CAPITOLO 9 (Parte 5)
Una voce dentro Bobby gli suggeriva, gli pregava di ascoltarlo. Una voce di turbamento, una voce... adulta. Era la prima volta che l'avvertiva in maniera così chiara, così distinta. Prima di allora aveva ragionato solo d'istinto, ma questa volta era piena consapevolezza. John Harris era impazzito del tutto e gli avrebbe fatto del male, molto di più di quello che già gli aveva fatto. All'improvviso, prima che Bobby riprendesse a correre, John scandì una frase che scandalizzò Bobby, segnandogli per sempre la vita: «sono stato io... ho ucciso io tuo fratello!!!». Bobby si bloccò. Avrebbe voluto non ascoltare. Una fiammata, seguita da un brivido, invase il suo corpo. Era come se gli avessero appena estirpato il cuore. «Scusa John... che hai detto?» chiese Samuel ora davvero terrorizzato, tremando tutto. John si voltò verso il compagno con la bava alla bocca. Ora anche gli altri bulli vedevano la sclera annerita agli angoli. Indietreggiarono per istinto di qualche passo. «Esatto!» sbraitò John. «Sono stato io a uccidere Clint! Gli ho spiaccicato la testa con un sasso e l'ho fatto finché non è rimasto stecchito». Seguì una risata folle e isterica. Samuel, David e Johnny rimasero impietriti. Erano a pochi passi da un omicida. Samuel si voltò. Stava per darsela a gambe levate, quando sentì John ringhiare. «Samuel! Se osi andartene, giuro che ammazzerò anche te!». Il ragazzo si bloccò di colpo e tornò tra i ranghi pallido come un cadavere, mentre gli altri due erano ormai catatonici.
Intanto a Bobby sembrava che quei secondi fossero eterni. Una comprensione che entrava lenta nel cervello, come la crosta terrestre che si muove scivolando sul mantello. Durante quell'eternità guardò l'immagine grottesca che Harris gli aveva descritto farsi strada nella sua mente, come un'anomalia nel tessuto della realtà, come quando aveva visto il T-rex. Sapeva che suo fratello era morto, ma ora ne aveva la certezza assoluta. John aveva detto la verità, i suoi occhi non mentivano. Dolore e rabbia, disperazione e odio, scrosciavano impetuosi come cascate, tonnellate e tonnellate di pensieri, metri cubi di emozioni lo investivano e s'infrangevano nella sua mente. Ancora una volta nella vita aveva avuto la conferma di un'ipotesi che ormai era inchiodata nella sua morale: il mondo è cieco. La pietà è solo per i deboli. «Stramaledetto... strafottutissimo figlio di puttana... assassino... sei solo un lurido assassino...» pronunciò Bobby con voce tremante e ovattata. Poi sbottò, esplodendo in un urlo di rabbia: «non importa quanto tempo ci vorrà! Non importa quanto sangue dovrò versare! Io mi vendicherò, John! Fosse l'ultima cosa che faccio! Un giorno avrò la mia vendetta e ti ucciderò John, sarò io a ucciderti!».
John mandò un grido funesto di collera e, con una forza brutale e innaturale, diede una spallata al recinto che si piegò in verso contrario paurosamente. Era quasi riuscito ad abbatterlo con un solo colpo. Bobby trasalì, avendo conferma della pazzia del ragazzo, ma era determinato a mantenere la sua promessa. Dopo un altro attimo d'esitazione, si voltò e riprese a correre, mentre gli altri tre, intimiditi dagli ordini di John, ripresero a percuotere la rete metallica. Correndo, Bobby proiettava una piccola ombra e sfrecciava come un missile lungo i binari. Passò in mezzo ad almeno una decina di vagoni singoli e un paio di locomotive dismesse, mentre gli giungeva da lontano il tintinnio della rete metallica che rovinava a terra, abbattuta da John e dai suoi. Quella musica funesta gli riempì i canali uditivi come uno stuzzicadenti spinto all'interno. Bobby volava saltando sulle rotaie, mentre alle sue spalle John tuonava con i suoi pugni contro i vagoni, producendo un fracasso come di ingranaggi che si spaccano e lasciando ampie ammaccature. «Ti farò a pezzi, Bobby Brown!» abbaiò il suo inseguitore. Mentre anche quell'ultimo chiarore di lucidità che gli era rimasto lo stava per abbandonare, sentì una voce echeggiare nella sua mente. Ma non era quella di prima, era qualcosa di esterno. Vai alla centrale nucleare Bobby, vai alla centrale. Seguì una sghignazzata, ma il ragazzo non ci fece caso, per lui fu come un farfuglio, un fruscio di vento tra i capelli. Si precipitò in direzione della centrale come se sapesse dove si trovasse, pur non essendoci mai stato. Maledetto bastardo, continuava a pensare, con un furore cieco nel cuore, come fuoco ardente. Hai ucciso mio fratello maledetto, la pagherai, la pagherai cara, fottuto pazzo squilibrato.
