PROLOGO (Parte 2)
«Squadra uno mi ricevete? Mi ricevete? Squadra uno mi ricevete? Bryan, non riusciamo a comunicare con loro, sono da più di venticinque minuti in silenzio radio e non riusciamo nemmeno a comunicare con la sala, il segnale sembra disturbato, si sente solo un ronzio». Otto uomini, muniti di grosse tute anticontaminazione e armati di semiautomatiche e pistole, si stavano dirigendo verso il reattore nucleare numero tre. Attraversarono un corridoio, illuminato da piccole lampadine a goccia rosse, e giunsero a un bivio. Destra per il nocciolo, sinistra per la "stanza segreta", da cui proruppero delle urla strazianti. Si fermò il cuore a tutti, per un breve, interminabile momento. Ma non c'era scelta. La peggiore delle ipotesi, pensò Bryan.
Gli uomini proseguirono per cinquanta metri senza proferire parola, nel silenzio più totale. All'improvviso, un intenso e sgradevole odore di zolfo invase le loro tute. «Cos'è questa puzza?», disse una delle guardie. In fondo al corridoio nulla più si vedeva. Le piccole luci rosse brillarono a intervalli irregolari per un paio di secondi, poi si spensero del tutto. Gli uomini levarono le armi, tolsero la sicura e le puntarono verso quell'oscura macchia in fondo al corridoio. Anche l'aria nei loro polmoni sembrava soffiare all'unisono. Muscoli tesi e sangue gelato. Piccole goccioline di aria condensata e sudore apparvero sul vetro dei loro caschi. Tutti insieme cominciarono a camminare verso l'ignoto, muovendo passi piccoli ma decisi. Dalle radio delle guardie, una voce urlò: «sono Charlie della squadra uno! Vi prego aiutatemi! Peter è impazzito! Non so perché l'abbia fatto, ma ha aperto la stanza, quell'idiota ha aperto la stanza! Dio, dio, dio, dio, dio, perché, perché, perché!? Perché questo corridoio non finisce mai, perché!».
Un lamento umano fece vibrare le radio e lo stesso lamento si sentì dal fondo del corridoio. Le guardie restarono immobili. Quello là. Le parole del figlio risuonarono come campane di una chiesa a mezzogiorno nella testa di Pinkman. Mi sta aspettando. A non più di dieci metri da loro, comparve improvvisamente una piccola figura. Alta poco più di un metro e trenta, sembrava una bambina e non indossava alcuna calzatura. Aveva lunghi capelli neri, sudici e bagnati, che le coprivano senza eccezione il volto e le scendevano alle ginocchia. Il vestito bianco la copriva fino alle caviglie. Era stracciato e ricoperto di un sottile strato di terriccio. L'odore nauseante di zolfo si faceva sempre più insistente e penetrante. Una risatina all'improvviso echeggiò, così stridula che formò come un tintinnio nelle orecchie degli uomini, come quando due calici si toccano per un brindisi. «Ch-i-i sei!?» disse uno degli uomini. Seguì un silenzio carico di tensione. Un senso di tristezza percorse gli animi delle guardie. Bryan cominciò a lacrimare. Perché sto lacrimando? Perché sto piangendo? Perché mi sento triste?
Ma i suoi pensieri e quel silenzio assordante furono rotti dalla voce della bambina. Fu un'esperienza "paranormale". Non somigliava alla voce di una giovane fanciulla. Partiva dalla sua gola come una sorta di ruggito distorto da un qualche strumento elettronico, per poi arrivare alle orecchie come uno stridulo suono, un gracchio reso vibrante e fastidioso da sillabe cariche di pazza frenesia.
«Ciao! Io Mi Chiamo Alessa E Sono Morta! Ho Voglia Di Ballare! A Me Piace Ballare! Chi Vuole Ballare Con Meee!?».
Si sentì il rumore di un clacson, di un'automobile a gran velocità e di una pesante frenata. Gli uomini sobbalzarono e fecero alcuni passi indietro. La testa della bambina ruotò di mezzo giro come una trottola lanciata a tutta forza, producendo un rumore come plastico e si sentì uno scatto. Tutto fu più chiaro. Ora riuscivano a vedere il suo volto. Occhi tondi come bottoni, completamenti neri anche nella sclera, come il più nero dei tizzoni di carbone. La bocca era dilatata in modo sproporzionato e si intravedevano aguzzi denti come di squalo, gialli e macchiati di nero. Le carni del viso erano in uno stato di parziale putrefazione e piccoli animaletti e vermi sembravano abitarle. La sua pelle era bianca, bianchissima e sporca, come se si fosse rotolata nella terra arida. Sotto i suoi piedi si formò una pozza d'acqua e si sentì il rumore come di un ruscello.
