CAPITOLO 9 (Parte 6)

«Tutti insieme! Caricaaa!» dichiarò Leonard. John Harris lanciò un urlo di battaglia a metà tra un leone e un essere umano, una figura grottesca e sfigurata da quella pelle nera e metallica che abbagliava a ogni concitato riflesso. La prima ad attaccare fu Sophia che provò con una fiammata a bruciare il nemico. Nonostante fossero imbottiti di arsenico, nessuno di loro si rendeva conto di quanto negli ultimi mesi le loro abilità fossero cresciute. Forse era per via delle peripezie che avevano dovuto affrontare, forgiati nello spirito e nel corpo da continue fughe e combattimenti contro esseri che se a sfidarli fosse stato un umano comune, sarebbe morto in poche manciate di secondi. Le fiamme investirono Harris, che lanciò un lamento, agitandosi come un indemoniato, buttando le braccia a destra e a manca. Come un toro fomentato, sfondò il muro di fuoco e, fiammeggiante, caricò Sophia. La ragazza fu come investita da un palazzo sulle gambe, rovinando sul terreno sdrucciolevole, scorticandosi la schiena e strappandosi parte della maglietta. Un grido di dolore uscì dalla sua bocca. «Maledetto!» abbaiò Chris.

Si tolse la maglietta stizzito, gettandola a terra con foga, come se avesse voluto creare una cava. Una piccola sfera apparve attorno alla sua gemma e un raggio di luce partì esplosivo e prorompente. John, con riflessi sovrumani, sollevò il braccio destro e con palmo disteso parò il colpo che s'infranse su una pietra come acqua sugli scogli. Ma Chris non si diede per vinto. Diede un urlo ancora più forte e il furente flusso abbagliante di energia bianco-arancio si gonfiò, si ritirò e piombò con ancora più potenza sul palmo di Harris, che questa volta fu costretto a puntare la seconda mano in direzione dell'attacco per evitare di essere sbalzato via. «Muovetevi, non reggerò per molto!» esortò Chris i suoi amici. Harris, con la coda dell'occhio vide Bobby con il lungo pungiglione che gli spuntava dal dorso della mano sinistra avvicinarsi svelto alla sua guancia. Con un rapido movimento del bacino, come un tennista che prova un rovescio, deviò il colpo di Chris verso il terreno.

Ancora una volta, per pochi passi, Bobby non fu colpito, ma l'esplosione che ne derivò straripò l'erba circostante per quasi due metri di raggio, e il povero Brown fu come risucchiato da un turbinio, una profonda depressione atmosferica che prima lo spinse in avanti, poi lo tirò indietro, ruzzolando sul terreno in un volteggio di decine di capriole. Quando si rialzò, aveva tagli ovunque sulle braccia e in viso. Mentre John provava a stabilizzare la sua posizione d'equilibrio assai precaria, si sentì come spingere verso il basso. Provò a usare le gambe come freno, ma nulla poté per evitare di battere le ginocchia sul terreno. Alzò lo sguardo, schizzando gli occhi verso l'esterno. Vide Jennifer con i palmi rivolti verso di lui. Stava provando a trattenerlo con la forza del suo pensiero. Harris, con nervi saldi e rigidi come fili di carbonio, fece uno scatto in avanti e riprese a correre verso la ragazza, incapace di frenare una simile furia. Lei costruiva muri mentali, ma erano come di cartapesta. Venivano continuamente abbattuti. Ma fu sufficiente per distrarre e rallentare John abbastanza affinché gli altri Sfigati potessero colpirlo con un attacco combinato. Mentre Chris ansimava disteso con il fondoschiena a terra e un occhio semichiuso, sudando come se avesse avuto un termosifone attaccato alla schiena e Sophia si rialzava con un evidente livido sul braccio sinistro, una grossa macchia violetta, John Harris fu investito quasi in simultanea da un'onda, da una scossa elettrica, da una grossa palla di muco come acido cloridrico alla spalla e da una violenta folata di vento.