Poco dopo aver percorso una lunga fila di rotaie lungo i capannoni, in lontananza vide la rete metallica. Si precipitò verso di essa. Saltò sulla rete come un gatto che si arrampica su una tenda e cominciò a scalarla. In una frazione di secondo stava già ruzzolando dall'altra parte. John stava sopraggiungendo con gli amici alle sue spalle. Era diventato più veloce. Quando Bobby si sollevò, sentì ringhiare John alle sue spalle come se fosse posseduto. «Bastardo, fermati! Ti ammazzo! Ti ammazzo!». A volte sembrava gracchiare suoni incomprensibili. Si diede uno slancio facendo leva con la gamba sinistra. Bobby, in quello stesso istante si voltò e vide il pugno del bullo infrangersi contro la rete come se fosse un treno in corsa contro una parete. Il boato che ne derivò fece tremare la rete metallica per tutta la sua lunghezza. Il tintinnio sembrò far vibrare perfino il terreno. La maglia di metallo si piegò verso l'esterno, facendo rimanere a bocca aperta Bobby. Ripresosi da quella scena del terrore, si voltò e riprese a correre. «Che aspettate, scavalcate la rete!» starnazzò John contro i suoi compagni ansimanti. Johnny stava per vomitare e aveva le mani sulle ginocchia, Samuel e David invece avevano gli occhi rivolti al cielo come a voler imprecare. Ma le urla insistenti di John li fecero caricare d'aria nei polmoni e di tensione. Mentre John picchiava sulla rete piegandola, gli altri ci salivano su facendo da peso con il corpo. Nessuno di quei tre scagnozzi si era ritrovato in una situazione di così viva violenza, così selvaggia. Mentre Samuel si arrampicava, pensava a cosa dire per far ragionare John Harris. Poi si accorse che era inutile. Guardandolo in volto, gli sembrò d'intravedere un lupo mannaro con le zanne gonfie di sangue dalle sembianze umane. Ancora una volta vide i suoi occhi rossi e densi di uno strano fluido nero, minacciosi e malevoli. Gli sembrò che fosse lui a essere inseguito. John non aveva voglia di arrampicarsi. Abbatteva e basta.
Samuel si voltò e continuò ad arrampicarsi, mentre John insisteva a battere sulla rete con così tanta veemenza da far sobbalzare i compagni che vi erano sopra. Perfino Goodman, un panzone che faceva fatica perfino a salire le scale, si era catapultato sulla rete, terrorizzato e imbambolato dall'ira di John. Ma la pancia gli premeva troppo sul metallo e rovinò a terra. John gli mandò un'occhiataccia e inveì contro di lui: «Grassone di merda, alzati! Se non riesci ad arrampicarti, almeno aiutami a spingere, lardoso!». Johnny, con le lacrime agli occhi, eseguì il comando senza fiatare. Bobby intanto si era già inoltrato nel sottobosco, mentre sentì John urlargli da dietro: «ti troverò, bastardo! E ballerai! Ti farò ballare Bobby!». Bobby sbiancò. Piombò per una frazione di secondo in un limbo di disperazione. Quello là. Non arrestò mai la sua corsa, anzi accelerò ancor di più il suo passo.