Cazzo, si è avvicinata! Ora riesco a vedere i suoi denti! È più vicina! Come ha fatto a farlo così in fretta e senza che ce ne accorgessimo!? L'istinto di Bryan interruppe i suoi pensieri. Il sorriso anomalo della bambina fece scattare in tutti l'istinto di sopravvivenza. Senza indugi, fecero fuoco. Un muro di scintillanti punte dorate percorse l'aria e si abbatté sul bersaglio. La bambina cominciò a ridere come un folle in una stanza piena di pazzi. Appoggiò le mani a terra posizionandosi a quattro zampe e con uno scatto disumano saltò, roteò a mezz'aria, atterrò sul soffitto e cominciò a correre come se fosse una lucertola.
«Voglio Ballare, Voglio Ballare, Voglio Solo Ballare! Chi Vuole Ballare Con Meee!? Voglio Solo Ballare! E Voglio Uccidervi!».
Le guardie continuavano a sparare all'impazzata. Colpirono in pieno la bambina, bucherellandola e trapassandola da parte a parte. Piombò a terra e continuò a essere martellata dall'incessante pioggia di proiettili. Schizzi di sangue e carne volteggiavano in aria schiantandosi contro le pareti. I colpi cessarono, le guardie ricaricarono alla svelta e mirarono di nuovo verso il corpo immobile della bambina. Ma con loro grande sorpresa si accorsero che continuava a ridacchiare. Il suo vestito era ormai diventato rosso porpora. Sollevò a un tratto il busto e cominciò a ridere in modo ancora più insistente. Con uno scatto fulmineo si portò in avanti. Fu investita da un altro muro di proiettili che questa volta le staccò di netto un braccio, ma la sua corsa sembrava inarrestabile. Gli uomini urlavano con tutte le loro forze, inorriditi dalla bambina. Quest'ultima fece un balzo e a palmo aperto colpì in pieno il volto di una delle guardie frantumandogli le ossa. «Maledizione, perché non muore!». La bambina si voltò svelta verso Bryan. A Pinkman sembrò di intravedere una luce tetra in fondo a quegli occhi. Sentì una fitta lancinante allo stomaco. Lo aveva colpito con una testata. Sembrava come se qualcuno per ore e ore lo avesse senza tregua preso a pugni all'addome. Gli uomini continuavano a urlare e sparare all'impazzata. Il corridoio era investito da lampi, come fuochi d'artificio in una notte serena. La bambina cadde di nuovo a terra, lacerata dai colpi che riceveva a distanza di pochissimi metri e producendo grida e risate isteriche.
Bryan, ansimante per il dolore, per un attimo rivolse lo sguardo verso una delle guardie, un certo Bill. Il tempo gli sembrò fermarsi e i rumori dei bossoli che cadevano a terra gli sembravano lontani metri e metri, suoni sordi e naturali. Il volto dell'uomo, su cui lo sguardo di Pinkman era caduto, sembrava attonito. Se ne stava in disparte, con l'arma abbassata, inginocchiato e con gli occhi al cielo. Le pupille si muovevano in tutte le direzioni e lacrime amare gli attraversavano le guance. Farfugliava qualcosa, muovendo le labbra a rilento. Sta... sta... sognando!? Come fa a sognare da sveglio e in questo momento? Rivolse poi lo sguardo verso la bambina. I loro occhi si incrociarono. Alessa... Alessa... io l'ho vista! Io la conosco! Ma dove, ma dove!? No... non può essere... ma deve essere per forza così! Si rialzò a fatica, trascinandosi poi lungo una delle pareti e con una mano sullo stomaco. Raggiunse Bill, mentre la bambina si era rialzata e aveva atterrato un uomo e sfigurato poi il suo volto con le unghie nere e sporche, fino a penetrarlo nelle carni e facendo schizzare via un occhio, non curandosi affatto dei caschi protettivi.
«Bill, guardami, Bill, guardami! Svegliati! Svegliati! Quella non è tua figlia, tua figlia è morta tre anni fa! Non è colpa tua Bill, non è stata colpa tua!». Bryan afferrò per le spalle Bill e lo scosse, ma l'uomo sembrava in trance e cominciò a strillare e a piangere. Intanto la bambina aveva aggredito un altro uomo alle spalle e seppur con un solo braccio era riuscita ad afferrarlo per il collo e con un movimento brusco glielo torse. «Maledizione Bill, non mi lasci scelta!». Sollevò il calcio della pistola e lo colpì con tutta la forza che aveva alla testa. Bill svenne. Nello stesso momento, come per uno strano collegamento, la bambina svanì e tutto ciò che si udì fu uno schiocco, come un tappo di spumante che viene aperto.