Come colto da una sorta di sesto senso, un formicolio nel suo cervello, fece in tempo a rannicchiarsi, parandosi la testa con le braccia. Fu colpito in pieno da ogni singolo attacco. Un grosso polverone si sollevò, oscurando per qualche istante la vista dei nostri protagonisti. «L'abbiamo immobilizzato?» chiese Lucas, aguzzando la vista oltre quella cortina di sabbia. John, in quel momento, avvertiva dolore ai fianchi e i suoi muscoli erano indolenziti. Non si era mosso di una virgola. Era rimasto inginocchiato e rannicchiato, come un bimbo percosso da un padre violento che si rifugia in un angolo della cucina. Ma il malore fisico che provava era nulla a confronto con quello mentale, che lo dilaniava. Era come se qualcuno gli stesse prendendo a pugni il cervello, facendolo a piccole sezioni e scottandolo con un corrosivo. Grumi di bava densa si formarono agli angoli della bocca e strideva sommesso, come se avesse voluto mettersi a piangere. Poi un ghigno incupì il suo volto. La visione di quella larva di malvagità che tremava e respirava era per gli Sfigati come osservare un cancro che si cibava e cresceva, consumando tutte le cellule sane che aveva attorno. Sembrava si stesse crogiolando nei suoi stessi malefici pensieri, consumando l'aria per produrre sentimenti ancora più nauseanti. John cominciò a ridacchiare e a pronunciare frasi sconnesse, prive di senso: «vi ammazzo... ballare... debiti... ridammi riflesso... vivere, stanza oscura, sogni, morire! Amore... non esiste! Dio... dio... DIO!!!».

«È pazzo, è uscito completamente fuori di senno» borbottò Bobby, gocciolante di sangue, con lunghe strisce cremisi che gli scorrevano sulle braccia e sul volto. All'improvviso, Taylor mandò un grido come un indiano che va all'attacco. Un lungo osso bianco avorio e seghettato usciva dal suo palmo. Con un fendente alquanto sorprendente per una bimbetta, provò ad affondare la punta. Ma appena questa toccò la pelle di John, un sordo lamento precedette lo spezzarsi dell'osso a metà, come una matita schiacciata da un piede. Il rinculo fece sobbalzare Taylor indietro, facendola dondolare in maniera scoordinata con i fianchi, come una ballerina che sta per perdere l'equilibrio. Fece forza prima sul piede destro, poi su quello sinistro e poi ancora sul destro, incrociando le gambe come a voler imitare una strana danza perduta nel tempo. Non fece in tempo a ristabilire l'immagine davanti a sé, che un dolore cieco e profondo le scosse il lato destro del volto, annebbiandole la vista. Una fiammata le paralizzò mezza faccia e un taglio profondò apparì sulla guancia. Un fiotto di sangue cominciò a sgorgare. Cominciò a rotolarsi a terra e a lamentarsi dal dolore. «Bastardo!» urlò Jennifer. «Maledetto figlio di puttana!» tuonò Sophia.

Le due ragazze, sincronizzate come orologi atomici, si fiondarono su Harris che intanto si stava alzando come se avesse un container sulla schiena. I suoi muscoli tintinnavano come se migliaia di posate fossero centrifugate una contro l'altra. In una frazione di secondo, Sophia illuminò John, mentre Jennifer, dilatando occhi e tempie, sparò un masso virtuale sul ragazzo che piombò a terra come un tizzone in fiamme. Jennifer continuava a strillare, provando con tutte le sue energie a schiacciare John a terra, mentre Sophia continuava a bruciarlo, aumentando sempre di più la portata del suo colpo. «Ora tocca di nuovo a me!» esclamò Chris. Un secondo raggio partì dalla sua gemma, travolgendo Harris che si schiodò dalla duplice morsa del fuoco e della forza mentale e rotolò a terra, trasportato dal cono di luce la cui punta premeva sui suoi fianchi. Durò circa quattro secondi, poi si spense come una lampadina fulminata. John Harris emanava un denso fumo grigio. Sollevò lo sguardo e dai suoi occhi pallidi sgorgavano lacrime nere. Sbraitava, latrava, urlava e si portava le mani alla testa. Sembrava davvero che non gli importasse del dolore, ma che avesse qualcosa che gli stava comprimendo il cervello. Bobby, approfittando del momento di disattenzione, gli piombò a lato, colpendolo al fianco destro con il suo pungiglione. Sentì la punta penetrare nel sottile e duro strato metallico, ma... Sbam!