Gli Sfigati, come guidati da una forza invisibile, erano immersi nella vegetazione e non si erano resi conto di essersi avvicinati ancora di più alla centrale. «Cledo che ci siamo pelsi, capo! Non trovelemo mai più il nostlo folmicaio! Plesto, plesto salvale plima povelo Thomas!» esclamò Thomas con la voce del Venditore Orientale. «Questa è proprio cattiva, Thomas» ribatté Leonard e gli altri risero. Frattanto, Jennifer fischiettava e canticchiava e i ragazzi si voltarono verso di lei divertiti. «Ma che brava, abbiamo pure una cantante» chiosò Chris. Jennifer arrossì e cacciò la linguetta. Ed allora sfociò in un canto acuto o almeno ci provò. Gracchiò un paio di note liriche: «O fole mio, o fole mio!». Gli altri risero divertiti. «Abbiamo portato le biglie! Giochiamo con le biglie!» trillò Taylor. «Ottima idea» disse Lucas. Passò qualche minuto, tempo in cui gli Sfigati si divertivano a lanciare le piccole sferette colorate, quando udirono un boato. Metallo che batte contro altro metallo. L'eco si propagò lentamente lungo tutto il Derrick, mentre uno stormo di piccioni si levò in un volo sgraziato, un profondo coro di protesta. Leonard aveva gli occhi sgranati, mentre gli altri erano sulle spine. Jennifer sembrava vagare con la mente osservando il vuoto. Seguirono in sequenza altri colpi, come una mazza che batte contro il ferro.
«Che cos'è?» domandò Sophia innervosita. «Ragazzi!» balzò Lucas all'improvviso. Tutti si voltarono verso di lui. «Dove diamine è Thomas!? L'avete visto!?». «Scufa, ma non era accanto a te?» domandò Ed convinto. I ragazzi si guardarono attorno, ma in effetti non c'era traccia del ragazzo. «Dove è andato!?» trillò Leonard. Gli Sfigati cominciarono a urlare il suo nome, mentre Jennifer aveva gli occhi chiusi. Lo stava cercando. Gli altri si resero conto che la ragazza stava facendo qualcosa. «Jennifer... lo hai trovato?» chiese Lucas. Jennifer non lo sentì, perché stava già viaggiando.
Vedo nero. È tutto buio. Sono nella sua testa. Passi. Sento passi in una pozza d'acqua. Una luce. Thomas! Thomas! Thomas! Una voce malevola rintoccò.
«Non Q-Q-Questa Voltaaa...».
Jennifer aprì gli occhi di scatto, come se qualcuno le avesse buttato dell'acqua ghiacciata in faccia. Borbottò qualche sillaba incomprensibile e poi la sua voce divenne più chiara. «L'ha preso... l'ha preso quello là!». Gli altri Sfigati trasalirono.
Bobby sapeva che John lo stava per raggiungere. Per qualche oscuro motivo, la velocità del ragazzo era aumentata a dismisura. Da ippopotamo era diventato leopardo. Cercò di aumentare l'andatura, ma il fiato via via scompariva dai suoi polmoni. Il soffio residuo era mantenuto vitale solo dalla sua ferrea forza di volontà. Alle sue spalle, John gli appariva come una furiosa cavalcata di diavoli assetati di sangue e bramosi di dilaniare la carne. Bobby vide aprirsi un sentiero davanti a sé. Innanzi c'erano otto ragazzini, tutti a lui più che familiari. Erano gli Sfigati. Appena un minuto prima, gli altri erano riusciti a raggiungere Thomas, che sembrava uno zombie. Dondolava e sbavava al lato della bocca e camminava senza una meta. Era bastato un tocco della mano di Jennifer sulla spalla per farlo rinsavire. Si voltò verso i suoi compagni. Vide sul visino di Jennifer un sorriso di premura. «Non so cosa mi sia successo... ho sentito una voce e ho iniziato a camminare» disse il ragazzo. «Sta' tranquillo, ora va tutto bene» lo rincuorò la ragazza. Ma era consapevole che qualcosa non andasse. Non era riuscita a entrare nella testa di Thomas e aveva avuto bisogno del contatto fisico per farlo svegliare. Era come se in quella zona il potere di quello là fosse maggiore. Molto superiore.