Il resto degli uomini abbassò le armi e si guardò attorno. I loro respiri erano pesanti e affannosi, i loro cuori battevano così forte che uno stereo ad alto volume non sarebbe bastato a coprire il suono. Seguì un silenzio assordante. L'ennesimo. Si guardarono negli occhi. Poi una risata. Pesante, umana e disumana, lenta e violenta allo stesso tempo.
«Nes-Su-No Vuo-Le Bal-La-Re Con Me Og-Gi? Qui È Così Bel-Lo, È Così Sin-Ce-Ro, È Così... Verooo...»
All'improvviso si sentì il rumore di un tubo di ferro spezzarsi. In pochi secondi una nube bianca arrivò dal fondo del corridoio. L'allarme cominciò a suonare, alcune sirene arancioni lampeggiavano alternando la loro luce con quelle delle lampadine rosse. Le radio ripresero come per magia a funzionare.
«Squadra due, qui è la sala di comando, uscite subito da lì! C'è stata una fuoriuscita di gas ionizzato, è pericoloso, fate presto, sigilleremo la porta d'ingresso al reattore tre!».
Le guardie rimaste, senza farselo ripetere ancora, fuggirono a gran velocità, mentre Pinkman provò a sollevare Bill, ma era impossibile da solo trascinare un peso morto con una nube mortale alle spalle. Cazzo, mi dispiace Bill, mi dispiace, sono un verme, ma mi dispiace! Bryan prese a correre anche lui. I suoi colleghi erano qualche metro più avanti. L'uomo si voltò. Nel bel mezzo del velo bianco vide una grossa macchia nera avanzare e udì dei passi. A un tratto un grosso tubo squarciò l'aria come il colpo di una fionda. Bryan fece appena in tempo a schivare l'oggetto, battendo la schiena sul muro. I tre poco più avanti furono colpiti in pieno alle loro teste e caddero a terra. Bryan non ebbe neanche un secondo d'esitazione. Senza mai fermarsi, scavalcò il tubo e i colleghi rimasti a terra e si diresse a perdifiato verso la porta di sicurezza.
«Sala di controllo, vi prego non chiudete la porta, sto per arrivare, la vedo, la vedo! Vi prego non chiudetela, lo farò io, sto per arrivare!».
«Bryan ti prego sbrigati, amore mio devi farcela, ti prego!». La voce di Tina gli diede una scossa. Non ricordava di aver mai corso così tanto negli ultimi venti anni. Forse neanche da ragazzino aveva mai avuto la necessità di correre in quel modo. Il respiro appannava la visiera e l'ansimare gli portava solletico al naso e alla bocca. In un ultimo estremo sforzo, varcò la soglia, si girò e premette il pulsante rosso. La pesante porta si abbassò e si chiuse producendo un sordo tonfo metallico. Attraversò l'oblò, Bryan vide la nube di morte condensarsi e arruffarsi in piccoli vortici. Si tolse il casco e si lasciò cadere per terra, esausto. Aveva i capelli bagnati dal sudore e il viso di un rossore acceso, come quando una persona si è esposta troppo al sole, in un'afosa giornata sulla spiaggia.
Ma dall'oblò vide il volto di sua moglie che lo guardava e piangeva e urlava. Sentiva le sue grida. «Apri! − diceva − Bryan per favore apri la porta, sto soffocando! Ti prego amore mio, apri la porta o morirò!». Bryan cominciò a tremare. «Non posso Tina, se apro la nube tossica invaderà tutta la centrale e poi la città, non posso!». Tina cominciò a piangere e a singhiozzare. Bryan sentiva nitida la sua voce, come se lei fosse stata lì con lui, ma in realtà era oltre una porta spessa e insonorizzata. Anzi in realtà non doveva essere neanche lì. È rimasta nella sala di controllo. Non può essere lei. E come posso sentire la sua voce? La sento come se fosse qui. No. Non è qui. È in testa. La sento in testa. Il volto della moglie svanì. Al suo posto c'era quella del piccolo Samuel. «Te l'ho detto papà, tu non mi hai voluto dare retta. Te l'ho detto che sarebbe venuto a prenderti. È venuto qui a ballare e a portare la sua danza a tutti noi, papà!». Bryan cadde di nuovo a terra, tremava dalla testa ai piedi e si sentiva come sedato. Svanì anche il volto del figlio. Al suo posto ora c'era un volto nero, enorme, così grande che si vedeva solo in parte e sembrava trasfigurato, opaco, evanescente. A Bryan parve d'intravedere un sorriso animalesco e, nel bel mezzo di quella mostruosità, una piccola sfera fucsia fosforescente sembrava aleggiare e vibrare. Un occhio. A quello pensò l'uomo. E una voce un po' bestiale e un po' umana si fece largo nelle sue orecchie, grave e lenta nella cadenza.