Rimasto incastrato, Harris, colto più dall'ira che da un movimento fisico intelligente, diede uno schiaffo a Bobby così violento che gli saltarono via un paio di molari. Cadde a terra ansimante e sbuffando uno sputo di sangue. Harris ne approfittò e, ringhiante, gli assestò un calcio al fianco, facendolo sobbalzare come una pietra lanciata sulla superficie di uno stagno. Fu a quel punto che Harris riprese la lucidità necessaria per puntare un nuovo obiettivo: Thomas. Con tre grossi balzi era già giunto a due passi dal ragazzo che provò a caricare una delle sue scosse, ma una fitta allo stomaco lo fece desistere. Harris lo aveva colpito con un pugno in pieno, sollevandolo e lanciandolo in avanti. Thomas ebbe un conato e cominciò a sputare saliva, cosparso della terra in cui era finito. «Piantala, stronzo!» lo intimò Lucas. Un doppio getto d'acqua partì dai suoi palmi, sgorgando dai pori della pelle. Il getto fu abbastanza violento da trascinare Harris per un paio di metri all'indietro, prima che trovasse la forza necessaria per pompare sui polpacci e sui quadricipiti d'acciaio e arrestare la sua corsa. Ora il suo ventre era tremolante, scossa dalla violenza del vortice d'acqua di Lucas. Il bullo si stava faticosamente drizzando sulle ginocchia quando Leonard lo colpì al volto con un pugno di una violenza inaudita. Fu come una fucilata.

Leonard lo percosse con ferocia, trovando un impatto assai duro. John rotolò per terra, battendo la schiena, come un peso morto. Scintille partirono dagli occhi del ragazzo in direzione di Leonard. «Ti odio bastardo, ti odio!» urlò John. «Piantala di far del male ai miei amici!» strepitò Leonard. Colti dall'istinto, i due ragazzi si scagliarono uno contro l'altro, una raffica di violenti pugni che sobbalzavano come palle da basket sulla cornice del canestro. Un vento di tempesta si innalzò intorno a loro, un turbine di sabbia e sassolini svolazzanti, come diecimila api attorno a un alveare. Le nocche di Leonard dolevano e schizzavano gocce di sangue, ma il furore lo accecava e gli permetteva di disinteressarsi del fluido purpureo che fluiva. Era come picchiare una parete di ferro, ma la forza di volontà lo spinse a dare il meglio di sé. I colpi di Harris erano più potenti, molto più potenti, ma Leonard aveva una velocità di tiro superiore e aveva dalla sua anche l'aria attorno a sé, che si fiondava nei fori sulle sue braccia e serviva da carica per aumentare la tensione dei suoi muscoli, assai più massicci di prima. Ne derivò un'apocalittica sassata di pugni.