In quegli stessi attimi in cui la mente di Jennifer si contorceva dal dubbio, dalla paura e dalla perplessità, si udirono rumori di passi e grida. Dalla radura, sbucò un ragazzo che corse verso di loro ansimando, paonazzo in volto. Si diresse verso Jennifer e si mise alle sue spalle. Cominciò a singhiozzare: «John Harris... è impazzito... ha ucciso mio fratello». Quelle parole fecero sbiancare tutti gli Sfigati. Ucciso? Credevano di aver udito male, ma quel loro dubbio fu schiarito quando John Harris si palesò davanti a loro come una bestia affamata. Un demone. Aveva gli occhi del tutto neri, la sclera e la pupilla erano ormai indistinguibili. Sbavava come se avesse la rabbia e cominciò a sbraitare: «oh! Guarda chi c'è! Quei pezzi di merda, tra cui Leonard Star... c'è anche Bocca di Balena! E le due zoccolette... anzi tre!». Taylor, intimorita, fece un paio di passi indietro e strinse il braccio di Ed che l'avvicinò a sé.
«Bobby... è vero che ha ucciso tuo fratello?» chiese Leonard al ragazzo, avvicinandosi lentamente a lui, strisciando i piedi. Il ragazzo annuì. Leonard sbiancò più che mai. Jennifer deglutì. In quel momento arrivarono anche gli altri tre bulli. Erano così stanchi e ansimanti che non riuscivano a proferire parola. «Vattene via, John! Lasciaci in pace!» gli intimò Jennifer. «Zitta, puttanella!» sbraitò John. Jennifer corrugò la fronte. Era arrabbiata. Sapeva che il demone aveva preso possesso del suo corpo e della sua mente. D'altronde bastava guardare i suoi occhi. Intanto Bobby continuava a borbottare come una filastrocca: «è pazzo... è pazzo... è pazzo... assassino...». «Chiudi il becco John, non ti è bastata la lezione dell'altra volta? Sparisci!» urlò Leonard. In quel preciso momento, un soffio vibrò alla sinistra di quello schieramento. Come d'istinto, tutti si voltarono in quella direzione. Nessuno si era accorto di quanto fossero vicini alla centrale. Un autentico (titano) mostro.
Jennifer, scossa come da una premonizione, sentendo un formicolio nella sua testa, si girò verso John. Sapeva che per quanto potesse essere un gran bastardo, un sadico e mezzo pazzo, non poteva arrivare a quei livelli di delirio. Aveva capito che era stato quello là a invogliarlo. A costringerlo. Perché quell'entità non chiede. Quell'entità agisce. Obbliga. «John, levati da lì presto! Spostati!» urlò Jennifer. Come se una finestra temporale di lucidità si fosse aperta nella mente di John, quest'ultimo sembrò tornare alla normalità e i suoi occhi ritrovarono il loro bagliore originario. Ma fu un attimo. Jennifer sentì intonare nella sua mente una parola che la fece sprofondare: «aiutami». John Harris aveva chiesto aiuto. Era troppo tardi. Una tempesta di sabbia nera partì dalla spaccatura della centrale e in un secondo, percorrendo un paio di centinaia di metri, investì John come un tornado orizzontale. Samuel, Johnny e David indietreggiarono, mentre gli Sfigati e Bobby furono spazzati via dalla tempesta, uno spavantoso soffio demoniaco. Tutti portarono le mani agli occhi per proteggerseli. Quando il vento cessò, li riaprirono. L'immagine che ebbero davanti fu nauseante, incomprensibile, assurda, anormale.
John Harris era cosparso di un fluido nero e scintillante, densa bava puzzolente e ribollente, limacciosi filamenti come seta prodotta da un baco. Il ragazzo urlava e si dimenava come se quella sostanza lo stesse ustionando, bruciandolo vivo. I suoi lamenti si spargevano come olio in un piatto riempito d'acqua per tutta la zona circostante, un canto di disperazione che si accompagnava alla brezza estiva. «Dio Santo, John!» urlò Samuel disperato. Gli Sfigati (compreso Bobby, che poco prima aveva la sensazione che in qualche modo lo avessero accolto, nonostante ciò che gli aveva fatto) guardavano impotenti quella scena. Sophia distolse lo sguardo, così come Taylor. Una lacrima invece solcò il visino di Jennifer. Quando John smise di agitarsi, dopo trenta infiniti secondi, cominciò a fumare dal corpo, come se gli fosse stata appena versata acqua bollente. In pochi attimi sembrò asciutto. Anche i vestiti non presentavano una sola macchia. Solo le sue suole sembravano macchiate e immerse in una sottile melma nera. Sembrava ora che la sua pelle, compreso il suo volto, fossero cosparsi di metallo scurissimo e luccicante. Aprì gli occhi. Ora si vedeva solo il bianco della sclera. Cornea e pupilla sembravano sparite. Un'immagine spettrale, che fece vibrare di paura tutti.
