretto con il diavolo, è così che lo chiamo.
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