Tutti gli altri circondarono i due ragazzi, mentre Sophia aiutava Taylor a sollevarsi, Ed aiutava Chris a rialzarsi, accasciatosi a terra per lo sforzo e Lucas dava una mano a Thomas. Jennifer li osservava con occhi illuminati di una fulgida rabbia selvaggia, mentre aiutava Bobby a riassestarsi. Nessuno dei ragazzi si era posto il problema che fossero in nove contro uno. Non era uno. Era un mostro. E tutti osservavano Leonard come l'impavido eroe che affronta il nemico, come un cavaliere contro un drago. Quando ormai Leonard sembrava al limite, una luce nei suoi occhi lo fece rinvigorire e gli diede una spinta in avanti, noncurante della pioggia di pugni di Harris. John, affranto dall'impavidità di Leonard, iniziò a indietreggiare, fino a quando le forze cominciarono a mancargli. Nonostante il potere conferitogli, aveva capito che il ragazzo e tutti gli altri erano passati a un livello superiore, forgiati da vere battaglie. Mentre i suoi colpi sembravano colpire un po' a casaccio, quelli di Leonard erano precisi come proiettili da cecchino. Prima gli indebolì i bicipiti per farlo stancare prima, poi i tricipiti per fargli ridurre la forza, poi fianchi, collo e infine... doppio colpo alle orecchie. Il suo cervello vibrò come frastornato da una tromba stridula il cui fracasso era stato sparato all'interno della scatola cranica. John, prima di cadere sulla schiena, fu investito da una violenta compressione al petto, un possente rilascio d'aria da parte dei palmi di Leonard. Quest'ultimo aveva i bracci gonfi come le cosce di un bufalo e fumavano un vapore biancastro.

Harris provò a sferrare un pugno che andò a segno. Leonard gridò e un rivolo di sangue gli uscì dalla ferita sulla tempia, ma non perse la concentrazione e l'equilibrio. Il vivo sangue ora sgorgava con più forza e gli occhi di Leonard erano due fessure. «Beccati anche il resto!» gridò all'improvviso l'amore di Jennifer. Il secondo attacco, un'onda d'urto ancora più vigorosa della precedente, ridusse le velleità bellicose di John al minimo, nonostante fosse ancora accecato da uno stato psichedelico di assoluto furore e rabbia. Odio puro, come una medicina andata a male. Mentre ancora il bullo-mostro si contorceva a causa della fitta al petto e all'addome, fu colpito alla nuca da un fiotto acido di bolo di Ed. Il bruciore che ne derivò fu tale da farlo lacrimare, ma questa volta non erano lacrime nere, ma trasparenti. Lacrime vere, che si miscelavano al fluido metallico che ricopriva tutto il suo corpo. Per istinto, portò le mani sulla ferita, ma si ustionò i polpastrelli a causa della saliva di Ed che ancora faceva effetto sulla sua pelle, scrostandola come nero sul fondo di una padella. John diede un lamento prolungato, un ululato che sapeva sempre più di sconfitta. «Ancora una volta, tutti insieme! Diamogli il colpo di grazia!» li esortò tonante Leonard.

Harris, sentendo quelle parole, si guardò intorno di fretta, osservando i suoi avversari. Incrociò ogni singolo sguardo e vide qualcosa in quegli occhi che lo fece rinsavire dal suo stato di catatonica pazzia, facendolo tornare a emozioni umane. Le sue viscere si contorsero e il pallore si fece strada sul suo volto. Assurdamente gli tremarono sulle labbra le parole: «basta, mi arrendo!».