«Filiamocela!» starnazzò David. Gli altri due non se lo fecero ripete ancora una volta. In pochi secondi, sparirono nella folta vegetazione. Lo stesso Goodman, nonostante la sua mole mastodontica, si dileguò come una rondine in uno stormo di gabbiani. «Bene, bene... mi sento proprio in forma oggi... allora, chi vuole morire per primo!?» pronunciò ridendo come un matto John, a tal punto che si rotolò per terra. Era impazzito sul serio. Ormai era incurabile. «Che cazzo gli è successo?» chiese titubante Bobby. «Ragazzi, dobbiamo combattere» proferì Jennifer come se non avesse sentito Bobby. «Tanto per cambiare» borbottò Lucas. «Ragazzi, la faccenda è seria... è forte... davvero forte» sottolineò Jennifer. «Siamo in ot... anzi nove! Ce la faremo!» disse Leonard. Jennifer si voltò verso di lui. Annuì. Lui a sua volta ricambiò. «Pestiamolo per bene allora» si caricò Sophia, battendo il pugno chiuso sul palmo della mano opposta. «Battaglione, pronti alla battaglia!» esclamò Thomas. «Faffiamolo nero!» disse Ed. «È già nero» notò Chris. «Nero di rabbia!» concluse Taylor.
In quel preciso momento, le condizioni fisiche e mentali di John Harris trascendevano qualsiasi realtà assimilabile al pensiero razionale. In lui non c'era traccia di intelligenza, era mosso da un istinto primordiale, che andava ben oltre quello animalesco. Reso frenetico da un dolore atroce e da un furore indescrivibile, blaterava suoni gutturali, sgraziati e privi di armonia musicale. Si agitava come se attorno a sé ci fosse un incendio che lo stava per raggiungere e latrava come la più feroce delle bestie infernali, sprofondato in un vortice psichico di fantasiose e mostruose visioni di angeli in fiamme, scheletri umani a cavallo di lupi in marcescenze e altre strane creature vagamente assimilabili a qualche mitologia di un popolo perduto. Il suo cervello era come in preda a un nero fumo psichedelico, che gli annebbiava la coscienza come nebbia fitta al mattino in pianura, flash di colori dal rosso porpora al nero più cupo. Vedeva quello schieramento di nove ragazzini come un muro da abbattere, un ostacolo che lo separava da una condizione di stabilità, una morbosa ricerca di quiete in un abisso caotico, dove suoni, sfumature e odori si alteravano e si mescolavano in un miscuglio senza senso, bruciando i sensi come micce di un petardo a capodanno.
Jennifer, alla vista di quel ragazzo che di umano non aveva più nulla, se non vaghe fattezze, provò a parlargli. Poi la ragione la fece desistere, suggerendole che non sarebbe valso a nulla. Era come chiedere a un cadavere di resuscitare. John Harris diede un grido che spaccò i timpani agli Sfigati, come un tuono che si abbatte a breve distanza. In una frazione di secondo era già in corsa. Gli occhi dei ragazzi si sgranarono. Gli impulsi nervosi sembravano rallentati, scorrevano lungo i neuroni densi come sangue che si raggruma, arrivando al cervello come pesanti macigni. Quando fu a pochi passi da loro, i muscoli degli Sfigati fecero appena in tempo a reagire e a spostarsi. Un sibilo percorse una traiettoria del tutto sconclusionata, come se seguisse una fisica tutta sua e fece vibrare i capelli di Bobby, solleticandogli le antenne. Per pochi centimetri aveva schivato un pungo di John che sembrava più una clava azionata da un possente braccio meccanico che il colpo di un sedicenne.
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