«Ciao Bryan. Mi Sono Per-So. Puoi Darmi Una Ma-No? Se Mi Aiuterai Ti Prometto Che Vedrai Cose Mai Viste, Cose Che Vale La Pena Vedere. Vedrai La Stanza E Vedrai Il Giusto. Vedrai Cos'è La Menzogna E Cos'è La Verità. E Ballerai... Oh, Sì Che Ballerai... Sarà Una Danza Senza Fine. Qui È Tutta Un'orgia Bryan, È Tutta Un'orgia E La Stanza Gira... Qui Gira E Balla Tutto Bryan... Non Mi Credi!? Sciocchino, Io Sono Un Dio E Non Mento. È Facileee... Tut-To Quello Che Devi Fare È Premere Il Pulsante Verde... Premi Il Pulsante Verde Bryan E Ballerai, Oh Sì Che Balleraiii... E Sarà Una Danza Senza Fineee...».
Bryan rimase tutto il tempo a specchiarsi in quella sfigurata immagine oltre l'oblò. Un nodo alla gola sembrò bloccargli il respiro. Fece qualche passo in avanti e la sua mano si protese nella stessa direzione. Era a pochi centimetri dal pulsante verde. Cosa cazzo stai facendo? Perché sto facendo quello che mi dice? Eppure... è così giusto... no, no, no! Non va bene! Non devo premere il pulsante, non lo devo premere! Perché il mio corpo si muove da solo, perché, perché non riesco a fermarmi!? Era troppo tardi. Il palmo della sua mano era già poggiato sul tasto. La porta si sollevò e una leggera nube investì Bryan. Gli bruciavano gli occhi e avvertiva come un fastidio in bocca, come di acido o di qualcosa andato a male. Un insano fetore di melma, feci e zolfo gli riempì i polmoni. Un'ombra fu proiettata sul suo corpo e come un grosso doblone si avvicinò ai suoi occhi, l'occhio di quello là, che ora si era sdoppiato. Bryan sorrise e gli parve che anche la creatura sorridesse. Perché sorrido?
«Grazie Bryan, Oggi È Un Nuovo Giorno Per Voiii... Ora Iniziano Le Danze... Ballerai Bryan E Con Te Tutti Balleranno... Sarà Tutta Un'orgia E Sarà Tutta Una Danza Senza Fineee... Ora Muo-Ri Pe-Rò...».
Quel giorno, il 26 Aprile 1986, si verificò un brusco e incontrollato aumento della potenza e della temperatura del nocciolo del reattore numero tre della centrale. Si verificò la scissione dell'acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno a così elevate pressioni da provocare la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore. Il contatto tra l'idrogeno e la grafite incandescente delle barre di controllo con l'aria, a sua volta, innescò una fortissima esplosione, scoperchiando il reattore e facendo divampare un terribile incendio.
Una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì e ricadde su vaste aree intorno alla centrale. L'intera contea di Primestone ne fu invasa, ma fu proprio la cittadina a subire le conseguenze peggiori. Fu necessario evacuare gli abitanti. Centinaia furono i morti, altrettanto furono i dispersi e almeno ottomila le persone che si ammalarono di tumori dopo l'esposizione alla nube radioattiva. A venti anni di distanza, nessuno vi aveva fatto ritorno e pochissime furono le persone che decisero di abitare di nuovo nella contea. Di Bryan non se ne seppe più nulla, così come di quasi tutti i dispersi di quel giorno, comparse in una storia che avrebbe trovato il suo epilogo soltanto il giorno di Halloween del 2006.
Spazio autore
In questo romanzo cercherò di dare più spazio ai miei commenti, delucidazioni e riflessioni. Di tanto in tanto potrei pubblicare delle parti extra "particolari" (poi capirete perché particolari). Avrò riscritto nei mesi il prologo almeno quattro volte, ma non mi ha mai convinto al 100%. Mi ha sempre dato la sensazione di essere macchinoso, farraginoso, poco fluido. Ma, piuttosto che cambiarlo, preferisco restare con questa idea, anche perché la centrale nucleare avrà un ruolo fondamentale nella storia.
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