Ma quegli sguardi non ammettevano resa, sembravano solo dire: «ci hai fracassato le palle!». Contemporaneamente, come in un messaggio telepatico, con ferocia omicida, John Harris fu travolto dagli attacchi degli Sfigati. Un attimo prima, il bullo provò a digrignare i denti, cercando di mostrare orgoglio, ma i suoi occhi flaccidi e bianchi, che ora manifestavano il contorno dell'antica cornea, parlavano chiaro. Aveva paura e la resa era la sua unica condizione. Il volto più marmoreo di tutti era quello di Jennifer, sembrava stranamente invecchiato, come levigato da decenni di combattimenti, come quello di un antico eroe venuto da un lontano pianeta per salvare la Terra. «Puttanella! Put...». John Harris fu prima affogato in un tornado d'acqua, poi folgorato da una scintillante scossa azzurra, bruciato dalle fiamme, sfregato da un raggio laser, scorticato da saliva acida, perforato alla schiena da un osso e spellato fino alla viva carne da un pungiglione che gli scosse la mascella, come in preda alle convulsioni, e infime dall'ennesima onda d'urto all'addome. L'ultimo attacco fu di Jennifer. Lanciò un urlo che rimbombò lungo tutto il Derrick, fino nelle viscere della centrale nucleare. John si sentì leggero, sollevato in aria a circa sette metri d'altezza. In un attimo si ritrovò con la schiena a terra, lanciando un guaito di dolore, con la colonna vertebrale che gli sembrava essere stata infilzata da aghi troppo spessi. Un solco rimase a terra, così profondo che se fosse stato un comune essere umano, di sicuro i suoi organi sarebbero stati ritrovati sparpagliati per metri tra la vegetazione.

Il nero sul corpo di John Harris, all'improvviso, sembrò ritirarsi, come l'alta marea che lascia il posto a quella bassa. Il colorito della sua pelle tornò al rosato di un tempo e i suoi occhi si erano normalizzati nell'aspetto. Si rialzò a fatica, spostando il peso prima su una gamba e poi sull'altra, con una flemma che sembrava un movimento eterno. Era grondante di sangue, ammaccato, intorpidito, tremante e ansimante. Urlò e strisciò all'indietro fra ghiaia e terra in un dondolio concitato di brandelli di vestiti e liquido vermiglio che affiorava a fiotti dalle ferite, lacerazioni multiple su tutto il corpo. Spostò ancora una volta il suo sguardo su quelli seri degli Sfigati. Singhiozzando, sputò sangue in un prolungato rivoletto misto a saliva, formando una lunga striscia che partiva dal labbro inferiore e toccava il terreno. «Vi ammazzerò, un giorno vi ammazzerò» borbottò e all'improvviso corse verso il sentiero. «Maledetto, hai ucciso mio fratello!» disse Bobby, ma una voce improvvisa come dall'oltretomba lo fece trasalire. I volti dei ragazzi si sfigurarono come se avessero appena sentito il lamento di Satana. Forse non erano poi così distanti dalla realtà. «Ballerete maledetti... alla fine, ballerete!» strillò quella voce roca e demoniaca, come se a un uomo fossero state impiantate le corde vocali di un orso.

Improvvisa come quella voce, dalla centrale nucleare, da quella grossa frattura che squarciava il cemento come una ferita profonda sulla pelle, dilaniata in maniera tale da far intravedere tubi di ferro e detriti polverosi di calcestruzzo, una gigantesca mano nera, un intero palazzo munito di cinque dita, come composta da uno sciame di mosche infette, avanzò minacciosa verso i nove ragazzini, disposti ora a semicerchio, stancati da una battaglia durata sei minuti che era sembrata loro lunga come la Guerra dei Cent'anni, senza mai avere una tregua. Un violento e maestoso risucchio sibilante fece tremare l'aria, proprio come un'enorme massa in movimento che sposta le molecole di gas. «A me fembra...» riuscì a biascicare Ed, schiacciandosi gli occhiali sul naso con l'indice della mano. Non riuscì a terminare quella frase. I nove Sfigati erano già in corsa verso Primestone, come catapultati dal loro stesso istinto che fece pressione sui nervi e sulla muscolatura. Mentre erano inseguiti da quel mastodontico arto, i loro pensieri rimbalzavano nelle menti di ciascuno come se fossero collegate. Il Titano nel Nucleo della Stella Nera.

Un boato subitaneo schiacciò i loro timpani, facendoli vacillare, ma nulla li poteva far desistere dal fuggire, nonostante la stanchezza e il sudore che grondava sui loro occhi e il sangue che bagnava i loro vestiti, reso ancora più caldo dal sole. La mano assassina era caduta a pochi metri dagli ultimi della fila, Leonard e Jennifer, disposti uno a fianco dell'altro. I due si fissarono negli occhi e poi si voltarono indietro. Videro l'enorme mano nera ritrarsi, sollevando una nube di polvere alta come un castello medioevale, mentre oltre la nebbia rossiccia s'intravedevano due occhi fucsia fosforescenti, due grosse sfere luminose sospese a mezz'aria. Un pensiero sfuggì dalla mente di Jennifer, come un messaggio in codice partito per sbaglio da una stazione radio, chiaro come il giorno, ma inatteso e incomprensibile come la vastità dell'esistenza che ci circonda. Captain World, ti prego, abbiamo bisogno del tuo aiuto. Ti prego, corri a Primestone, raggiungici per favore! Fa presto... Sam!

Jennifer non ebbe mai modo di ripensarci, come se quel pensiero non la riguardasse, come se lo avesse inviato con inconsapevole consapevolezza; qualcosa che andava fatto, seppure senza rendersene conto.

Quando gli Sfigati ebbero quasi raggiunto Primestone, percorrendo l'ultimo tratto di sentiero che separava il Derrick dalla città, si fermarono, con il fiato che sbuffava appena dalle loro gole, stanchi morti come se fossero appena tornati da una miniera di carbone. I loro polmoni sembravano ritirarsi per poi dilatarsi appena, irrigiditi e bruciati. Non appena ripresero fiato, uno dopo l'altro si voltarono a fissare Bobby. Lo osservarono con pensieroso e cauto interesse. Bobby si sentiva in parte in colpa per aver fatto loro del male in passato, ma allo stesso tempo si sentiva come espiato. Riuscì a sostenere il loro sguardo con sufficiente candore. «V-vi chiedo scusa» pronunciò con una punta di titubanza Bobby. In quel preciso momento, Jennifer spostò lo sguardo su Thomas e le sembrò di udire uno scatto come di serratura, aprendo una porta verso un mondo composto da ingranaggi il cui movimento era preciso, una misteriosa scatola il cui funzionamento restava per gli altri un mistero. Si sentì investita alla schiena come da una patina di ghiaccio, una gelida brezza che la fece drizzare. Il puzzle ora è completo, manca solo l'atto finale. Il tempo sta giungendo davvero al termine, ora siamo tutti contro quello là, rifletté la ragazza e tale fu lo splendore di quella riflessione che per un attimo ebbe la sensazione di averla urlata ai quattro venti. Quel pensiero era giusto. Jennifer non aveva bisogno di parlare, perché lo percepiva negli occhi di Thomas, Lucas, Chris, Sophia, Taylor, Ed e Leonard.

«Non devi scusarti, siamo apposto così. Hai combattuto con noi e ci hai aiutati. Direi che è più che sufficiente» disse Leonard. Bobby abbassò lo sguardo e sembrò annuire in un misto tra imbarazzo e consapevolezza, osservando le punte delle sue scarpe e facendo vibrare le antenne sulla sua testa, come se annuissero. Chris guardò Sophia e lei fece altrettanto. «Tutto ok?» le chiese. «Sì» rispose lei sorridendogli. Lo prese per una mano.

Non so se esiste un dio da qualche parte, un angelo o qualcosa di simile. Ma, in ogni caso, se devi fare la tua comparsa, se esiste una speranza in questo mondo, questo è il momento di intervenire. Ora o mai più, ovunque tu sia, ti prego, aiutaci. 

Spazio autore

Termina così anche il nono capitolo. Come abbiamo visto, ora anche Bobby si è unito al gruppo, dopo la morte del fratello Clint, entrando a far parte degli Sfigati, nove in tutto. Il "cerchio" è chiuso, ora mancano gli ultimi "tasselli" per far quadrare il tutto. Nel prossimo capitolo ci muoveremo nel tempo avanti e indietro ;)

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